Con quest’opera nostalgica e folcloristica Avati ritorna nella sua cara Bologna per abbozzare un’epoca (quella degli anni ’50) e una classe (quella piccolo borghese), prima del boom economico che avrebbe modernizzato il nostro Paese. Nel suo quadro il regista emiliano mette troppi personaggi, ma riesce a mostrarne alcuni con estrema verità e grande affetto. Si tratta di un branco di incredibili “inetti” che trasformano la loro ingenua stupidità in lucida crudeltà. Le scene migliori sono frutto di un’attenta indagine dell’animo umano e di un’ottima conoscenza del luogo e delle situazioni descritte. Benché ciò non basti a dare un ordine, una forma e soprattutto uno scopo al tutto, non si può rimanere indifferenti di fronte alla tenerezza con cui Avati coccola i suoi personaggi e bisogna altresì riconoscergli una notevole vena comica.
VOTO: 7
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