Un giovane torna dalla famiglia, in Puglia, per annunciare una notizia che di sicuro porterà scompiglio, ma il fratello lo precede.
Ozpetek torna alla formula del film corale e a toni e temi a lui più cari: il melò e la tematica sessuale. Siamo tornati nei paraggi di Saturno Contro, col quale condivide tutto: titolo efficace, grandi tavolate, ricco cast, omosessuali più o meno spensierati e soprattutto il risultato. Anche qui siamo di fronte ad un film con buone potenzialità ma poco riuscito. Mentre il film del 2008 era sull’elaborazione del lutto, quest’ultimo è un inno alla vita, che va accettata nelle peculiari sfumature in cui ci è stata data e vissuta liberamente.
Ma non commuove, non diverte particolarmente e non graffia. Si limita a procedere per accumulo. Tante scenette simpatiche che compongono un puzzle scompigliato. Perfino le musiche deludono, facendoci rimpiangere i bellissimi temi di Andrea Guerra composti per La Finestra di Fronte e Cuore sacro (film secondo me incompreso che io considero il migliore del regista).
Tra gli attori spiccano Ennio Fantastichini e Lunetta Savino, ma Ozpetek aveva saputo dirigere meglio i suoi attori in passato (Ferrari, Mastandrea, Favino, Bobulova, Mezzogiorno, Accorsi, perfino Garko e Bova).
Colpa anche di una sceneggiatura che mortifica gli interpreti: la bellissima Nicole Grimaudo ricopre un ruolo puramente decorativo e tutt’altro che indispensabile, Preziosi sparisce subito lasciando sospese troppe domande interessanti, Elena Sofia Ricci ha un ruolo puramente comico e all’evocativo personaggio di Ilaria Occhini viene concesso poco spazio.
A nuocere interviene pure il provincialismo di cui si tinge il film, trasferendo l’azione dalla cosmopolita Roma a Lecce per mettere in scena la solita famiglia meridionale arretrata.
A Ozpetek, regista straniero di cinema italiano, va comunque riconosciuta una visione anticonformista della società del nostro Paese: è l’unico a trattare con affetto e rispetto l’omosessualità ed è l’unico a scagliarsi contro l’istituzione patriarcale della famiglia.
Come in Almodovar, a cui strizza l’occhiolino a più riprese (non solo per i toni e i temi, ma anche per esempio nella scena della morte della nonna, tra il grottesco e il tragicomico), sono le donne ad aver lo sguardo più lucido.
Inoltre, come Un giorno perfetto, questo film segna un ulteriore attacco alla famiglia, vista come un’istituzione che opprime i due figli (devono nascondere la loro sessualità), la zia (deve nascondere gli amanti in casa propria), la nonna (non ha potuto sposare l’uomo che amava)e la moglie (subisce i tradimenti del marito). Solo Tommaso, il personaggio di Scamarcio, è quello che, andando a vivere a Roma, è riuscito a costruirsi una vita libera nel suo rapporto col compagno e quindi in un rapporto non riconosciuto dalla legge italiana e contrario alla famiglia tradizionale.
Eppure in questi nobili intenti c’è qualcosa che mi lascia qualche dubbio: alla fine la famiglia è in qualche modo riunita e gli amichetti di Scamarcio sono usati solo per far ridere lo spettatore.
Insomma forse dopotutto è il film più furbetto di Ozpetek, che dopo il fiasco di Un Giorno perfetto, col quale si avventurava in atmosfere a lui sconosciute, ha deciso di puntare sul sicuro. Fin troppo, tanto da avvicinarsi a quel cinema italiano più commercial-corale tanto amato dal pubblico.
E così, mentre a Berlino il pubblico ha applaudito a lungo il film e i pareri che raccolgo sono tutti più o meno entusiastici, io mi ritrovo ancora una volta fuori dal coro.
VOTO: 6,5
MINE VAGANTI di FERZAN OZPETEK
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