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giovedì 3 marzo 2011

Rabbit Hole - un modo garbato per parlare di dolore e morte

RABBIT HOLE
DI JOHN CAMERON MITCHELL,
USA, 2010

Becca e Howie sono una coppia sui quaranta, benestanti, alle prese con l’elaborazione del lutto per la perdita del loro piccolo figlio. Howie lavora, Becca invece passa le giornate da sola nell’immensa e bellissima casa, ricevendo ogni tanto le visite di sua sorella minore e sua madre, entrambe caratterialmente opposte a lei.
Loro figlio è stato investito accidentalmente da un neopatentato che Becca vorrà rivedere.
tra i due nasce un'insolito rapporto di amicizia, tanto che Becca sarà la prima a ricevere una copia del fumetto al quale il ragazzo sta lavorando, intitolato Rabbit Hole.

Il tema non è nuovo, nemmeno il modo in cui viene raccontato, ma è degno di nota il passaggio di John Cameron Mitchell, controverso autore di pellicole di culto a tematica (omo e trans)sessuale, al cinema mainstream. O perlomeno ad attori e stile mainstream. Perché se il regista si aspettava un aumento di pubblico, si è sbagliato di grosso. I suoi film precedenti, di super nicchia, avevano incassato più di 3 milioni di dollari l'uno, quest’ultimo, con un cast del genere e una nomination all’Oscar a fare da pubblicità, si è dovuto accontentare della metà. Mentre quindi da una parte la pellicola ha sancito il ritorno di Nicole Kidman a un cinema valido che da tempo ormai disertava, dall’altra ha dimostrato qualcosa che ormai era ovvio da anni, ovvero che l’attrice da sola non è una garanzia di successo e non è più una star di peso nell’industria cinematografica (peraltro già chiaro dai tempi di Fur o Margot at the wedding)

Per quanto riguarda la Kidman, assoluta protagonista e anche produttrice di questa pellicola, occorre aggiungere che la chirurgia plastica non ne ha limitato l’espressività, ma la bellezza.
Al suo fianco ha un bravo Aaron Eckhart e nei panni della madre c’è un gradito ritorno della grandissima Diane Wiest, attrice secondaria di classici come Edward mani di forbice o Piume di struzzo, senza contare i due bellissimi film di Woody Allen per i quali vinse l’Oscar, Hanna e le sue sorelle e Pallottole su Broadway .

Le musiche di Anton Sanko assomigliano molto ad alcune degli Arvo Part (Spiegel im Spiegel), ma sono comunque appropriate e eleganti. Ecco l’aggettivo giusto: elegante. The Rabbit Hole è un film composto in modo accurato, senza particolari guizzi, il che può essere un passo in avanti o un passo indietro per un regista indipendente finora assai eccentrico nello stile e nei contenuti. Ma siccome egli stesso ha dichiarato di voler firmare una regia invisibile, si può affermare che ci è riuscito, pur regalando, grazie a una buona fotografia, qualche ripresa originale.
Il merito più alto è quello di aver trattato un tema così delicato come l’elaborazione del lutto di un figlio senza indugiare su una certa ruffianeria sentimentale a cui il cinema mainstream purtroppo ci ha abituati.

Il dolore dei due protagonisti è autentico ed è davanti a noi, senza fronzoli e senza troppe lacrime.

Da un dramma teatrale di David Lindsay Abaire, premio Pulitzer nel 2006, qui sceneggiatore.


È rimasto nelle nostre sale per appena due settimane. Su un tema simile,  Incendiary (in it. Senza apparente motivo) film uscito anch'esso in sordina l'anno scorso, con protagonista una notevole Michelle Williams.
Entrambi da recuperare.


VOTO: 7

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