Visualizzazioni totali

martedì 30 novembre 2010

Addio al padre della commedia italiana

Sabato ho preso a noleggio il film di Mario Monicelli La ragazza con la pistola, che mi sono guardato ieri sera. Qualche ora più tardi apprendo che Monicelli se n'è andato. Anzi si è suicidato. Una fine così amara per un uomo che ci ha fatto ridere tantissimo, senza però farci dimenticare l'amarezza della vita.
Raggiunti i 95 anni ma ancora lucidissimo, aveva combattuto fino all'ultimo per difendere il cinema italiano dai tagli degli ultimi tempi. L'ultimo suo film è L'aria Salata, del 2006, sceneggiato con l'amica Suso Cecco D'Amico, anche lei scomparsa quest'anno.
Un altro grande pezzo di storia del cinema se n'é andato.
                                                   I soliti ignoti, 1958

domenica 28 novembre 2010

Un affascinante film di denuncia e di attualità con ottime potenzialità risucchiate da debolezze di scrittura.

                                Wall street: Money never sleeps
                                    (Wall street: il denaro non dorme mai)
                                           di Oliver Stone, 2010



L’ex broker Gordon Gekko esce dal carcere dopo aver scontato la pena per frode. Nessuno lo attende all’uscita perché sua figlia lo reputa responsabile della morte del fratello. La ragazza, affermata blogger, è felicemente fidanzata con Jake, giovane azionista che contatta Gekko per capire cosa c’è dietro alla cospirazione che ha portato al suicidio il suo amatissimo capo. Gekko non solo è terribilmente in gamba, ma è pure talmente ricco da poter trasformare il sogno ecologico di Jake in realtà. La fidanzata gli dice di lasciarlo perdere, ma lui persegue..

Raramente un sequel ha davvero ragione d’esistere come in questo caso: Oliver Stone riprende il personaggio che portò all’Oscar Michael Douglas nel film del 1987 che aveva come co-protagonista un giovane Charlie Sheen al quale qui concede un cameo, e lo pone di fronte alla nuova Wall Street, quella del crollo delle borse dell’anno scorso.

Dunque anche se il suo è un ritorno alla fiction pura dopo i biopic storico-politci W., World trade center e Alexander, Stone non perde di vista l’attualità sociale e politica, riuscendo a incastrare e sfruttare a perfezione il dramma del crollo delle borse per mettere in moto il suo dramma filmico, diventando così il capostipite di una serie di lungometraggi che sicuramente popoleranno i nostri cinema negli anni a venire. Il film gli da modo anche di illustrare, in modo molto interessante, la politica anti-ambientalistica che regna nelle sfere alte. Nonostante siano passati più di venti anni, Douglas riesce magnificamente a rimettersi negli scomodi panni del suo personaggio privo di scrupoli. Ancora più negativo questa volta appare il personaggio interpretato da Josh Brolin (sotto), che trova il suo alter ego nel quadro di Goya con Saturno che ingoia il figlio (a fianco). Ma il vero protagonista è il sempre più lanciato Shia Le Boeuf, notevole a intermittenza. Nei panni della sua fidanzata, Carey Mulligan, anche lei sempre più lanciata (dopo An Education) e più brava. A buoni interpreti Stone unisce un grande senso del ritmo, una bellissima colonna sonora (con alcune canzoni dei Talking Heads già presenti nel film del 1987) e un’ottima fotografia. Peccato che la sceneggiatura, dopo una prima parte decisamente riuscita, inciampa più volte in troppi colpi di scena e un finale da dimenticare.

VOTO: 7

giovedì 25 novembre 2010

Fair Game: una grande occassione sprecata

                                                     FAIR GAME
                                           di Doug Liman, 2010

Che i critici americani a volte non siano affidabili l’avevo già intuito ogni volta che incoronavano Madonna come peggior attrice dell’anno. L’accoglienza di Fair Game-Caccia alla spia  ha confermato tale tesi.


Fair Game narra la storia vera dell’ex agente della CIA Valerie Plame e del marito ex ambasciatore Joseph Wilson e la sceneggiatura è tratta dalle loro rispettive autobiografie.

L’ex ambasciatore (interpretato da un sempre ammirevole Sean Penn) smentisce alcune notizie che fanno crollare le scuse adottate dagli Usa per attaccare l’Iraq: ovvero l’esistenza di un traffico di armi tra Africa e Iraq e il sospetto della fabbricazione di armi nucleari nel paese di Saddam Hussein. Per vendicarsi le alte sfere infangano il nome della moglie, irreprensibile agente della CIA (una Naomi Watts da applausi). I due lotteranno e vinceranno, dimostrando non solo di essere stati ingiustamente danneggiati dallo Stato, ma anche che lo Stato americano ha mentito ai propri cittadini per attaccare deliberatamente l’Iraq.

Un film di denuncia dai fini nobilissimi assegnato ad un regista, Doug Liman, abituato a tutt’altro registro (gli interessanti Go! - Una notte da dimenticare e Bourne Identity, e due scadenti blockbuster come Mr and Mrs Smith e Jumper). Un regista abituato a film adrenalici che si ritrova alle prese con un film politico che poteva assumere toni epici alla Milk (tanto per citare un altro film con Sean Penn) e che invece rimane incastrato tra il dramma familiare e quello politico senza trovare mai un equilibrio. Anzi: il film è diviso esattamente in due parti senza alcuna continuità. Nella prima si esplora la vita familiare dei due personaggi, in modo da posticipare sempre di più il nodo cruciale della storia. Dopo averla tirata troppo per le lunghe si arriva ad un ultima mezzora in cui arrivano perfino alcune scene mozzafiato, ma il problema è che giungono troppo tardi. Per un’ora abbondante il film gira a vuoto, preparando lo spettatore all’evento che esplode all’improvviso solo alla fine del film… Liman si rivela quindi del tutto incapace di gestire la materia scottante che si trova tra le mani e sembra privo di qualsiasi padronanza dei tempi filmici, lui che aveva fatto film che di non certo non mancavano di ritmo ed equilibrio. A questo si aggiunge una fotografia ai minimi sindacali e dialoghi troppo lunghi.

Eppure il New York Times ha affermato che" il film è piacevole durante la prima ora, per poi sprofondare in un melodramma senza senso", quando invece è esattamente il contrario!

Per non parlare del The Hollywood Reporter che lo ha definito uno dei migliori film di spionaggio di sempre. Ma qui non siamo nemmeno di fronte a un film di spionaggio!

Per fortuna la critica italiana la pensa diversamente e l’ha stroncato quasi all’unanimità.
Anche il pubblica ha ignorato il film, in Italia come negli USA dove ha ricevuto una distribuzione limitata.

Un vero peccato perché la storia andava diffusa e deve essere conosciuta e ricordata. Un’occasione sprecata. Purtroppo ci hanno rimesso anche i due lodevoli protagonisti a cui si deve l'unica nota positiva del film.

VOTO: 6-

martedì 23 novembre 2010

Maschi contro femmine: il vuoto assoluto del cinema italiano

MASCHI CONTRO FEMMINE
di Fausto Brizzi, 2010
Il film inizia con una bella frase di Massimo Troisi che dice più o meno così: non ci sono persone meno adatte di un maschio e una femmina per stare insieme.
Una premessa che sembra introdurre un elogio filmato dell’amore omosessuale. Invece il pubblico non deve spaventarsi: arrivano presto tante storielle di mariti fedifraghi, dongiovanni, frigide, neo single e universitari immaturi a dimostrarci che nonostante tutto, l’amore trionfa sempre. Più della frase di Troisi, ad anticipare davvero stile e contenuto del film è la cicogna iniziale: così finta e inutile. Una carrellata mal assortita di macchiette meschine ed egoiste, a cui fanno eccezione i personaggi della Signoris e della Cortellesi, che offrono anche le uniche interpretazioni decenti. Privo di ritmo, battute e stile personale, il film arranca nella noia più totale per quasi due lunghissime ore. Fausto Brizzi, ormai lontanissimo dal promettente esordio da regista di Notte prima degli esami, torna allo stile delle origini, ovvero le sceneggiatore per i cinepanettoni con Boldi e De Sica. Ed è proprio la sceneggiatura l’elemento più debole di un film, il che è assai curioso se il regista ha un lungo passato da sceneggiatore. E da questo glorioso passato Brizzi attinge tutti i punti forti della risata italiana, ovvero turpiloquio e tette&culi . Peccato se non troverete divertenti questi elementi e non riuscirete a gustarvi e capire questo humour che in Italia vanta una così lunga tradizione. Peccato se rimarrete basiti in mezzo a una sala divertita. Ma se non capite perché Vaporidis non decida finalmente di rivolgersi alla Cepu per finire ‘sti esami e se vi sembreranno troppi anche i 5 euro del prezzo ridotto pensate che il film ha incassato già 12 milioni di euro e ne incasserà ancora un po’, beh allora per voi non c’è molto da fare, perché l’Italia è questa e il resto del popolo italiano approva. Se volete recuperare una commediola italiana corale divertente e ben recitata noleggiate Oggi sposi, ovviamente ignorato dal pubblico.


VOTO: 4

lunedì 22 novembre 2010

Benvenuti al cinema per riflettere e sorridere

BENVENUTI AL SUD
di Luca Miniero, 2010
Un direttore delle poste del nord è mandato a lavorare per due anni in una sperduta cittadina del sud Italia: quello che s'immaginava un incubo si trasforma per lui in una bellissima esperienza.
Si tratta del remake di Bienvenue chez les Ch’tis (In Italia Giù al Nord) di Dany Boon che qui appare in un cameo “postale”. Luca Miniero, un tempo promettente regista del cinema indipendente e ora regista di serie Tv e film alquanto scadenti, questa volta si è lasciato tentare da un’operazione  che letteralmente ammazza ogni ambizione artistica del cinema italiano e allo stesso tempo ne rivitalizza la stantia situazione economica. Come (quasi) sempre il pubblico premia la bruttezza. Ma per una volta non la volgarità dei cinepanettoni. In questa commedia italiana non ci sono parolacce e intimi particolari anatomici esposti. Il che ne fa già una preziosa rarità. Ma Benvenuti al sud va oltre, fornendo al cinema italiano un inusuale incontro tra farsa, commedia garbata e politicamente talmente scorretta che sembra quasi un’opera straniera. E di un prodotto straniero infatti si tratta: non solo un remake, ma un vero e proprio “format” vincente che dalla Francia si sta diffondendo in tutto il mondo (presto il remake americano con Will Smith) perché tutto il mondo è paese. I pregiudizi e gli stereotipi regnano ovunque. E proprio il superamento di questi ultimi è quanto di positivo si possa trovare in questa pellicola priva di qualsiasi virtù tecnica e artistica ma elevata a inno dell’unità del popolo italiano la cui bellezza risiede anche nella diversità (mentale, culturale, linguistica, geografica, climatica, gastronomica..). In un Italia devestata da divisioni e pregiudizi di ogni tipo, questo non è poco. Ma un film può basarsi unicamente sul proprio messaggio ed ignorare contenuto e tecnica?
Dire di sì sarebbe come affermare che i fini giustificano i mezzi.
E sicuramente i fini qui sono nobili: abbattere stereotipi e arricchire il nostro povero cinema. Peccato per i mezzi: una commediola esile esile che è per lo più la brutta ma fedelissima copia di un film francese di due anni fa. Della serie: anche per prenderci in giro e per fare un inno cinematografico all’unità del nostro paese dobbiamo copiare gli stranieri. Il che è desolante.

Voto: 6- *

*(Qualità artistica: 4, Qualità socio-politica: 8)

P.S. Dopo una seconda visione, aumento il voto a 6,5

venerdì 19 novembre 2010

Inception: un viaggio senza ritorno nel mondo del cinema

INCEPTION
 di Christopher Nolan

Ora che il boom di Inception è passato, esprimo la mia opinione.
Un potente uomo d’affari ingaggia un team di sognatori mercenari che entrano nei sonni altrui: il suo scopo è innestare un’idea nell’inconscio di un altro potente. Il processo non è facile e occorre accedere a diversi livelli di sogno.. Nemmeno spiegare la trama di Inception è facile e bisogna dare atto a Nolan di aver scritto e diretto un film davvero complesso, senza però annoiare mai lo spettatore nonostante le oltre due ore di durata. Questo perché la fantascienza è legata all’action con grande abilità, proprio come fece Matrix. Matrix ma anche la megalomane ambizione di Kubrick. Con la speranza dunque che Nolan non imiti i fratelli Wachowski facendone una trilogia (anche se pare non disdegnare i sequel visto il prossimo Batman), Inception rimane un’opera interessantissima a tutti i livelli. Sbalorditivi e mai gratuiti effetti speciali, superba padronanza di ritmo e ottima direzione d’attori.

Un film che dunque ha come riferimenti alcune opere a cui può essere paragonato per intenti e risultato ma che non ha molti rimandi specifici, a differenza del sempre più citazionista cinema d’oggi. A parte la fortezza nella neve e qualche gustosa coincidenza nella scelta del cast. Non si può non pensare all’altro grandioso film dell’anno,  Shutter Island, vedendo un sempre formidabile Leonardo Di Caprio nuovamente alle prese con una moglie defunta che lo vuole trarre a sé (in questo caso nel sogno) facendo di tutto per convincerlo. E che dire allora di Marion Cotillard, che ha vinto l’Oscar interpretando proprio la chanteuse Edith Piaf che riecheggia per tutto il film nelle note della bellissima Je ne regrette rien?

A tutti coloro che si stanno ancora chiedendo come finisca veramente il film (e mi sembrano sinceramente un tantino esagerate le disquisizioni sorte a riguardo) svelo il mistero rimandando a questo link:

http://gizmodo.com/5651826/inception-ending-revealed-by-sir-michael-caine


VOTO: 8,5

mercoledì 17 novembre 2010

Ancora pochi giorni per votare!

Archiviato lo spazio dedicato ad Anna Magnani, della quale tornerò comunque a parlare quando mi occuperò di Rossellini e Pasolini e della quale vi ricordo di votare il vostro film preferito, torno al presente con le recensioni dei film usciti di recente.

lunedì 15 novembre 2010

Pelle di serpente - una grande coppia per un grande flop

NON DIMENTICARTI DI VOTARE IL TUO FILM PREFERITO CON ANNA MAGNANI NEL SONDAGGIO QUI A FIANCO! CI SONO RIMASTI SOLO POCHI GIORNI!




 PELLE DI SERPENTE (The Fugitive kind)
1959, di Sidney Lumet
Ovvero l’incontro di Anna Magnani con Marlon Brando.

TRAMA

Val (Marlon Brando) detto Pelle di serpente a causa della giacca che indossa sempre, trova lavoro come commesso in Mississippi, facendo perdere la testa a Lady Torrance (Anna Magnani), moglie del proprietario malato, e Carol (Joanne Woodward), sbandata nonché sorella dell’ex di Lady Torrance.Dapprima ostile e sospettosa nei confronti del giovane, la proprietaria lentamente si invaghisce del giovane, intravedendo in lui la possibilità di un riscatto, ma la società arretrata e maschilista non ha pietà per le donne che vogliono essere felici.
Alla fine la polizia intima a Pelle di serpente di lasciare il villaggio. Lo minaccia a morte perché è troppo bello, in pratica. E che dire della povera Lady Torrance, il cui marito l’ha sposata dopo averle incendiato la casa e mandato in rovina la famiglia? La donna si innamora disperatamente del ragazzo giovane e bello e con lui pensa al futuro: vuole la maternità e costruisce una magnifica confetteria con la quale spera di avverare il sogno della sua vita, ovvero avere un’attività propria. Nel negozio ricrea la vigna che le fu bruciata dal marito e si appresta all’inaugurazione con commovente felicità.

Inesorabilmente, il marito, moribondo da mesi, riuscirà comunque a mandarle letteralmente in fumo anche quest’impresa e non solo: una moglie che osa l’emancipazione e la felicità merita solo la morte e perciò la spara. E così i due infelici protagonisti vengono divorati dalle fiamme, mentre il vecchio marito moribondo, continua soddisfatto la propria esistenza colma di odio per il mondo. Carole, osservando disperata il luogo della tragedia, trova finalmente la forza di partire per la città come aveva voluto fare.

COMMENTO
Non vi sembra esageratamente crudele come storia ? In effetti lo è, della serie “Facciamoci del male”, ma la delirante visione del mondo che Williams offre purtroppo non è così assurda e perciò ancor più dolorosa.

Ancora oggi la nostra società è terribilmente spaventata dal potere delle donne e dalle minoranze. Ancora oggi la bellezza può rappresentare un ostacolo in alcune situazioni e molti individui continuano a lottare, invano, per affermare la propria felicità. E ancora oggi conformismo, razzismo, maschilismo e pregiudizi regnano incontrastati non solo nello sperduto Sud degli Stati Uniti..
Ma questo non è l’unico motivo per vedere questo film assai ignorato. Considerarlo un film da recuperare sarebbe inesatto, siccome l’accoppiata Magnani e Brando comunque basta a salvarlo dal dimenticatoio. Eppure il film fu accolto da critiche piuttosto negative dalle quali non è mai stato riabilitato. Tentare di fare un paragone all’accoglienza di The tattoo rose e The fugitive kind è impossibile: da una parte tutta Hollywood entusiasta alla première (Bette Davis, Marilyn Monroe) e ovazioni dalla critica, dall’altra il silenzio interrotto da qualche critica negativa.
Personalmente l’ho apprezzato anche se ne riconosco i limiti. È senza dubbio un film molto teatrale e melodrammatico, e qui questi registri sono dei limiti. Non si può negare che la regia di Lumet è una piatta trasposizione del lugubre dramma di Williams, incapace di dare una dimensione cinematografica all’opera. Come afferma il Morandini, “È un film di attori al servizio della parola: tutto ruota attorno alle battute scritte apposta per il palcoscenico."

Poi c’è il melodramma incarnato dalla stessa Magnani, prima moglie repressa e depressa, poi all’improvviso appassionata e felice amante. Scenate, colpi di scena, dichiarazioni infuocate, drammi.Una storia a tinte forti, anzi fortissime, con un finale straziante e inaccettabile che è un vero pugno allo stomaco e smuove lo spettatore.  Il mondo di Williams è desolante, senza speranza e possibilità di riscatto.Chi spera nella felicità sarà punito con la morte. Una società maschilista, razzista che col suo conformismo non fa che covare il proprio odio per tutto ciò che è diverso:  la libertà, la bellezza e tutto quanto di positivo ci sia al mondo.  Gli uomini del paese hanno un retrogrado disprezzo per le loro mogli, schiavizzate e torturate psicologicamente. L’arrivo in paese di un bel ragazzo come Brando genera solo odio e invidia e gli sguardi e le reazioni che suscita  anticipano quelli di alcuni personaggi di Easy Riders, di cui condivide l’epilogo. Ma mentre i due hippie venivano uccisi per la loro diversità, qui alla diversità si aggiunge il peccato inaccettabile della bellezza. “Troppo bello per lavorare” sembrano esprimere i volti carichi di astio delle principali cariche della città.
ATTORI
Tutti furono d’accordo nell’affermare che la coppia Magnani e Brando funzionasse meglio sulla carta ed è vero. I due offrono due grandi performance, ma sembrano recitare in due film diversi. Troppo sopra le righe lei, e troppo sotto le righe lui. Film.tv addirittura descrive spaesata Anna Magnani, il che mi sembra però ingiusto. La Magnani è sempre la Magnani anche quando fuori parte (risulta poco credibile che un ragazzo giovane e bellissimo come Brando possa innamorarsi di una cinquantenne non bella come la Magnani). Ma vederla felicemente commossa quando mostra la propria confetteria a Brando e poi supplicargli di restare non ha prezzo. È un pezzo di bravura inestimabile in un film che si è fatto dimenticare (troppo) in fretta.

Al loro fianco tanti grandi attori, come Maureen Stapleton (altra figura di moglie sottomessa e umiliata), che aveva interpreto il ruolo di Serafina nella versione teatrale di La Rosa tatuata e la bravissima Joanne Woodward nel ruolo pericolosamente sopra le righe di una ragazza sbandata afflitta da problemi emotivi.

Nonostante il ruolo rischioso, la Woodward fu quella a ricevere le migliori ciritiche.

L’attrice aveva soffiato il premio Oscar alla Magnani proprio l’anno precedente, grazie alla sua performance in La donna dai tre volti. Pochi mesi dopo la fine delle riprese la Woodward sposerà Paul Newman, col quale vivrà per 50 anni, fino alla scomparsa di lui.

REGIA

Sidney Lumet, classe ’24, era al quarto film quando diresse Pelle di serpente. Pochi mesi prima aveva diretto l’altra grande stella del cinema italiano, Sophia Loren  in That kind of woman (Quel tipo di donna). La pièce di Williams Descending Orpheus del 1957 venne trasformata in The Fugitive kind: a parte il titolo, Lumet rimase molto fedele al testo. In oltre 50 anni di carriera Lumet ha diretto tantissimi film, molti dei quali di grande successo di critica, come Serpico (1973), Assassinio sull’Orient Express (1974) e l’ultimo Onora il padre e la madre (2007).
CAPRICCI DA DIVO
Tennesse Williams dopo il grande successo di The tattoo rose, propone alla Magnani di recitare a teatro nel suo Descending Orpheus con Marlon Brando e Elia Kazan come regista. Brando rifiuta e Anna lo segue. Per consolare Williams assicura che al cinema lo avrebbe interpretato senza esitazione. E così fu, anche se Brando si fece pregare molto.  Girato il film il grande attore continuò a fare il divo, pretendendo che il suo nome  fosse il primo e più evidente sul manifesto. Dopo aver litigato con la Magnani e i produttori venne accontentato. Il nome della Magnani avrebbe campeggiato in bella vista invece nella versione europea. Per rimediare, forse, Marlon una sera invitò Anna a uscire . Il giorno dopo lei partì per l’Italia e non sarebbe mai tornata negli States 

NON DIMENTICARTI DI VOTARE IL TUO FILM PREFERITO CON ANNA MAGNANI NEL SONDAGGIO QUI A FIANCO! CI SONO RIMASTI SOLO POCHI GIORNI!

venerdì 12 novembre 2010

L’Italia che continua a odiare la propria cultura e storia.

Basta guardare al cinema per capire l’aria che tira in Italia, sempre pronta a snobbare e dimenticare i propri patrimoni artistici e la propria storia, come il recente crollo a Pompei ha ben esemplificato.

Non mi sembra di esagerare se affermo che Dolce vita di Fellini è un film che ha segnato la storia del cinema, della cultura e dell' immaginario collettivo diventando un pezzo portante della nostra cultura e anche della nostra storia. Quest’anno il capolavoro compie 50 anni e solo la Festa di Roma se n’è ricordata presentando l’ennesima versione restaurata accompagnata dai sentiti elogi di Scorsese. Proprio questa versione da lunedì uscirà nelle nostre sale, gratis per un paio di giorni. Fin qui parrebbe una splendida notizia se non fosse che esce in 9 sale. Insomma quasi come 50 anni fa, quando per vedere un film bisognava compiere decine di chilometri.

Il 25° anniversario di Ritorno al Futuro, poche settimane fa è stato celebrato invece con la proiezione, per una sera, in oltre un centinaio di sale. E si tratta solo del 25° anniversario di un film statunitense dall’impatto culturale nemmeno lontanamente paragonabile a quello del film di Fellini. Che siamo forse un pochino filoamericani e antinazionalisti?

Oggi venerdì 12 novembre esce nelle sale anche un film nuovo di zecca, accolto abbastanza positivamente all’ultimo Festival di Venezia : Noi credevamo di Mario Martone che partendo dai moti risorgimentali approda all’unità d’Italia, giusto pochi mesi prima dell’anno dedicato ai 150 anni della nostra Repubblica Italiana. Un film che è stato apprezzato per l’accuratezza storica e che quindi potrebbe ricoprire un ruolo importante nelle celebrazioni della nascita dello Stato italiano. Eppure uscirà solo in 31 sale, contro le 352 del nuovo film dei Vanzina.

Pur ammettendo che si tratta di un film lunghissimo (170 minuti) e che l'anno prossimo sarà riproposto in Tv in due puntate raggiungendo molta più gente, bisogna anche ricordare che gli italiani hanno comunque trovato tre ore del loro preziosissimo tempo per guardare Avatar.

Il nocciolo è che la fantascienza ultragalattica proveniente dagli USA ci è molto più vicina della storia del nostro paese.

Ma del resto che bisogna dire se lo stesso direttore generale di Rai Cinema, Paolo Del Brocco, domanda : Che ci possiamo fare se i giovani vanno a vedere solo il cinepanettone?”

Al che gli rispondo: se distribuite solo quello in ogni cinema di ogni città, le conseguenze sono piuttosto ovvie. Senza contare che a mio parere, il pubblico dei cinepanettoni non è rappresentato prevalentemente da giovani.

domenica 7 novembre 2010

La rosa tatuata: consacrazione di un'attrice già mito

THE ROSE TATTOO
1955, Daniel Mann
 TRAMA

Louisiana, anni ’50. Serafina (Anna Magnani) è una donna devota e innamoratissima del marito, trafficante di droga che ha anche un’amante. Morto in un incidente, Serafina,  continua a venerarlo e a descriverlo come il migliore degli uomini, non staccandosi mai dalla sua urna cineraria. La donna non riesce a superare il lutto, finendo per isolarsi dal resto degli abitanti e diventare aggressiva e crudele perfino nei confronti della figlia Rosa (Marisa Pavan).  Dopo una sfuriata in chiesa, Serafina è accompagnata a casa da un giovane un po’ strambo che poi si intrattiene a casa sua. L’uomo, che si chiama Alvaro Mangiacavallo (Burt Lancaster) ed è anche lui di origini siciliane, le fa tornare il sorriso. Ma le malelingue sono in agguato.

COMMENTO


La Rosa tatuata è un film che mescola con sapienza dramma e commedia, rappresentando il mondo pettegolo e bigotto dell’America degli anni ’50. Il recente testo teatrale viene rinvigorito dall’ambientazione e come ogni opera di derivazione teatrale, è soprattutto un film d’attori. La riuscita del film è dovuta infatti alla protagonista, che passa da un registro all’altro con grande mestiere. Da segnalare però anche la grandissima prova sopra le righe (spiazzante per l’epoca) di Burt Lancaster nei panni di uno svitato dal cuore d’oro e la sensibile interpretazione della giovanissima Marisa Pavan.


INTORNO AL FILM




Scritto su misura per A. Magnani dal grande Tennessee Williams il dramma del 1950 aveva già conosciuto un grande successo sui palcoscenici nordamericani con la regia dello stesso Daniel Mann. Williams voleva che la Magnani lo recitasse a teatro, ma l’incerta padronanza linguistica dell’attrice, si preferì optare per una versione cinematografica di cui lui stesso curò l’adattamento. È il primo film americano di Anna Magnani che per l’occasione recitò in un inglese dal forte accento italiano e non a caso interpretò poi sempre ruoli da immigrata italiana. Questo è un classico ruolo “alla Magnani”: scenate, urla, disperazione, grasse risate. Fu cioè esattamente quello che tutti si aspettavano da lei, Mann e Williams compresi. L’Oscar fu una conseguenza naturale, ma non scontata perché l’attrice fu la prima italiana (ma anche la penultima) a vincere l’ambitissima statuetta.
Ma non fu l’unica statuetta che si aggiudicò il film: La Rosa tatuata fu infatti un grandissimo successo internazionale di critica e pubblico e alla notte degli Oscar del ’56 gareggiava con ben 8 candidature, tra cui quella di miglior film dell’anno.
Alla fine ne portò a casa tre: attrice, scenografia e fotografia (Wong Howe).
Fu Marisa Pavan, anch’ella candidata all’Oscar (come miglior attrice non protagonista) a ritirare la statuetta, in quanto Anna Magnani era rimasta a Roma. La Pavan (Cagliari, 1932) era arrivata a Hollywood con la sorella gemella dell’attrice Anna Maria Pierangeli, nota per la sua relazione con James Dean e per la morte di overdose a 39 anni. La Pavan, che si trasferì poi in Francia, la ritroveremo accanto a Catherine Deneuve in Niente di grave, suo marito è incinto (L'événement le plus important depuis que l'homme a marché sur la lune) di Jacques Demy (1973).




Per la sua interpretazione la Magnani ha vinto anche il Premio BAFTA alla migliore attrice internazionale dell'anno, il Golden Globe per la migliore attrice in un film drammatico e il National Board of Review Award alla miglior attrice

DANIEL MANN
Daniel Mann fu un regista abilissimo a dirigere i propri attori, tanto da far vincere due Oscar a due protagoniste di due dei suoi film: oltre la Magnani, Mann diresse anche Liz Taylor in Venere in visone.
Negli anni '70 e '80 Hollywood voltò le spalle a Mann, i cui film assunsero una dimensione sempre più low budget. Tra i titoli più interessanti di questa sua seconda fase, Willard e i topi, commovente e angosciante storia di un ragazzo complessato che si rifugia nella compagnia dei topi che ammaestra.

P.S. VI RICORDO DI VOTARE IL VOSTRO FILM PREFERITO DI ANNA MAGNANI NEL SONDAGGIO QUI A FIANCO!

sabato 6 novembre 2010

Deludente ritorno alla commedia per la coppia Ozon-Deneuve

POTICHE
di Francois Ozon
in cinema da ieri

1977, provincia francese. È proprio uno stronzo maschilista il Sig. Pujol (Fabrice Luchini), marito della svampita Suzanne (Catherine Deneuve), sposata per dirigerne l’azienda familiare e ringraziata a suon di corna e segregazione casalinga. Ma gli operai protestano e sequestrano il capo autoritario e conservatore, appoggiato dall’aria revoluzionaria che si respira nella città guidata dal sindaco comunista Babin (Gerard Depardieu). Complice un problema di salute, Pujol è costretto ad affidare il controllo dell’azienda alla moglie, che non solo si rivelerà migliore di lui, ma coinvolgerà anche i loro due figli, finora sempre tenuti alla larga dall’azienda. Perfino la segretaria (Karin Viard), nonché amante di Pujol, sostiene il nuovo capo. Ma non appena Pujol ritorna, il potere maschile tornerà a governare. Non finisce qui.


COMMENTO
Ozon si conferma artigiano attento e impeccabile in grado di conferire un' ottima confezione con ambientazioni e costumi curati nei minimi dettagli, ma ciò non basta a rendere convincente questa favola politica femminista. Così il ritorno alla commedia per il prolifico regista francese si rivela deludente, nonostante le premesse facessero sperare a qualcosa di simile al sorprendente 8 femmes (8 donne e un mistero, 2002): derivazione teatrale, stesse atmosfere e toni, e stessa Catherine Deneuve che anche allora aveva brillato in un numero musicale. Qui il risultato è ben lontano: non diverte, non sorprende, non coinvolge.  La provenienza teatrale diventa un limite, il ritmo è incerto e non si raggiunge mai un vero climax.  Una differenza positiva è invece la componente politica, con la quale Ozon mette in luce quanto la situazione degli anni '70 non fosse così diversa da quella attuale (crisi economica, invasione cinese dei mercati,..)
Di 8 femmes rimangono molte  citazioni: colori e toni strizzano l’occhio alla commedia classica hollywoodiana e alle fiabe colorate di Demy, omaggiato esplicitamente con una Deneuve alle prese con quegli ombrelli colorati che la resero famosa nel lontanissimo 1964 in Les parapluies de Cherbourg.
Simpatica la reunion della coppia Deneuve-Depardieu (l'ottava volta insieme) che però rimanda a nostalgie truffautiane.
E proprio la Deneuve è l’elemento migliore di questo film, ultimo tassello tutt’altro che fondamentale in una carriera straordinaria.

VOTO: 6,5

venerdì 5 novembre 2010

Potiche -La bella statuina: film della settimana

Esce oggi in 95 sale italiane Potiche - la bella statuina, il nuovo film di François Ozon con Catherine Deneuve come protagonista.


La diva  per promuovere il film del regista gay francese ha scelto di posare per la rivista gay Tetu, in cui appare elegantemente vestita a fianco di un modello elegantemente svestito.
Una provocazione con la quale la grande attrice francese si è voluta togliere l’immagine di donna algida che l’ha sempre accompagnata.

A poco più di un mese dall’uscita nelle sale del drammatico Le Refuge, il super prolifico regista francese torna nelle nostre sale con una commedia in cui dirige ancora una volta Catherine Deneuve a 9 anni dal fantastico 8 donne e un mistero. Sono proprio curioso di vedere questo lavoro, accolto benissimo, tra l’altro, al Festival di Venezia . Correte a vederlo e poi ne parleremo!

giovedì 4 novembre 2010

Film da recuperare n°2: Campo de' fiori

                                                          CAMPO DE' FIORI
                                                           1943, di MARIO BONNARD



Roma. Peppino (Aldo Fabrizi), un pescivendolo ambulante di Campo de’ fiori, non più giovanissimo e anche celibe, finge di non accorgersi delle attenzioni di una fruttivendola (Anna Magnani) che ha il banco accanto al suo e la prende sempre in giro. Preferisce infatti rifugiarsi in un mondo tutto suo fatto di grandi incontri amorosi che puntualmente racconta al suo miglior amico, il barbiere dongiovanni (o per lo meno è quanto racconta pure lui) Aurelio (Peppino de Filippo).

Finché un giorno non finisce intrappolato nelle sue stesse frottole. Fa il galante con due sue eleganti clienti, che nemmeno se lo ricordano, mentre all’amico Peppino racconta tutt’altro. Caparbio e raccontaballe, Peppino continua la sua impresa e dopo alcune umiliazioni riuscirà davvero a farsi accettare dal bel mondo delle due agiate signore.
Non solo: scopre che una di loro, Elsa (Caterina Boratto), non ha marito e dunque comincerà a corteggiarla, accettando perfino di badare a suo figlio Carletto (Cristiano Cristiani), di appena cinque anni. Il piccolo è una vera peste e gli combina non pochi guai, ma alla fine finisce per volergli bene e il bambino lo chiama papà. A tutti racconterà che è suo figlio, perfino all’amico Aurelio.

Per il bambino e sua madre, cambia perfino casa e acquista un bellissimo appartamento signorile, con tanto di domestica. Purtroppo nulla va come dovrebbe: è tutto pronto per un bellissima merenda, quando Elsa viene raggiunta da una lettera del padre di Carletto, che dopo anni di silenzio vuole tornare nelle loro vite.

Elsa  non si accorge nemmeno che il piccolo Carletto ora considera Peppino il suo papà e se ne va.
Peppino, disperato, non ha nemmeno il tempo di piangere: lo raggiunge l’amico Aurelio, al quale recita un’altra, ennesima bugia, riuscendo a nascondere le lacrime. Si lancia infatti in un lungo monologo sull’assurdità dell'amore, affermando che lui ha lasciato la donna e il figlio perché non è pronto e non ha voglia di una famiglia, lui è un uomo libero, ha bisogno di libertà e non di cavolate come amore e famiglia. L’amico gli crede, anche perché condivide appieno il suo pensiero.
Gran sciupafemmine, Aurelio non ha aspettato molto infatti a chiedere alla fruttivendola Elide di uscire con lui, ma di fronte alla nuova situazione, decide di far andare Peppino al suo posto.
E il film termina con Fabrizi e la Magnani davanti a un cinema che discutono sul film che andranno a vedere:
MAGNANI: È un film che fa piangere

FABRIZI: Perché come finisce?

             MAGNANI:  Col matrimonio

AUTORI
Il soggetto è di Marino Girolami, sceneggiatura di Aldo Fabrizi, Fellini e Piero Tellini.
La regia è di MARIO BONNARD.

Prima attore di film muti, poi regista di film commerciali che non lasciarono tracce, a parte questo brillante duetto dei due romani più famosi del cinema

CAST
Aldo Fabrizi – al grande attore romano devo dedicare al più presto un post tutto suo.

Peppino De Filippo – altro grande del cinema (e teatro) italiano di cui dovrò riparlare. I suoi duetti con Fabrizi sono la parte migliore dei film. 
 Caterina  Boratto – di lei ho parlato qualche settimana fa, in occasione della sua scomparsa. Qui interpreta Elsa, donna bella, elegante e algida che in fondo pensa solo a se stessa .
 Anna Magnani – la nostra Anna qui interpreta una fruttivendola, ingenua e popolana. I suoi battibecchi romaneschi (ma attenuati e comprensibilissimi) con Fabrizi sono tra le parti più divertenti del film.
COMMENTO: CAMPO DE’ FIORI IERI E OGGI


L’ambientazione in esterni, la voce del popolo, l’amarezza che tinge di cinismo e pessimismo una pur divertentissima commedia, fanno di questo film uscito nello stesso periodo di Ossessione, un’anticipazione del Neorealismo. Il registro dominante di commedia impedì ai critici di analizzarlo più profondamente e di ascriverlo al suddetto movimento poiché una commedia non può essere neorealista.

Ma non sono questi gli unici pregi di un film completamente dimenticato: gli attori, fra tutti un eccelso Aldo Fabrizi, ma anche una divertente Anna Magnani ai suoi esordi. Sempre agli inizi, ma come sceneggiatore, era anche un tale Federico Fellini.

E al di là di nomi illustri il film rimane una godibilissima commedia che non dimostra affatto i quasi 70 anni che porta. Recuperabile in un dvd che lo ripropone in un'ottima versione restaurata, il film resta un affresco commovente, amaro e divertente di una Roma popolana semplice e di buoni sentimenti.

Dialoghi scritti benissimo, buon ritmo, a mio avviso è superiore all’Ultima carrozzella, film dello stesso anno, sempre con Fabrizi e Magnani come interpreti e Fellini tra gli sceneggiatori, ma con la regia di Mattoli, che invece raccolse molti più consensi di critica e pubblico.

martedì 2 novembre 2010

ANNA MAGNANI: la biofilmografia

                                                              BIOFILMOGRAFIA

Alcune fonti  fanno nascere Anna Magnani ad Alessandria d'Egitto, ma il figlio Luca ha recentemente dichiarato che Anna nacque a Roma nel 1908 e poi si trasferì in Egitto. Tornata a Roma, fu cresciuta dalla nonna materna in condizioni di estrema povertà e cominciò molto presto a cantare nei cabaret e nei night-club, mentre ancora  studiava all'Accademia d'Arte Drammatica.
Il suo esordio è datato 1928 e coincide con il film, trascurabile, Lo Scampolo.
Nel 1935 sposò il regista Goffredo Alessandrini, che l’anno più tardi la diresse in Cavalleria.


Divenne ben presto uno dei nomi più richiesti del teatro leggero italiano e della rivista, fino ad approdare sul set di Teresa Venerdì (1941) dove Vittorio De Sica le affidò il suo primo ruolo importante. In seguito interpretò alcune commedie come la delicata, commovente e divertente Campo de' Fiori (1943) e L'ultima carrozzella (1944, qui a lato), entrambe a fianco di Aldo Fabrizi. Poi questi due attori da commedia popolare si trasformarono all’improvviso in attori drammatici di cinema engagé per quella pietra miliare del cinema mondiale che fu Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini, che nel frattempo era diventato il suo compagno.
Il film le fece vincere il primo dei suoi cinque Nastri  d'argento. (Qui sotto una delle immagini più famose del cinema italiano).

In L'onorevole Angelina (1947) di Luigi Zampa , interpretò una donna di borgata " chiamata " a far politica, per rappresentare gli interessi della povera gente come lei.

Nel 1948 Roberto Rossellini ( ritratto con lei qui a sinistra) le fece interpretare l'episodio " La voce umana " in L’amore, altro Nastro d’argento.





Seguì il capolavoro Bellissima (1951), diVisconti, che le valse un altro Nastro d'argento, il quarto in 5 anni!





In seguito al “boom” mondiale del Neorealismo, la Magnani inizia un’intensa attività all’estero.
Prima è diretta dal più grande regista francese, Jean Renoir in La carrozza d’oro (1953), poi ci fu l’avventura americana: Mann, Cukor e Kramer la trasformarono in una diva internazionale, pur se della diva Anna non aveva né l’età nella bellezza. Nonostante ciò la Magnani conquistò immediatamente l’America: il suo forte temperamento e l’accento italiano fecero subito centro e si conquistò l’ambitissimo Premio Oscar già alla sua prima prova americana. Il film era La rosa tatuata ( The rose tatoo) di Daniel Mann.

Il 21 marzo 1956 divenne così la prima interprete italiana nella storia degli Academy Awards a vincere il Premio Oscar come migliore attrice protagonista. Sette anni più tardi l’avrebbe vinto la Loren, recitando però in italiano. Per lo stesso ruolo, vincerà anche un BAFTA quale attrice internazionale dell'anno e il Golden Globe per la migliore attrice in un film drammatico.

Un altro prestigioso riconoscimento internazionale fu quello conferitole nel 1958 al Festival di Berlino per Selvaggio è il vento( Wild is the wind) di George Cukor. Per lo stesso ruolo vinse anche il suo primo David di Donatello e venne nominata per la seconda volta al premio Oscar, che però andò a Joanne Woodward. Proprio quest'ultima  sarà la rivale che con lei si contenderà Marlon Brando in Pelle di serpente (Snakeskin) di Mann, altra sublime interpretazione (a lato).
Tornata in Italia vinse il quinto e ultimo Nastro d'Argento per Suor Letizia - Il più grande amore e il suo secondo David di Donatello per Nella città l'inferno.


Dopo un paio di anni di assenza dagli schermi, la Magnani fu a lungo corteggiata da Pasolini, che come dieci anni prima Visconti, voleva ad ogni costo lavorare con lei.

Il risultato del loro incontro fu Mamma Roma, del quale entrambi rimasero insoddisfatti. Diversa fu l’accoglienza del pubblico e della critica, soprattutto in Francia, che in quegli anni era la maggior estimatrice del nostro cinema.

Nel ’69 il grande regista Stanley Kramer la diresse nella commedia Il segreto di Santa Vittoria, che rappresentò una delle pochissime incursioni cinemtografiche della Magnani di quel decennio.

La situazione del cinema italiano era infatti notevolemente mutata e i registi che l’avevano resa grande non la cercavano più: Rossellini le aveva proferito, anche nella vita, Ingrid Bergman; Visconti, che prima la idolatrava, scelse come sua nuova icona la Cardinale; De Sica si dedicò esclusivamente alla Loren. Ma gli anni ’60 furono soprattutto gli anni di Fellini, che aveva sempre ignorato la Magnani, nonostante l’amicizia che li legava.
Perciò Anna lasciò il cinema per tornare con successo a teatro, dove fu diretta da grandi autori come Franco Zeffirelli, Anhouil che la fecero trionfare sui palcoscenici di tutta Europa. Recitò anche per la Tv (La Sciantosa, L’automobile).

Infine anche Fellini espresse il desiderio di lavorare con lei e la chiamò per una breve e celebrativa apparizione in Roma (1972), perché secondo lui “Anna Magnani è Roma”.

Fu l’ultima apparizione di Anna, malata di canco al pancreas. Il 26 settembre 1973, all’età di 65 anni, si spense, nella sua Roma, la più lucente stella del firmamento cinematografico italiano. Il suo funerale si trasformò in un evento pubblico quando il suo feretro venne accolto da infiniti e commossi applausi.
È sepolta nel piccolo cimitero di S. Felice Circeo (Latina), nei pressi della sua villa.

VITA PRIVATA


Il matrimonio col regista Alessandrini non durò molto e dalla breve relazione con l’attore Massimo Serato, molto più giovane di lei, ebbe un figlio, Luca, nato del ’42. Abbandonata appena fu resa nota la gravidanza, l'attrice riuscì ad imporre il proprio cognome al figlio, proprio come la madre Marina fece con lei, confermando così una sorte di tradizione familiare che vedeva il protrarsi del cognome Magnani .
Quando morì al suo capezzale aveva, oltre al figlio, anche Rossellini.