Alain Resnais, a pochi mesi prima di spegnere 88 candeline e 61 anni dopo il suo folgorante esordio con quel Hiroshima mon amour che cambiò per sempre il mondo del cinema, torna con un nuovo film, adattamento del romanzo L’incident del jazzista Christian Gailly.
Siamo di fronte ad un film spiazzante che non è possibile iscrivere in un genere. Parte come una commedia sognante, diventa un giallo, si colora di dramma e poi prosegue senza definizioni in un finale aperto.
La brevissima parentesi thriller rimanda sicuramente a Hitchcock, ma è a Bunuel che il film attinge spesso, tuttavia proseguendo per una propria strada. Come il grande regista spagnolo, Resnais si diverte a spaesare lo spettatore con personaggi che si comportano sempre in modo imprevedibile, anche se alla fine, a diversamente da Bunuel, riescono a fare quello che vogliono.
Le azioni più banali diventano complicate, faticose, importanti, inaudite e descritte con dovizia di particolari (il che può essere estremamente noioso o divertente, de gusti bus) dalla voce narrante (onnipresente e rassicurante, mai invadente). Il film si apre in splendidi scorci parigini (Palais Royal), presto abbandonati per luoghi anonimi e Marguerite che cerca un paio di scarpe: impresa difficilissima perché ha dei piedi particolari. Non ci viene mostrato il suo volto e ci vengono risparmiati i suoi dialoghi con le commesse. All’uscita del negozio il fattaccio: la sua borsa viene rubata. George, uomo over 60, trova un portafoglio in un parcheggio. Sua moglie (quarantenne, con la quale è sposato da più di 30 anni e ha due figli grandi!) capisce che è successo qualcosa nella vita del marito. George è infatti sconvolto dal portafoglio e non sa come restituirlo. Si reca al commissariato, ma a fatica riuscirà a consegnarlo alla polizia (dove tra l'altro tutti pensano solo a festeggiare invece di lavorare). Poi inizierà a tempestare la donna del portafoglio (che è Marguerite) con chiamate e lettere, fino a sventrarle le gomme dell’auto. Allora la donna si decide di andare dalla polizia per recuperare i portafoglio e dopo tante esitazioni, riesce a denunciare officiosamente i gesti dell’uomo. La polizia allora si reca dall’uomo, ma non sa come dirgli che non deve più importunare la signora. Quindi si siede nel suo salotto, imbarazzata e insicura, chiacchiera con lui per un sacco di tempo finché i due poliziotti, stremati, riescono a dirgli ciò che dovevano. Non appena l’uomo smette di perseguitare la donna, questa vuole vederlo e quasi impazzisce. Gli telefona, risponde la moglie che scoppia a piangere perché sa tutto di lei. Non c’è un happy ending né un finale drammatico. Non c’è una vera storia. La voce narrante è uno degli elementi più curiosi del film, anche per lo strambo finale. Il tutto è incorniciato da una magnifica fotografia e una stupenda musica jazz.
Insomma non c’è nulla di razionale in questi personaggi imbranati, disperati, folli. Sembra che i due protagonisti, prima persone ammirate nei loro rispettivi ambiti (lei al lavoro, lui a casa) siano improvvisamente impazzite.Il titolo italiano per una volta può andare bene. Quello originale, Les herbes folles, era più poetico : questi strani esseri umani sono come quell’erba che spunta dove meno te l’aspetti.
Definire coinvolgente questo film è difficile, ma è senz’altro un film diverso e l'ennesima prova di talento di un grande regista. Ha perfino vinto il Gran Premio della Giuria all'ultimo festival di Cannes.
VOTO: 7
Anne Consigny, la moglie (attualmente sugli schermi italiani con La première étoile), André Dussolier, il protagonista e Sabine Azéma, la donna del portafoglio
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