Visualizzazioni totali

martedì 30 ottobre 2012

Ci si diverte ancora con L'era glaciale



L’ERAGLACIALE  4 - CONTINENTI ALLA DERIVA
(Ice age 4 - Continental Drift) 
di Steve Martino e Mike Thurmeier,
USA, 2012

Se ti piace guarda anche: L'era glaciale 1, 2 e 3.


TRAMA
La causa della deriva dei continenti? Naturalmente Scrat, che nel tentativo di nascondere la sua ghianda ha nuovamente sconvolto l’universo, portando tutti gli animali a migrare ancora una volta.

RECENSIONE
Giunti al quarto episodio, i creatori de L’era glaciale mostrano qualche segno di stanchezza, anche se la formula rimane vincente, convincendo grandi e adulti con l’ennesima avventura rocambolesca e divertente, degli ormai mitici protagonisti: l’imbranato Syd, questa volta accompagnato dall’irresistibile nonnina sciroccata (new entry riuscita), la tigre Diego che incontra la tigressa Shira (poco interessante, scontata) e Mannie il mammuth alle prese con una figlia adolescente, Pesca, alla quale piace il mammuth più figo.
In fondo la trama non è che un pretesto per rivedere ancora una volta i nostri quattro beniamini (come non includere infatti gli indispensabili siparietti comici di Scrat), tant’è che tutte le new entry che dal secondo episodio puntualmente appaiono risultano in fondo inutili.

La versione italiana è penalizzata dal doppiaggio insopportabile di Filippo Timi che purtroppo sostituisce l’ottimo Leo Gullotta di Mannie.
E a questo punto inizia la mia personale petizione per non far più doppiare nulla a Filippo Timi: eccellente attore, pessimo doppiatore: dopo aver rovinato il Bane di Tom Hardy ora penalizza notevolmente il mitico Mannie.

VOTO: 6,5

domenica 28 ottobre 2012

Kafka e Welles: l’incontro di due geni



IL PROCESSO
(Le procès)
Francia, 1962
Con Anthony Perkins, Romy Schneider, Orson Welles, Jeanne Moreau, Elsa Martinelli, Arnoldo Foà, Michael Lonsdale
Genere: Dramma
 
Se ti piace guarda anche:  Tempi moderni, Fahrnenheit 451, Brazil

TRAMA
Per Joseph K. (Anthony Perkins) quella che sembra una mattina normale è l’inizio di un incubo che lo porterà alla tragedia: degli emissari vengono infatti a casa sua per annunciarli che dovrà rispondere in tribunale di un’accusa di cui loro però non possono specificare la natura. Una avvocato (Orson Welles) cercherà di aiutarlo, invano..


 RECENSIONE
Trasformare un capolavoro letterario in film non è mai facile, ma un fuoriclasse come Orson Welles si è misurato con uno dei più importanti romanzi del Novecento senza sfigurare.

Non siamo proprio di fronte a un capolavoro letterario, ma l’adattamento trasmette tutto il disagio contenuto nelle pagine del romanzo e poche immagini bastano a volte per incutere più malessere di decine di pagine. La posizione delle macchine da presa in questo senso aiuta molto, così come gli allestimenti scenografici: il senso di oppressione e di alienazione sono garantiti. Qualche perplessità deriva dalle interpretazioni, inferiori alle aspettative, compreso il tormentato protagonista Anthony Perkins.

Accolto tiepidamente dai critici americani, il film fu accolto meglio in Europa e rivalutato comunque solo successivamente.

Girato tra Cinecittà, Zagabria e il Museo d’Orsay quando era una stazione ferroviaria in disuso. L’idea di usare l’ex stazione venne in mente quando una sera chiacchierava ubriaco con Jeanne Moreau in una camera d’albergo di fronte all’Orsay. La Moreau nel film interpreta la parte della prostituta di cui è innamorato K.


 REGISTA
Orson Welles (1915-1985) 
Regista, sceneggiatore e protagonista del "film più bello della storia del cinema" secondo molti, ovvero Quarto Potere (1941), girato quando aveva solo 25 anni. Ostacolato e ostracizzato da Hollywood, girò la maggior parte dei film successivi in Europa, spesso faticando per trovare finanziatori per le proprie titaniche ambizioni.

ATTORI PRINCIPALI

Anthony Perkins (1932-1992)
Rimasto nella storia del cinema per aver interpretato il ruolo del killer in Psyco (1960) di Alfred Hitchcock.
Romy Schneider (1938-1982)
Raggiunta la popolarità negli anni '60 come Principessa Sissi, conobbe poi una fortunata carriera cinematografica che la portò a lavorare con grandi registi europei come Luchino Visconti, Joseph Losey e Claude Sautet.

Jeanne Moreau (1928)
Interprete di molti film rimasti nella storia del cinema, Jules e Jim su tutti, la Moreau fu diretta in quattro film da Orson Welles (vedi post precedente), anche se solo tre furono distribuiti: Il processo, Falstaff e Storia immortale.
 Orson Welles, Jeanne Moreau e Anthony Perkins all'anteprima parigina.
 http://www.ilpost.it/files/2012/04/AP6203230104.jpg

sabato 27 ottobre 2012

Orson Welles e Jeanne Moreau: una storia immortale



 
Quella tra Orson Welles e Jeanne Moreau è una storia iniziata negli anni ’40 e destinata a far ancor parlare di sé. Tre sono i film in cui i due hanno recitato insieme e tre quelli in cui Orson Welles ha diretto Jeanne Moreau (sempre nella parte di una prostituta), oltre a uno tutt’ora inedito che in un futuro non molto lontano potrebbe vedere la luce e illuminare ancora una volta questa fantastica coppia cinematografica.
 
Lui la conobbe quando lei era ancora un’attrice teatrale, mentre il loro primo film è del 1962 e si tratta di un titolo importante come Il Processo, tratto dall’omonimo capolavoro di Kafka. 

Due anni più tardi Welles si misurò con un altro genio, Shakespeare, con l’ambiziosissima intenzione di rileggere e riassumere in un’unica opere il Riccado II, Enrico IV, Enrico V e Le allegre comari di Windsor.

Nel 1967 i due recitarono insieme ne Il marinaio di Gibilterra di Tony Richardson, il film che pose fine al matrimonio tra il regista e la moglie Vanessa Redgrave.

Nel 1968, infine, fu la volta di Storia Immortale, un mediometraggio che li vede protagonisti e che dalla critica è stato ed è ancora giudicato all’unanimità un capolavoro, nonché miglior film di Welles assieme a Quarto Potere.

Per Welles però erano cominciati i problemi finanziari.
E come sappiamo, moltissimi suoi film sono rimasti incompiuti.
Per mancanza di fondi, egli girava i suoi film nel tempo libero dai suoi lavori come attore, ragione per cui le riprese duravano anche per anni, come nel caso di The deep (The dead reckoning), iniziato nel 1966 e interrotto la prima volta nel 1969 e poi nel 1973.
Mancava solo una scena, quella di un’esplosione e occorreva doppiare in inglese la parte di Jeanne Moreau. Ma uno dei protagonisti, Laurence Harvey morì e il progetto rimase incompleto.

Nel 1989 Philip Noyce portò sul grande schermo lo stesso romanzo di Charles Williams in Ore 10 calma piatta, il film che fece conoscere Nicole Kidman.



Ci fu poi The other side of the wind, film che Welles iniziò a girare nel 1970 e che conobbe molte interruzioni dovute alla mancanza di un budget e che purtroppo non vide mai la luce. Si trattava di un progetto ambiziosissimo (come sempre) in cui Welles diceva la sua sul suo mondo e quello del cinema, prendendo di mira produttori sleali e critici avvelenati.

Doveva essere un film molto personale in cui si affrontava anche un tema finora esplorato da Welles, quello dell’omosessualità: infatti il protagonista è un vecchio regista morente, eterosessuale, che si innamora dell’attore protagonista del suo film. 

Il film fu girato fra amici, per risparmiare sui costi: e quando si hanno amici come John Huston e Jeanne Moreau...

Il ruolo della feroce critica cinematografia era stato scritto per Jeanne Moreau, che però non girò il film, secondo i maligni per il cattivo sangue che scorreva tra lei e la giovane fidanzata di Orson Welles, Oja Kodar, che il regista faceva recitare al fianco di grandi interpreti.  

Eppure nel 2008 Anjelica Houston affermò che c’erano delle scene girate con suo padre e Jeanne Moreau senza che i due attori si fossero incontrati: Welles aveva filmato la Moreau a Parigi e Houston in America, montando il tutto come se il dialogo avvenisse nello stesso luogo.

Forse  quindi fu l’impossibilità della Moreau di lasciare la Francia uno dei motivi che spinsero Welles a farla sostituire prima dalla moglie di Bogdanovich e poi da Susan Strasberg.
Il regista Peter Bogdanovich, uno dei protagonisti del film, promise a Welles che se fosse successo qualcosa, avrebbe terminato lui il film.
Quasi trent’anni dopo il regista dichiarò che avrebbe ultimato il film per presentarlo al Festival di Cannes del 2010. Noi lo stiamo ancora aspettando.
 

giovedì 25 ottobre 2012

Non bisogna essere normali per diventare eroi



PARANORMAN
di Chris Butler e Sam Fell,
USA, 2012
Genere: Film d'animazione

 

Se ti piace guarda anche: Monster House, Coraline e la porta magica, Nightmare before Christmas

TRAMA
Norman è un ragazzo che ha il dono di parlare con i morti: deriso e umiliato da tutti per questo, si trasformerà nella salvezza della sua cittadina quando alcuni zombi e una strega cattiva si risveglieranno dal loro sonno che sembrava eterno…
 
RECENSIONE
A tre anni dallo straordinario Coraline e la porta magica La Laika Entertainment torna con un nuovo cartoon in stop-motion, che rispetto al predecessore è meno poetico e gotico e più infantile, nonostante la critica dica il contrario. Coraline era intriso di vere atmosfere dark e lirismo, qui sostituiti da tanto humour e dialoghi ridondanti pensati per un pubblico molto giovane. Per un altro tipo di pubblico invece sono le diverse citazioni, dall’horror all’italiana anni ’60 a quello giapponese. In ogni caso siamo più dalle parti di Monster house che da Coraline.

VOTO: 7

martedì 23 ottobre 2012

Amour, quando il cinema è un atto di violenza



AMOUR 
di Michael Haneke,
Francia/ Austria, 2012
con Jean-Louis Trintignant, Emmanuelle Riva, Isabelle Huppert

 

 Se ti piace guarda anche: La pianista, Il nastro bianco
 
TRAMA
Due amabili e amorevoli vecchietti conducono una vita serena e tranquilla, finché lei non viene colpita da una malattia che le farà perdere progressivamente ogni possibilità di muoversi e comunicare. Lui la assiste amorevolmente, molto meglio di quanto faccia l’infermiera, assistendo impotente al deperimento fisico e mentale della persona amata.

RECENSIONE
Haneke, dopo aver dipinto il male nascosto in un villaggio rurale dell’Europa pre-fascista in Il Nastro bianco, vincitore della Palma d’oro a Cannes nel 2009, torna ai giorni nostri per raccontare il male che annienta il corpo e anche questa volta si aggiudica l’ambitissimo premio.

Questa volta l’esplorazione del male avviene tramite l’incursione nel mondo della vecchiaia e della malattia, due universi che l’uomo moderno e di conseguenza il cinema cercano di fuggire, mostrandoci ciò che nessuno vorrebbe vedere. Il regista resta dunque fedelissimo al suo cinema, in cui si cerca sempre di porre lo spettatore in un condizioni di disagio. Questa volta però tra spettatore e protagonista c’è un’empatia particolare, in quanto entrambi assistono impotenti allo stesso straziante spettacolo e così  questa volta l'usuale sadico voyeurismo è giustificato con le cure del personaggio maschile e si arriva perfino a impacchettare il tutto con il titolo “Amour”, anche se forse “Agonia”,“Malattia” o “Vecchiaia” erano molto più consoni, benché meno allettanti.

A livello narrativo Amour si limita a registrare una storia lineare senza nulla di coinvolgente e il tentativo di inserire un elemento lirico nella prevedibile trama si rivela solamente ridicolo (gli episodi col piccione non sono commentabili).
Ciò dispiace perché il film inizia in modo superbo descrivendo questa coppia di ottuagenari deliziosi che si prendono cura uno dell’altra in modo commovente. Purtroppo la protagonista femminile muterà velocemente lasciando il film ai silenzi di Trintignant e ai lamenti insostenibili della Riva, che offre anima e corpo con una generosità quasi insopportabile ma meritevole di ogni riconoscimento. 
Così non è stato: si è preferito premiare l' inferiore (ma comunque ottima) interpretazione di Jean-Louis Trintignant.
In ogni caso per ogni cinefilo è emozionante vedere insieme queste due icone della Nouvelle vague, lui protagonista di Piace a troppi (Et Dieu crea la femme, 1957) di Roger Vadim e lei di Hiroshima mon amour, 1959, di Alain Resnais.
Ma per il resto, il film è una lunghissima e insostenibile esibizione della sofferenza umana, crudele spettacolo a cui tutti purtroppo siamo stati o saremo spettatori, anche senza pagare un biglietto del cinema. 
In conclusione, come la maggior parte di film di Haneke, lo spettatore che entra nel cinema ha la consapevolezza di assistere a uno spettacolo doloroso e insopportabile. Prendere o lasciare.

VOTO: 6-

domenica 21 ottobre 2012

Il diavolo si nasconde dove meno te l'aspetti..



…E IL DIAVOLO HA RISO
(MADEMOISELLE)
di Tony Richardson
Con Jeanne Moreau, Ettore Manni, Umberto Orsini
Francia/UK/Italia, 1966
Genere: Drammatico

Se ti piace guarda ancheIl nastro bianco,  Antichrist.


TRAMA
Quando tutto il paese partecipa a una processione, una donna apre una diga e fa allagare l’intero villaggio. Poi passa in un prato, dove trova una quaglia che sta covando le uova: fatto scappare l’animale schiaccia le uova e prosegue il suo cammino nel bosco. Con dei rami fioriti intreccia una corona e un pastore da lontano le fa notare che è per le ragazzine. La donna, offesa, continua a camminare a arriva finalmente a casa, dove come per prima cosa si toglie le scarpe con tacco alto e le posiziona nell’armadio dove ne custodisce molte altre, tutte dello stesso tipo. 

Con questi pochi minuti il regista ci illustra perfettamente personaggio e situazione: in un piccolo villaggio agricolo una donna, non sposata, si diverte a provocare del male facendo ben attenzione a non farsi scoprire. Subito dopo scopriamo che non si tratta di una donna qualunque: è colei che tutti chiamano semplicemente Mademoiselle, l’insegnante del villaggio che nel tempo libero è pure segretaria del sindaco.


Una persona rispettata da tutti, nonché una donna elegante e di gran fascino. Nessuno sa che questa signorina nasconde tanta cattiveria. Un bracciante italiano e suo figlio, arrivati per un lavoro stagionale, diventano il bersaglio dell’istinto distruttivo della donna, che li farà incolpare di diversi crimini, tra cui incendi e stupro.

PRODUZIONE
C’era grande attesa per questo film ambizioso che vedeva l’incontro di due grandi letterati francesi: una storia di Jean Genet sceneggiata da Marguerite Duras. Come attore maschile inizialmente si era vociferato Marlon Brando, ma alla fine Richardson si dovette accontentare dello sconosciuto attore italiano Ettore Manni
ACCOGLIENZA
Il film fu stroncato dalla critica e solo la Moreau si salvò per “l’abilità di essere impeccabile anche nei suoi film peggiori”. 
Liquidarlo come uno dei film peggiori di Jeanne Moreau è un’esagerazione: sicuramente Mademoiselle non è un film del tutto riuscito che smentisce presto l’affascinante incipit per raccontare con poca emozione e troppi simbolismi le gesta di una criminale nascosta sotto le vesti della borghese rispettabile. Le sue gesta riflettono e riassumono quelle dell’interno villaggio: razzista e bigotto ma pronto a scagliare la pietra contro lo straniero.

Rimane un film interessante per gli appassionati di Jean Genet e Marguerite Duras e soprattutto resta un ambizioso esercizio di stile per illustrare come il male può insediarsi nelle persone e nelle comunità più insospettabili. A vantaggio del film va pure il fatto che non si tenta in alcun modo di giustificare il personaggio, man mano sempre più sgradevole pur mantenendo un conturbante fascino.
Da segnalare lo splendido bianco e nero di David Watkin, così come i costumi, premiati col BAFTA.

JEANNE MOREAU
Jeanne Moreau, ancora una volta nei panni di un protagonista negativo,  divenne poi cara amica della scrittrice Marguerite Duras che la volle come protagonista del suo film Nathalie Granger.
La Moreau era anche amica di Jean Genet e vent’anni più tardi fu tra le protagoniste di Querelle, l’ultimo film di Fassbinder tratto da una pièce dello scrittore francese. Nel 2011 Jeanne Moreau ha anche portato in musica una pièce di Genet, Il condannato a morte.
Ma Jeanne Moreau era anche intima del regista Tony Richardson, che un anno dopo avrebbe lasciato per lei la moglie Vanessa Redgrave, entrambe protagoniste del suo film successivo Il marinaio di Gibilterra.


REGISTA
Tony Richardson (1928-1991), regista inglese premio Oscar nel 1964 per Tom Jones.
 




giovedì 18 ottobre 2012

Il giorno può anche essere speciale, il film no!



 UN GIORNO SPECIALE
 di Francesca Comencini
Italia, 2012,
con Giulia Valentini, Filippo Scicchitano 
Genere: Commedia drammatica

Se ti piace guarda anche: Pianoforte, A casa nostra.

Storia di due vite precarie che si incontrano a Roma in un giorno pieno di promesse per entrambe.
Lei è una ragazza carina, con una mamma che la prepara, orgogliosa e agitatissima, per il suo grande giorno: quello in cui concederà delle prestazioni sessuali a un senatore nella speranza di ottenere in cambio qualche lavoro come attrice.
Lui è un ragazzo carino al suo primo giorno di lavoro come autista incaricato di portare l’aspirante showgirl dal senatore.
L’inizio è promettente, il finale furbo, ma sostanzialmente il film non presenta motivi d’interesse, vuoi per la trama scontata e già conosciuta, i dialoghi poco sinceri, i personaggi poco incisivi.
          
I due attori, lei esordiente e lui già sorprendente protagonista dell’apprezzato Scialla! si impegnano a rendere credibili situazioni e dialoghi che non lo sono, ma non possono fare molto per una sceneggiatura che non rende loro giustizia. In particolare, il personaggio maschile ha un’involuzione che si fatica a comprendere, mentre la protagonista fin dall’inizia rappresenta bene la rassegnazione e la superficialità del personaggio.
Era un film che aveva bisogno di una caratterizzazione dei personaggi molto forte e di scelte registiche originali, elementi che mancano nel nuovo lavoro della regista di Lo spazio bianco e Mi piace lavorare (Mobbing).

Voto: 4,5

martedì 16 ottobre 2012

Sesso, droga e teste mozzate

LE BELVE
(THE SAVAGES)
di Oliver Stone
USA, 2012
Genere: Azione


USCITA ITALIANA: 25 OTTOBRE

con Taylor Kitsch, Aaron Taylor-Johnson, Blake Lively, John Travolta, Salma Hayek, Benicio del Tero, Emile Hirsch, Demian Bichir.

Se ti piace guarda anche: Traffic, Natural Born Killers, U-Turn, Jackie Brown.

TRAMA
A Laguna Beach due ragazzi se la spassano in una lussuosa villa in riva al mare dove condividono l'amore della bella 'O senza alcuna rivalità. Un giorno però ricevono un video di minacce. I due sono i più importanti coltivatori di marijuana della zona e hanno non pochi nemici e rivali... Le cose precipitano quando la loro 'O viene rapita: i due sono disposti a qualsiasi cosa pur di averla indietro.

RECENSIONE
Oliver Stone torna a esplorare le vie del male e questa volta lo fa attraverso le forme di un amorevole e bellissima mamma che non esita a far decapitare debitori e traditori e attraverso due bei giovani disposti a tutto pur di salvare la propria amata. 
I due vivono una vita composta da sesso (a tre), cocktail e spiaggia, ma nascondono un commercio di stupefacenti che li trascinerà un sanguinoso regolamento di conti.
Nella sua nuova pellicola Stone sostituisce la forma alla sostanza finendo per soffocare sotto l’impalcatura estetica di un film fotografato e montato benissimo.
 



Come action è ottimo, tant’è che la tensione rimane altissima per due ore di fila. Ma alla fine di queste due ore di grande violenza cosa rimane?
Nulla, era solo intrattenimento. Un intrattenimento decisamente pulp, che come Tarantino cerca di mixare violenza e ironia, senza però riuscirci del tutto.  Resta infatti qualcosa di profondamente disturbante, non solo nelle scene gore del film, ma anche nel messaggio del film, che assolve i propri personaggi, tutti assassini redenti.

Il romanzo Le belve di Don Wislow è stato scritto nel 2010 per metà sotto forma di sceneggiatura, tant’è che quando i produttori ne acquistarono i diritti avevano tra le mani già una mezza sceneggiatura.
Il romanzo fu definito da Stephen King “drammatico, sexy e pieno d’azione” come Butch Cassidy and the Sundance Kid, il film è indubbiamente pieno di azione e tensione, anche sexy in alcune scene, ma manca il vero dramma, sostituito dalla tensione.
Il regista che vinse il Premio Oscar come regista per Platoon e Nato il 4 luglio e come sceneggiatore per Fuga di mezzanotte, conferma la propria parabola discendente con un film estetizzante ma vacuo.
Nel reparto degli attori spicca soprattutto la crudele Helena di Salma Hayek. Anche John Travolta si ritaglia un ruolo azzeccato. Emile Hirsch sembra ormai inspiegabilmente incastrato in piccoli ruoli secondari che non gli fanno giustizia, mentre Taylor Kitsch per la prima volta è diretto da un regista degno di tale nome. Peccato che nel montaggio finale sia stato completamente tagliato il personaggio interpretato da Uma Thurman.

VOTO: 6

- I tuoi uomini ti ameranno anche, cara, ma non ti ameranno mai come si amano loro due, altrimenti non ti condividerebbero.-                                                   Helena a O', alias Salma Hayek a Blake Lively

 

domenica 14 ottobre 2012

Un'indimenticabile Jeanne Moreau diretta Luis Buñuel

(IL DIARIO DI UNA CAMERIERA)
LE JOURNAL D'UNE FEMME DE CHAMBRE
di Louis Buñuel
Francia/Italia, 1963
con Jeanne Moreau, Michel Piccoli
Se ti piace guarda anche: Viridiana, Il fascino discreto della borghesia, Milou a maggio




Una domestica parigina, Celestine (Jeanne Moreau, Jules et Jim) arriva in una ricca famiglia di campagna composta da una padrona di casa frigida che non accontenta i bisogni sessuali del marito (Michel Piccoli, Habemus Papam) e dal padre di lei che è un feticista. Celestina si muove con abilità in questo ambiente, accontentando le manie feticiste dell’anziano che le chiede di leggere romanzi indossando stivali che lui custodisce gelosamente e provocando ma fuggendo il padrone di casa.


 Ma ci sono altri personaggi con cui si confronta: un giardiniere sovversivo e ripugnante e un poliziotto ugualmente ripugnante, collerico e antisemita.
Cederà alle lusinghe del primo ma finirà per sposare il secondo.
Buñuel come al solito non risparmia nessuno: domestici, ricchi, poliziotti. Ciò che più stupisce però è che non salva nemmeno la protagonista, che man mano diventa sempre più ambigua, per non dire sgradevole. In fondo non è meno meschina degli altri, in fondo tutti pensano solo ai propri interessi.
La Celestine di Jeanne Moreau ci viene presentata infatti maliziosa e smaliziata, sicura di sé, ironica, migliore dei ricchi e dei poveri che ha attorno. In nome della giustizia, arriverà anche a sacrificare il suo corpo, ma il gesto si rivelerà inutile e così cederà al più ripugnante dei suoi pretendenti, l’unico rimasto: lo sgradevole poliziotto, uomo medio razzista e misogino che però la renderà padrona di casa. Celestine diventerà così uguale alla sua ex padrona di casa: frigida e severa col marito, che le fa da servo.
Nel romanzo la cameriera si accasava col domestico, un pari. Il regista spagnolo perché sconvolge questo elemento per criticare anche la propria protagonista. Il romanzo da cui è stato tratto il film è di Octave Mirabeau, col quale Buñuel condivide molti elementi: educazione gesuita, origini borghese e idee politiche sovversive.
Questo film è la prima collaborazione del maestro surrealista con lo scrittore Jean-Claude Carrière (classe 1981) con cui si instaura un sodalizio artistico dal quale nasceranno capolavori come Bella di giorno, La vita lettea, Il fascino discreto della borghesia, Il fantasma della libertà, Questo oscuro oggetto del desiderio. Per Carrière sarà l’inizio di una carriera folgorante, che lo porterà a collaborare più volte con alcuni dei più importanti registi della storia del cinema europeo : Louis Malle (Viva Maria! con Jeanne Moreau, Il ladro, Milou a maggio ), Milos Forman (Taking Off, L’ultimo inquisitore con Natalie Portman). Nel film lo sceneggiatore appare nel ruolo del curato che dispensa consigli sulla condotta sessuale della padrona di casa che non riesce a capire perché il marito voglia più di due rapporti a settimana. 
-L'importante è che voi non proviate mai piacere, signora!-
- Naturalmente, signor curato. -

venerdì 12 ottobre 2012

Reality: un'amara riflessione sul crollo culturale della nostra società

REALITY
di Matteo Garrone,
Italia, 2012
Genere: Dramma
con Aniello Arena, Nando Paone, Nunzia Schiano, Ciro Petrone
 
Se ti piace guarda anche: Gomorra, Ginger e Fred, Videocracy
Luciano è un pescivendolo amato dai concittadini e dalla famiglia che dopo aver fatto quasi per scherzo un provino per il Grande Fratello rimarrà vittima del terribile virus dell'ossessione di diventare famoso.
Uscendo dalla sala si è accompagnati da un duplice sentimento di tristezza: la malinconia per la storia raccontata, che ci riguarda tutti così da vicino, e l’amarezza per un film che con qualche sforzo in più poteva essere un capolavoro e invece rimane lì sospeso, come il finale della pellicola.
Garrone in ogni caso compone un film potente per immagini, lirismo e significati, capace di omaggiare e riunire con spontaneità e talento il grande cinema italiano di un tempo– il neorealismo, la commedia all'italiana, De Filippo e soprattutto Fellini. Ma Garrone mostra anche a quale condizione si è ridotto il nostro cinema, simboleggiato da Cinecittà, monumento agli anni d'oro del cinema italiano e oggi cumulo di scenografie che cadono a pezzi e set dei provini e riprese del Grande Fratello.
Da Fellini ai reality: perfetta parabola del tonfo culturale a cui oggi siamo spettatori.
Oltre alla satira sociale, che tocca il grottesco proprio come accadeva in Fellini, la cui ombra in Reality è sempre presente, Garrone tenta di mostrare la piaga sociale derivata dai reality show, ma la condisce con troppi lirismi per risultare davvero realistica e convincente.
In ogni caso almeno per un’ora siamo di fronte a un ottimo film, che ci mostra come la lusinga della fama, trasformandosi in ossessione, può rovinare un uomo e un’intera famiglia.
Reality è anche la descrizione - tutt'altro che clinica, di una malattia, di un vero e proprio Calvario che si materializza nella via crucis finale. 
La componente religiosa che Garrone inserisce nella pellicola presenta aspetti interessanti: innanzitutto la denuncia dell’ipocrisia, esemplificata nella scena in cui una signora, in Chiesa, mentre sta pregando mente ai propri interrogatori; poi la parabola di Luciano, non praticante che si avvicina la fede e diventa benefattore per guarire dalla propria ossession.
Gran premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes presieduto da Nanni Moretti.
VOTO: 8-

mercoledì 10 ottobre 2012

Virzì si conferma uno dei migliori registi italiani in circolazione



TUTTI I SANTI GIORNI
di Paolo Virzì,
Italia, 2012
con Luca Marinelli, Federica Victoria Caiozzo in arte Thony, Micol Azzurri
Genere: Commedia

Se ti piace guarda anche: La prima cosa bella, Tutta la vita davanti
DATA DI USCITA: 11 OTTOBRE

Gli opposti si attraggono e ne sono la dimostrazione Guido (Luca Marinelli) e Antonia (Thony), lui colto, impacciato e fuori dal mondo e dal tempo, lei ragazza disinibita con passato turbolento e il sogno di fare la rockstar sostituito con quello di diventare madre.
I personaggi di Guido e Antonia sono descritti e interpretati talmente bene da entrare subito nel cuore dello spettatore: nelle loro esistenze, nei loro pregi e difetti è facile riconoscersi, ma ciò non significa che siano ordinari. Sono personaggi speciali che si muovono in un mondo banale e volgare, ben rappresentato dai burini da cui sono circondati (i vicini di casa, i clienti del pub). Guido è un uomo di altri tempi, in tutti i sensi, che parla un italiano antico e letterario incomprensibile ai più e colma di attenzioni l’amata e confusionaria compagna che lo ricambia amorevolmente.
Il loro sogno di diventare genitori si scontrerà con la dura realtà e l’iter medico che li trascinerà in un’avventura esilarante e toccante. Ma Antonia, dietro all’apparenza sicura, è un’anima fragile, che non accetta le proprie origini, non sopporta la sua famiglia e nemmeno se stessa, finendo per avere atteggiamenti autodistruttivi. Guido, al contrario, apparentemente goffo e fragile, è in verità sicuro e deciso e sa che la sua Antonia, nonostante tutto, è un essere speciale e lui avrà cura di lei.
 
A due anni da La prima cosa bella, che collezionò lodi per limpidità di scrittura e bravura nella direzione degli attori, Paolo Virzì torna con una storia intimista ispirata a un romanzo (La generazione) del concittadino Simone Lenzi e lascia ancora il segno con un bell’esempio di cinema italiano ben scritto, diretto e interpretato, capace di far sorridere (in questo caso tanto) e commuovere, confermando il fruttuoso sodalizio con Francesco Bruni (anche regista del sorprendente Scialla!). Applausi ai due sconosciuti interpreti, un Luca Marinelli cult e l'esordiente e irresistibile Federica Victoria Caiozzo in arte Thony, nella vita cantante e per l’occasione anche autrice anche delle canzoni del film.
VOTO: 8-