Tra gli anni ’40 e ’70 a portarsi a casa il maggior numero di Oscar furono degli europei: Wilder, Wyler, Olivier, Anderson, Lean, Richardson, Schlesinger, Forman, o figli di emigrati (Mankiewicz, Minnelli, Coppola).
Con la fine del Neorealismo il cinema italiano non avrebbe più trovato definizioni e si sarebbe diviso in tante strade diverse che portavano ai suoi principali esponenti.
I magici anni ’60 videro anche l’introduzione di una legge che considera il cinema mezzo di espressione artistica, informazione culturale e comunicazione sociale.
Gli anni ’70 si aprono con grandi capolavori e grandi problemi finanziari e si chiudono tristemente.
Infatti nonostante la presenza dei grandi nomi che resero memorabili gli anni ’50 e ‘60, si assiste ad una vera crisi commerciale seguita poi da quella qualitativa. Fellini, dopo i fasti de La Dolce Vita e 81/2 trova sempre più difficoltà nel finanziare i suoi film (dopo opere dispendiose come Satyricon e Casanova) e trova sostegno dalla Rai (Prova d’orchestra), Rossellini si specializza in opere didattiche per la Tv (La presa del potere di Luigi XIV e tante altre), Antonioni diventa sempre più di nicchia, De Sica conosce tardivi riconoscimenti (l’Oscar a Il Giardino dei Finzi-Contini) perdendo però l’estro di un tempo, Visconti realizza opere sempre più rischiose, controverse e ambiziose (Ludwig, La caduta degli dei, Morte a Venezia), i film di Pasolini passano più tempo in tribunale che nelle sale cinematografiche, Bellocchio fatica a trovare visibilità nonostante l’entusiasmo della critica. L’unico che vede la sua carriera in continua ed inarrestabile ascesa è Bertolucci, che tra scandali, processi, ed exploit al box office conosce pure l’incoronazione dell’Oscar nel 1988 collezionando la bellezza di nove statuette.
Si afferma lo spaghetti-western, contaminato dal cinema americano. Ed è proprio il cinema di Hollywood a segnare il tramonto del cinema europeo. Mancano nuovi registi, nuovi volti, nuovi titoli. In Italia si girano solo drammi o commedie.
Il problema è che i grandi autori godono di grande stima della critica, ma sempre minor attenzione del pubblico (l’effetto del ’68 e dei cineforum si spegne in fretta), che sembra preferire generi più commerciali. Sono gli anni in cui a dominare i box office sono sostanzialmente tre generi: l’horror (Argento, Bava, Fulci), l’erotico (soprattutto la coppia Banfi-Fenech)e il comico, l’unico che sopravvivrà. Si tratta di film spesso scadenti, cosiddetti di serie B.
Negli anni ’80 la situazione non cambia: film come Grandi Magazzini, Rimini, Rimini, Sapore di mare sono i maggior successi al box office. Si tratta di commedie corali superficiali e di bassa lega, lontane anni luce dalle commedie brillanti made in USA o le commedie all’italiana di Risi e Monicelli. Lo stesso discorso vale per i decenni successivi.
Tale involuzione culturale degli italiani e dell’Italia coincide con la nascita delle tv private (Fininvest è fondata nel ‘78), che diffondono una Tv scollacciata e goliardica riproposta poi anche al cinema e incarnata dall’italiano medio Lino Banfi che era ed è tutt’ora amico intimo dell’allora Presidente di Finivest Berlusconi. Ma è poi proprio a Mediaset, sempre di proprietà di Fininvest, che si deve il restauro dei grandi capolavori del nostro cinema: Umberto D, Prima della rivoluzione, La Dolce Vita, L’avventura e tanti altri oggi si possono ammirare ad una qualità superiore perfino a quella di film appena usciti, grazie alla collana “Cinema forever” di Medusa Home Entertainment, in costante crescita. Praticamente un paradosso.
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