Visualizzazioni totali

mercoledì 19 ottobre 2011

E anche Pedro ha fatto splash

LA PIEL QUE HABITO
di Pedro Almodovar,
Spagna, 2011
con Elena Anaya e Antonio Banderas
ancora al cinema
Se ti piace guarda anche: Il portiere di notte, Gli abbracci spezzati,

Una donna bellissima, avvolta in una tuta color carne aderentissima firmata Jean Paul Gautier, svolge alcuni esercizi ginnici nella sua stanza-prigione in cui è osservata giorno e notte da telecamere. Poco più tardi, il suo corpo nudo, su uno schermo che occupa un’ intera parete, è osservato dal suo creatore.

L’incipit sembra alludere a un altro capolavoro ad aggiungere alla lista di Almodovar: il rapporto voyeuristico dello scienziato e della propria creatura e i tentativi disperata di quest’ultima di attirare la sua attenzione suscitano subito la curiosità dello spettatore: com’è finita lì questa (melo)drammatica eroina, riuscirà a liberarsi?
Attraverso numerosi sbalzi temporali la storia ci racconta questo e molto altro, non rispettando del tutto le premesse da giallo suggerite all’inizio e perdendo man mano fascino e solidità, arrancando verso un finale scontato e un epilogo esilarante, senza la consueta abilità del regista nel muoversi sul sottilissimo filo che separa il grottesco dal cattivo gusto, il sopra le righe dall’involontariamente comico.

È come se Almodovar rimanesse fedele al proprio marchio di fabbrica rimanendone imprigionato lui stesso e il film che ne esce è un tutt’altro che riuscito ennesimo studio del rapporto tra vittime e carnefici, già proposto, in modo del tutto diverso, anche da Polanski.

Anche qui sono tutti vittime e tutti carnefici: la fedele domestica (Marisa Peredes) è una madre amorevole ma allo stesso tempo infanticida, suo figlio, che di nome fa Sega ma si fa chiamere Tigro, è allo stesso modo una vittima della povertà e della malavita ma anche uno spietato criminale. (Completamente gratuita se non addirittura noiosa la sua storia raccontata come un colpo di scena).

Lo stesso discorso vale per i due protagonisti, due figure che incarnano allo stesso tempo sia il carnefice che la vittima. Può esistere l’amore tra i due?

"Qualcosa si è spezzato nel cinema di Almodovar: la sua regia rimane impeccabile, ma la sceneggiatura questa volta non funziona. Il risultato è un coloratissimo mosaico piuttosto insapore".

     Persogiàdisuo, Gli abbracci spezzati di Almodovar, in “Perso nel mondo del cinema”,   giovedì 3 dicembre 2009.

Già. Ho citato me stesso. Il discorso formulato per Gli abbracci spezzati, penultimo film del regista castigliano, vale anche per questo, con la differenza che La piel que habito è nettamente inferiore.

E ciò che è più fastidioso è che Almodovar alterna trovate geniali e inquadrature magistrali a momenti davvero evitabili che talvolta cadono nel patetico, nell'irritante e nel ridicolo (l’uomo tigre, il tentato stupro).

Dov’è la grazia con cui Almodovar mescolava tanti registri?

La forma si è sublimata, ma la sostanza ahimé è evaporata. I suoi ultimi film hanno una confezione perfetta, lontanissima dagli sgangherati esordi che però traboccavano di vitalità sincera (basta pensare all'ultima collaborazione con Banderas in Legami!)

Perfino nella direzione degli attori questa volta è carente: a parte la protagonista, Elena Anaya, davvero magnifica per aspetto e recitazione, gli altri appaiono  scialbi, Banderas in testa. E la colpa non è sua. Dov’è il dolore e la vendetta che il suo personaggio dovrebbe comunicare? La sua può essere una recitazione per sottrazione, certo, ma allo spettatore questo grande dolore non arriva. In fondo tutto ci viene detto dagli altri, mai dal personaggio stesso, che per tutto il film non comunica nulla, vittima della finzione ma anche della penna di Almodovar incapace di infondergli un po’ di vita, come se tutte le sue preoccupazioni fossero per la creatura in gabbia, lei sì a volte palpitante e vera. Ma solo a tratti, perché pure nel personaggio della donna prigioniera, Almodovar, sempre così attento alle questioni di genere e ai sentimenti, banalizza in modo sconcertante l’identità di genere e i rapporti sentimentali.
Come se si fosse lasciato prendere un po' troppo dalle belle inquadrature e dalle belle musiche, considerando la drammaturgia come mero accessorio (come ha fatto Sorrentino in This must be the place, recensione di domani): il fatto paradossale è che alla partenza c'è un romanzo noir scritto benissimo.
L’unica nota positiva del film alla fine è quella di aver scoperto, in tutti i sensi, Elena Anaya. Chissà se sarà la nuova Penelope Cruz. Di certo c'è bisogno di un nuovo Almodovar o di uno vecchio, ma mai più un altro così.

VOTO: 6

8 commenti:

  1. Per una buona parte condivido la tua critica, penso anche io che Almodovar ( io l'ho amato così tanto agli esordi ) abbia perso smalto, quel modo di vedere le cose e di metterle in scena con un tocco così personale ed eclettico, i suoi film appaiono ora patinati, la tecnica si è fatta più raffinata,la bella scenografia, la giusta colonna sonora, i bellissimi attori, pare non mancare nulla. Eppure...

    Che si sia perso anche Pedro?


    Buona giornata.

    RispondiElimina
  2. @ ladywriter65: grazie mille del commento e benvenuta nel mio blog! Manca qualcosa, anzi manca molto purtroppo..buona giornata anche a te!

    RispondiElimina
  3. Forse grazie al mio non essere fan di Almodovar me lo sono goduto e mi è piaciuto.
    Certo, picchi di trash e di cattivo gusto tremendi ci sono, ma comunque ho trovato il film davvero affascinante e disturbante.

    RispondiElimina
  4. @ Bollalmanacco: disturbante lo è, di questo bisogna dargli atto. E poi è vero il tuo discorso: avevo troppe aspettative, mi aspettavo molto a dispetto di tutte le stroncature lette in giro

    RispondiElimina
  5. una recensione così e mi metti un 6? con questa scala si fa troppo presto ad arrivare ad un 10 che non dovrebbe mai esistere :)

    RispondiElimina
  6. @ iFab: grazie del commento! in effetti il 10 non l'ho mai assegnato! È un film poco riuscito nei contenuti e nei tempi, ma l'apparato visivo merita!

    RispondiElimina
  7. Un film disturbante.

    Non all'altezza dei grandi lavori dello spagnolo, di cui sono un grande fan...

    RispondiElimina
  8. @ Bruno: sì un po' disturbante lo è, peccato che poi si finisca in caciara con scene decisamente comiche.

    RispondiElimina