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giovedì 20 ottobre 2011

This must be the (right) place (and time)

THIS MUST BE THE PLACE
di Paolo Sorrentino,
Italia, Irlanda, Francia, 2011
con Sean Penn, Frances McDormand
Ora nei cinema italiani
Se ti piace guarda anche: Il Grande Lebowski, Into the Wild, Il Grinta


Un uomo in crisi di mezz’età, di fronte a un grave lutto, è obbligato a confrontarsi con la sua vita e a intraprendere un viaggio che è anche spirituale.


La trama è tra le meno originali mai sentite e la sceneggiatura (firmata con Umberto Contarello) ha un sapore molto improvvisato, per non dire sconclusionato, ma il film di Sorrentino si basa su paesaggi, musiche, personaggi e situazioni.



Con il personaggio di Sean Penn, il regista napoletano supera se stesso in quanto a grottesco, e per di più lo fa interagire con una marea di freaks che nulla servono alla storia, ma fanno scena.



E così abbiamo il tipo tatuato che chissà perché si confida con lui, l’anziana maestra che vive con un’oca in una casa delle bambole di sapore Kitsch orrorifico, l’inventore della valigia a rotelle che gli racconta la sua vita, l’uomo di affari che non si fida di lasciare l’auto alla moglie ma la dà a uno sconosciuto..



Tutti personaggi assurdi, grotteschi più nei modi che nel look, che strappano qualche sorriso e molte perplessità.

Ma è nel protagonista che l’autore concentra tutta la sua sete di apparire e di colpire.



Un personaggio costruito con il semplice pretesto di rimanere nell’immaginario collettivo e di essere elevato a icona, come i Coen hanno insegnato col loro Dude /Drugo (e sull’influenza dei Coen in Sorrentino si potrebbe dire molto (c’è perfino Frances MacDormand!).



Ogni battuta, sguardo e gesto di Cheyenne è perfetto per diventare cult, talmente perfetto e “iconico” da risultare quasi fastidiosamente studiato a tavolino per poter comporre un album di immagini culto:

Cheyenne che sbuffa soffiando verso il lungo ciuffo, Cheyenne che beve la sua bevanda analcolica, Cheyenne che trascina il suo inseparabile zaino a rotelle, Cheyenne che ripete alcune battute più volte: tutto è già mito nel momento stesso che viene mostrato. Lo stesso fatto di vedere Penn così conciato è di per sé mitico.



E a Sorrentino va riconosciuto di esserci davvero riuscito a creare un personaggio memorabile, destinato a rimanere nella memoria e nella carriera, già ricchissima, di Sean Penn: la rockstar depressa e suonata, ma dal cuore d’oro è uno dei personaggi più belli visti di recente sullo schermo, benché estremamente banale.



Anche le battute da lui pronunciate hanno tutte le carte in regola per rimanere, mentre registrano un passo indietro, rispetto alla precedente filmografia dell’autore napoletano, l’aspetto visivo e quello musicale, comunque notevoli.



La fotografia di Luca Bigazzi è sempre un bel vedere, ma osa meno del solito; lo stesso vale per la musica: si sono scomodati David Byrne, Nino Bruno, Will Oldham, ma il vero brano portante è uno non originale, la magnifica e struggente Spiegel im Spiegel di Arvo Pärt, che, per strana coincidenza era anche il tema dell’ultima famigerata prova cinematografica della prima moglie di Sean Penn.



Ciò che fa storcere il naso è però l’aver scomodato nientemeno che la Shoah.
Se tale scelta azzardata può sembrare all’inizio una mossa fastidiosamente furbetta per accattivarsi la cospicua componente ebraica di Hollywood, ben presto le ragioni del gesto sfuggono del tutto perché al contrario, Sorrentino tratta in modo offensivo e a dir poco banalizzante un tema così delicato e inflazionato alternando ai corpi senza vita dei bambini uccisi nei lager l’immagine grottesca di Sean Penn che chiacchiera spensieratamente, e all’immagine del vecchio nazista buono punito, una delle sue battute cult di Cheyenne “Qualcosa mi ha disturbato, non so bene cosa, ma qualcosa mi ha disturbato...”.



Il debutto americano di Paolo Sorrentino è insomma riuscito a metà: i fan possono tirare un sospiro di sollievo perché l’autorialità del regista non è venuta meno, ma anzi, si è adattata con classe a un topos tipicamente americano come il road-movie. Peccato che vi manchi dietro un’idea forte, quasi che l’importante fosse semplicemente arrivare ed apparire. Sorrentino ce l’ha fatta. E’ arrivato e il suo film si farà ammirare in tutto il mondo, ma se il pubblico americano accetterà i suoi ostentati ammiccamenti è tutto da vedere. In Francia, per il momento, è stato un enorme fiasco.



Riassumendo, il film è come la scena del concerto di David Byrne: sorprendente, avvolgente, un po’ troppo lungo e francamente fine a se stesso. In ogni caso, il miglior film di un regista italiano di questo 2011.

VOTO: 7,5

15 commenti:

  1. Lo vedrò a breve, e i pareri contrastanti mi hanno incuriosito.
    Inoltre, Sorrentino finora non mi ha mai deluso.

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  2. @ JamesForda: sono curioso allora di conoscere l'opinione di un estimatore di Sorrentino! Secondo me ti piacerà!

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  3. A me è piaciuto molto.
    Splendida la colonna sonora, grandioso il protagonista.
    Una piccola chicca che, se col tempo diventerà cult, lo avrà ampiamente meritato.
    E pensare che prima d'ora non ho visto nemmeno un film di Sorrentino!

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  4. @ il Bollalmanacco: anche a me è piaciuto, ma alcune cose mi hanno lasciato perplesso .. Ti consiglio allora di recuperare almeno Il divo e le conseguenze dell'amore!

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  5. Quasi un capolavoro, effettivamente ci mancava qualcosa!

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  6. Concordo su tutto, un film riuscito a metà cmq Sorrentino ha davvero creato un personaggio memoabile, e chi se lo scorda!
    Mi ripeto come sul mio blog:
    Un bel film (un pò paraculo) con alcuni nei di "presunzione", però può essere l'effetto MEGALOMANE dell'America..

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  7. @ Barbara: ci mancano diverse cose per poter arrivare al capolavoro, ma sicuramente è da vedere

    @ oneword: sì, ho visto che la pensiamo allo stesso modo!

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  8. Incredibile come in un commento al film sul blog Contact Cinema ho usato le tue stesse parole. Anche io trovo che il film di Sorrentino sia come la scena di Byrne, fine a se stesso. Vuoto.
    Però io darei 5 netto.

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  9. @ Watanabe: fa sempre piacere sapere che le proprie opinioni siano condivise, ma non condivido affatto il tuo voto: secondo me è cmq più che discreto!

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  10. io non penso che sia discutibile il modo in cui Sorrentino tratta la shoah (per dirti lo preferisco a la vita e' bella) per come l'ho inteso io l'atteggiamento di distacco di cheyenne e' dovuta alla sua depressione ma ricordiamoci anche del negazionismo (pensa alle stronzate del padre di Mel Gibson per cui non c'era abbastanza benzina per alimentare tutti i forni) e poi va ricordato che piu' le immagini le vedi piu' si svuotano di significato.

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  11. @ Ava: grazie del commento! Io l'ho trovato invece molto discutibile e mi ha urtato, ma è una reazione mia!

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  12. Come anche scrivo sul mio blog (fateci un salto), è un film che si stronca in 2, tra una tecnica registica favolosa e una accozzaglia di contenuti buttati lì alla rinfusa. Il film si inceppa nella sceneggiatura (e nel citazionismo)... peccato... questo Sorrentino americanizzato non convince...

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  13. @ onesto & spietato: giá, problema centrato in due parole! A mio parere rimane cmq il film italiano migliore dell'anno, superando, seppur di poco, Habemus Papam

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  14. Niente a che vedere con "Le conseguenze dell'amore".. Per me è stata una delusione.
    Peccato.

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  15. @ con aspettative alte, purtroppo si rimane spesso delusi. Bisognerebbe affrontare ogni cosa senza alcun preconcetto, il che è difficile!

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