Ferrario incontra la religione e non lo fa mettendo in discussione non la Chiesa ma la religione stessa: e se Giuda non fosse mai esistito? Se non ci fosse tradimento, se non si dovesse soffrire per sperare in un mondo migliore? Gesù “ha avuto un biglietto di andata e ritorno. Noi no.” È la protagonista Kasia Smutniak a porsi queste domande quando si mette a studiare i Vangeli perché le viene chiesto di rappresentare la Passione di Cristo in un carcere. Peccato che quando lo spettacolo è già pronto, arriva l’indulto e la prigione si svuota. Così anche il film deve finire, all’improvviso e al regista gli viene chiesto cosa fare (è una camera nascosta a filmare l’ultima scena). Dove finisce il film ed inizia la finzione?
Il film aveva dalla sua parte tantissimi elementi per diventare un cult e un film unico:
l’interessante approccio religioso, l’ambigua fine in cui viene smascherata la finzione del film chiamando per cognome il regista stesso, l’idea di far recitare dei veri carcerati. Per qualcuno poteva essere interessante anche assistere al debutto come attore del leader dei Marlene Kuntz (autori di buona parte della colonna sonora) o di vedere Luciana Littizzetto nei panni di una bigottissima suora. Eppure il film è deludente, con un ritmo diseguale. I personaggi non coinvolgono veramente e molti dialoghi girano a vuoto.
DA RECUPERARE PERCHE’: Davide Ferrario è uno dei migliori registi italiani in circolazione e seppur questo film non è tra i suoi migliori, vale la pena comunque vederlo per i tre motivi citati sopra.
VOTO: 6,5
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