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lunedì 11 ottobre 2010

Morte a Venezia

MORTE A VENZIA, 1972 

Un lussuosissimo regalo che Visconti pare concedersi dopo una lunga carriera di successi, ma anche uno scherzo e una provocazione nei confronti del suo pubblico. Se c’è qualcosa che a Visconti non è mai mancato è il gusto della provocazione, unito a grande coraggio. Ossessione, La terra trema, La caduta degli dei, Ludwig, sono indubbiamente opere coraggiose e provocatorie per stili e contenuti.
Morte a Venezia è l’ultima provocazione di un regista che ormai ha detto tutto eppure avrebbe avuto ancora tanto da aggiungere.

Trasformando lo scrittore dell'omonimo romanzo di Thomas Mann in un musicista che ricorda Mahler, Visconti si appropria di quest’opera sul mito della bellezza e sull’incombere della morte. Per la prima volta senza Suso Cecchi d'Amico, Visconti si avvalse della collaborazione di Enrico Medioli.

Il personaggio del musicista interpretato da Dirk Bogarde non può che ricordare lo stesso regista, uomo anziano attratto da giovanissimi ragazzi, sorpreso dalla morte quando aveva ancora da creare e da vivere.

L’omosessualità, qui anche simbolica, è l’elemento chiave del film e del romanzo di Thomas Mann dal quale il film è tratto: ma ai tempi (di Visconti e ancor più quelli di Mann) tutti si guardarono bene dal notarlo. L’opera del credente e sposato Mann fu infatti interpretata come un inno alla bellezza, senza alcunché di torbido. L’attrazione del protagonista dunque è sublimata e asessuata secondo i critici del tempo. In realtà lo stesso Mann, in una lettera, ne parla come un racconto sulla pederastia e la moglie conferma l’ossessione morbosa del marito per un giovane, che in realtà non era un ragazzino come nel film, ma addirittura un bambino di undici anni.
Oggi, paradossalmente, questo film creerebbe molto più rumore.

TRAMA
In oltre due ore di pellicola ci viene mostrato un maturo gentiluomo che si limita a seguire un adolescente polacco ancora imberbe per le anguste vie e piazze di Venezia, spesso a bordo di una gondola oppure si aggira per l’albergo in tutti i luoghi in cui potrebbe incrociare il giovanissimo efebo (hall, ristorante, giardini). La sua impotenza e inettitudine è tale che non riesce a rivolgergli mai la parola e nei suoi pensieri il dolore viene accostato a quello della perdita della figlia. Strano accostamento. Quest’ossessione continua, così come procede la malattia che lo sta divorando. Per nasconderne i segni si trucca vistosamente, finchè un bel giorno, al Lido, vede il suo adorato ragazzino rotolarsi per terra con un altro ragazzo. La gelosia o l’eccitazione è talmente forte da essergli fatale: l’uomo infatti muore in spiaggia, sotto gli occhi degli altri villeggianti, colpito da un infarto.

Film praticamente muto ( 15 minuti di dialoghi in tutto ), in cui a dominare è la musica e le pastose, idilliache immagini di una Venezia da cartolina.
Protagonista è Dirk Bogarde, già inteprete del precedente film di Visconti, La Caduta degli dei (1969).

Il giovane Tadzio invece è interpretato dal quindicenne Björn Andresen, scelto dopo che Visconti fece un lungo tour in Norvegia e Svezia nelle scuole e nelle palestre al fine di trovare la persona giusta. Scelse questo ragazzino per la sua "bellezza mortuaria". L’attore in un’intervista parlò del disagio provato quando Visconti lo portò con sé in un locale gay di Cannes, dove il film fu presentato.

Silvana Mangano, nei panni della madre polacca del giovane Tadzio, agisce sempre sullo sfondo e a fatica la si percepisce parlare in russo. Questo peculiare ruolo, con nessun primo piano a lei dedicato e nessun dialogo da lei pronunciato, le procurò addirittura un Nastro d’argento. E pensare che all’inizio, nonostante il volere del regista, la scelta della Mangano fu scartata perché troppo esosa. In seguito al rifiuto di un'altra attrice imposta dalla produzione, la Mangano offrì di recitare gratuitamente.

7 commenti:

  1. bella recensione. questo per me è uno dei Massimi Capolavori di tutti i tempi.

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  2. Qui roby trova:
    "Pan pe i suoi dendi" per dirla alla Diego Abatantuono dei bei vecchi tempi di quando faceva Cecco, il nipote del fornaio sotto casa, un orrendo butterato con il culo molto basso ed un alito agghiacciante, tipo fogne di calcutta.

    Ops... Mi sa che ho divagato troppo.

    Bella recensione che mi ha fatto venir voglia di vedere un film che ahimè non ho ancora mai visto e di cui più di un amico mi ha parlato.

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  3. Mi ci sono voluti un po' di anni e più visioni per apprezzarlo, ma è un grandissimo film.

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  4. Film incommensurabile, semplice e allo stesso tempo complicato. Sono d'accordo: oggi susciterebbe polemiche. Un film che ogni tanto sento il bisogno di rivedere.

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  5. Tadzio e la Mangano sono aristocratici polacchi sia nel romanzo che nel film

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  6. Non avevo mai sentito una oscenità grande quanto quella letta nel suddetto commento . Mi riferisco all'invidia che non so come e secondo quale stato di demenza Aschenbach avrebbe rivolto a Tadzio abbracciato a un altro , dal momento che stavano litigando e non rotolandosi e non morì di infarto ma di peste.

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    1. E io non avevo mai sentito tanta oscenità e maleducazione in un commento...
      Il tono è parzialmente ironico, siccome la mia trama inizia con "un maturo gentiluomo che si limita a seguire un adolescente" ovviamente il protagonista non si limita a ciò. E comunque il protagonista soffre di distrubi cardiaci e muore d'infarto. Se fosse morto di un'epidemia, di colera si parlerebbe visto che è citata nel film, e non di peste!

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