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mercoledì 28 aprile 2010

Francesi & italiani al cinema

Il mio amore per il cinema francese e quello italiano è cosa piuttosto nuova.


Un amore che dura circa da cinque anni ma che si sta rivelando sempre più dirompente.
E siccome sono uno a cui piace analizzare, scomporre, paragonare, non sono rimasto indifferente al fatto che in fondo queste due cinematografia siano così simili. Ma anche così diverse.
Mi spiego meglio.
Entrambe e negli stessi periodi, hanno dato i natali ad alcuni tra i registi più influenti e prolifici della storia del cinema: da noi Fellini, Rossellini e De Sica, oltralpe Godard e Truffaut. Fellini e Truffaut sicuramente restano quelli che continuano a godere di maggior fama.
Ancora oggi i termini Nouvelle Vague e Neorealismo ricorrono di frequente nelle riviste di cinema e non solo, mentre il cinema italiano degli anni ’60 viene ancora considerato unico e irraggiungibile. Lo stesso capita un po’ con gli attori che si seppero imporre in questo periodo.
Queste due cinematografie, fortunate prima del conflitto, seppero in brevissimo tempo risorgere dalle macerie della guerra, proseguendo senza interruzioni lo sviluppo di una cinematografia in costante crescita artistica e commerciale, diversamente da altre cinematografie europee (quella tedesca e russa) che dovettero aspettare qualche decennio prima di ritrovare prestigio.

Simile è stata anche la fine di queste cinematografie: negli anni ’70 il cinema francese ed italiano ha iniziato la sua crisi inarrestabile e progressiva. Per bilanciamento, si sono affermati altri Paesi, tra cui la Germania del nuovo cinema tedesco (Wenders, Fassbinder) e l’Inghilterra (Schlesinger, Anderson, Monthy Python).

E le differenze? Nel prossimo post.

lunedì 26 aprile 2010

Censura!

Il cinema ha sempre risentito di influenze politiche e religiose, soprattutto in Italia.

Il legame tra potere ed espressioni artistiche si fece evidente a partire dagli anni del fascismo, quando Mussolini considerava il cinema un mezzo di propaganda e Pio XI auspicava a un cinema portatore di messaggi cristiani.
Nel dopoguerra la situazione divenne, paradossalmente peggiore.

Negli uffici ministeriali sembra manifestarsi una tendenza, una ripresa della consuetudine fascista di controllare la produzione dei film…Si tratta di una vera e propria censura di carattere ideologico e politico, il cui stile filisteo noi tutti riconosciamo e ricordiamo molto bene.”

                                                  Antonioni, De Sica, Fellini, Lattuada, Germi, Blasetti, Soldati e Visconti.

In quegli anni i registi e gli sceneggiatori facevano del loro meglio per difendere la loro libertà d’espressione e il governo, influenzato dal clero, si impegnarono tenacemente in quella che lo stesso Andreotti definì “vera e propria crociata dei tempi moderni in cui tutti dobbiamo sentirci mobilitati”.

I film neorealisti, che mostrano la disperazione delle classi meno abbienti, l’impotenza e spesso l’indifferenza e i soprusi del potere non possono essere accettati perché l’intento comune delle istituzioni è quello di nascondere la drammatica realtà della situazione italiana: non si può denunciare la povertà in cui versa il paese, anzi, si arriva a negarla sfacciatamente.

“Abbondanza di denaro in circolazione, smania di svago, cupidigia d’incassi” questi sono i tre fattori che hanno portato a questo nuovo cinema provocatore secondo L’osservatore romano, negando il fatto che la maggior parte della popolazione non aveva proprio più denaro e non aveva alcuno svago.

Tutto questo per evitare che i cittadini fossero in grado di farsi una coscienza critica del presente e dell’immediato passato.
Sconcertante anche il seguente articolo, pubblicato sempre dalla medesima rivista:
Si è fatta strada nelle menti malate di alcuni pazzoidi del cinema che l’ultima meta possibile (…) sia il più crudo verismo e che verismo significhi gettare in volto ai propri simili le più laide brutture, purtroppo evidenti nella vita…Si sbaglia(…) perché le loro nefandezze mancano proprio di verità e di spontaneità e appaiono alla lunga per quello che sono: semplici acrobazie cerebrali”..


Dunque invenzioni. La povertà, le repressioni, il fascimo e la resistenza non sono che acrobazie cerebrali per il Governo e per la Chiesa.


Il ruolo della Chiesa fu nefasto per il cinema italiano almeno per tre fattori: favorì il cinema americano, favorì il cinema violento e fece di tutto per limitare la libertà artistica.

Fu Pio XII (papa dal ’39 al ’58) infatti a segnare il vero punto a favore nei confronti del cinema statunitense: è lui a incontrare i produttori americani e poco tempo dopo, guardacaso, viene approvato il decreto che non pone limiti all’importazione di film: provvedimento impensabile in qualsiasi altro paese europeo. Tuttavia sono gli stessi Stati Uniti a rendersi conto che questa importazione senza limiti è in conflitto con il piano della ripresa economica dell’Italia. Ma alla Chiesa la morale e l’amnesia storica interessavano molto di più che la ripresa economia del paese. Nei film hollywoodiani non si parlava di guerra e annessi (fascismo e resistenza), di politica, di comunismo o di problemi sociali, ma solo di storie d’amore in cadenza di drammi, commedie e musical. Oppure c’erano i western e film di paura.
E qui sorge un altro punto che non sono mai riuscito a capire, visto che ho letto le Sacre Scritture: l’indifferenza per la violenza e l’assoluta condanna dell’amore. Alcuni esempi? Uccisioni, massacri, violenze assortite sì, ma guai a mostrare scollature, gambe scoperte, baci troppo lunghi e ragazze di colore!
La situazione attuale è dunque una conseguenza di questo clima. Oramai non ci sono più limiti nella rappresentazione della violenza e della sofferenza umana e diciamo che la morale si è allentata. Questo è valido però solo per un certo tipo di erotismo, quello che riguarda i soggetti femminili. Siamo abituati a vedere donne, sdoganate come puro oggetto commerciale, nude o quasi in ogni possibile posizione e fascia oraria ma è ancora tabù vedere in seconda serata due uomini che si baciano sulla bocca.

Questa sproposita influenza clericale fu possibile perché la Chiesa è tra le istituzioni, quella che risentì meno della guerra. Le sale cinematografiche parrocchiali furono le uniche capaci di garantire la continuazione del servizio cinematografico.

Subentrò poi un altro territorio in cui potersi insediare: la tv. Terreno vergine di cui la Chiesa aveva pieno controllo: la tv sarebbe stata per la famiglia, a differenza del cinema che rappresentava un pericolo per i giovani.

Ora alcune tappe di questo processo invasivo del Governo e della Chiesa nel cinema (anche se ovviamente è estendibile a qualsiasi forma artistica):

1952, Febbraio: Andreotti scrive una lettera aperta a De Sica su Libertas: “Se nel mondo si sarà indotti – erroneamente – a ritenere che quella di De Sica è l’Italia del ventesimo secolo, De Sica avrà reso un pessimo servigio alla sua patria.”

1952, Andreotti sul settimanale Oggi afferma “Macchè film realisti, facciamo film sulle virtù teologali e cardinali”.


1954, febbraio: Totò e Carolina di Monicelli viene presentato alla censura e bocciato perché considerato inaccettabile in 35 punti. Troppo anticlericale e sovversivo nei confronti del governo, immorale, irrispettoso delle forze armate.
Dopo altre due bocciature, fu ammesso alla programmazione in dicembre con tantissimi tagli e alcuni rifacimenti espressamente indicati (Bandiera rossa cantata un gruppo di operai viene sostituita con Di qua e di là dal Piave, un uomo che grida “Abbasso i padroni”, viene doppiato con “Viva l’amore”…). Perfino Il Ministro degli Interni si dichiarò profondamente turbato da questo film che uscì nel marzo 1955, ma col divieto di esportazione all'estero che fu tolto nel 1958, al sesto esame di censura. E stiamo parlando di una commedia con Totò!


Per maggiori informazioni sul film (davvero molto interessanti, consiglio una sbirciatina a questo blog: totò e carolina su pippamentis


1958, settembre: Rossellini, dopo aver vinto il Festival di Venezia con Il generale della Rovere, approfitta del prestigio riconquistato per esprimersi a nome di tutti i registi italiani in una lettera al neoministro dello spettacolo Tupini: “La direzione generale dello spettacolo si è preoccupata di rispettare le leggi vigenti, oppure si è servita di queste per svolgere un’attività paternalistica e discriminatoria, che ha turbatole iniziative più meritevoli nel campo del cinema e ha provocato una generale sfiducia sia verso le disposizioni che regolano le vita democratica del paese, sia verso coloro che avrebbero dovuto farle rispettare.."

1960, febbraio: sulle pagine di Settimana del clero si invitano i fedeli a far celebrare messe di espiazione e riparazione per tutti coloro che si sono recati a vedere la dolce vita. Si prega inoltre per l’anima del peccatore Fellini.

  Per fortuna, oggi, possiamo ringraziare De Sica e Rossellini e tutti coloro che con i loro film hanno reso  un grande servizio alla patria, ma ancora di più alla storia, nonostane all'epoca venisse detto loro il contrario. La visione dei loro film dovrebbe essere obbligatoria in tutte le scuole, per ricordare all’attuale generazione, abituata ad aver tutto e subito o insofferente alla politica o addirittura dalla parte dei guerrafondai, che dopo l’ultima guerra, i bambini arrivavano ad impegnare le proprie lenzuola per campare.


 Informazioni tratte da Gian Piero Brunetta, (che di sicuro non è parente del miniministro), Storia del cinema italiano dal   neorealismo al miracolo economico 1945-1959, editori riuniti, 

venerdì 23 aprile 2010

ANTEPRIMA: Gli amori folli di un genio di 88 anni

GLI AMORI FOLLI, in uscita venerdì 30 aprile

Alain Resnais, a pochi mesi prima di spegnere 88 candeline e 61 anni  dopo il suo folgorante esordio con quel Hiroshima mon amour che cambiò per sempre il mondo del cinema, torna con un nuovo film, adattamento del romanzo L’incident del jazzista Christian Gailly.

Siamo di fronte ad un film spiazzante che non è possibile iscrivere in un genere. Parte come una commedia sognante, diventa un giallo, si colora di dramma e poi prosegue senza definizioni in un finale aperto.

La brevissima parentesi thriller rimanda sicuramente a Hitchcock, ma è a Bunuel che il film attinge spesso, tuttavia proseguendo per una propria strada. Come il grande regista spagnolo, Resnais si diverte a spaesare lo spettatore con personaggi che si comportano sempre in modo imprevedibile, anche se alla fine, a diversamente da Bunuel, riescono a fare quello che vogliono.

Le azioni più banali diventano complicate, faticose, importanti, inaudite e descritte con dovizia di particolari (il che può essere estremamente noioso o divertente, de gusti bus) dalla voce narrante (onnipresente e rassicurante, mai invadente). Il film si apre in splendidi scorci parigini (Palais Royal), presto abbandonati per luoghi anonimi e Marguerite che cerca un paio di scarpe: impresa difficilissima perché ha dei piedi particolari. Non ci viene mostrato il suo volto e ci vengono risparmiati i suoi dialoghi con le commesse. All’uscita del negozio il fattaccio: la sua borsa viene rubata. George, uomo over 60, trova un portafoglio in un parcheggio.  Sua moglie (quarantenne, con la quale è sposato da più di 30 anni e ha due figli grandi!) capisce che è successo qualcosa nella vita del marito. George è infatti sconvolto dal portafoglio e non sa come restituirlo. Si reca al commissariato, ma a fatica riuscirà a consegnarlo alla polizia (dove tra l'altro tutti pensano solo a festeggiare invece di lavorare). Poi inizierà a tempestare la donna del portafoglio (che è Marguerite) con chiamate e lettere, fino a sventrarle le gomme dell’auto. Allora la donna si decide di andare dalla polizia per recuperare i portafoglio e dopo tante esitazioni, riesce a denunciare officiosamente i gesti dell’uomo. La polizia allora si reca dall’uomo, ma non sa come dirgli che non deve più importunare la signora. Quindi si siede nel suo salotto, imbarazzata e insicura, chiacchiera con lui per un sacco di tempo finché i due poliziotti, stremati, riescono a dirgli ciò che dovevano. Non appena l’uomo smette di perseguitare la donna, questa vuole vederlo e quasi impazzisce. Gli telefona, risponde la moglie che scoppia a piangere perché sa tutto di lei. Non c’è un happy ending né un finale drammatico. Non c’è una vera storia. La voce narrante è uno degli elementi più curiosi del film, anche per lo strambo finale. Il tutto è incorniciato da una magnifica fotografia e una stupenda musica jazz.
Insomma non c’è nulla di razionale in questi personaggi imbranati, disperati, folli. Sembra che i due protagonisti, prima persone ammirate nei loro rispettivi ambiti (lei al lavoro, lui a casa) siano improvvisamente impazzite.
Il titolo italiano per una volta può andare bene. Quello originale, Les herbes folles, era più poetico : questi strani esseri umani sono come quell’erba che spunta dove meno te l’aspetti.

Definire coinvolgente questo film è difficile, ma è senz’altro un film diverso e l'ennesima prova di talento di un grande regista. Ha perfino vinto il Gran Premio della Giuria all'ultimo festival di Cannes.

VOTO: 7








Anne Consigny, la moglie (attualmente sugli schermi italiani con La première étoile), André Dussolier, il protagonista e Sabine Azéma, la donna del portafoglio

giovedì 22 aprile 2010

Quando la presunzione incontra l'autoironia..

C’è qualcosa di estremamente seccante in questo film, che pure ha molti pregi.

Forse è tutto troppo esplicito, gli intenti sono troppo palesati. Come il protagonista-sceneggiatore Fabio de Luigi annuncia all’inizio, si vuole fare un film d’autore ma di successo. Ed è esattamente quello che vuole fare Salvatores: usando una sceneggiatura che ha vinto il premio Solinas (Alessandro Genovesi) vuole creare un film eccessivamente pretenzioso e autoironico. Due aggettivi antitetici, che però qui, in modo del tutto curioso, viaggiano di pari passo. Prendendo a riferimento nientemeno che Pirandello, la storia è costruita su 8 personaggi in cerca d’autore, che interagiscono con lo spettatore (i momenti meno riusciti) e con lo sceneggiatore. Non mancano momenti bellissimi, come il finto primo finale, a cui i personaggi si ribellano o la magnifica Milano notturna in bianco e nero accompagnata da Chopin. Che dire poi della fotografia, delle stupende inquadrature, di quel dolly che partendo dall’alto e scendendo verso il basso mostra tutti i personaggi dislocati a piani diversi del palazzo? Tutto meraviglioso, ma è come la colonna sonora: si fa presto a dire che è sublime e raffinata perchè è il greatest hits di Simon & Garkunkel. Così è per la Milano notturna: stupenda, ma non c’entra niente. Così come le elegantissime inquadrature che non sono altro che sublimi esercizi di stile che non hanno nulla a che fare con una storia che nulla ha di garbato.

Pensavo che Salvatores avesse riabilitato la commedia corale all’italiana ambientata intorno all’immancabile tavolo da pranzo. Invece ci sono certe cadute di gusto degne di altri registi, scene il cui unico obiettivo è far ridere lo spettatore meno raffinato (il massaggio cinese, la storia del criceto) e alleggerire situazioni che non avrebbero nulla di pesante. Tra gli interpreti i migliori sono gli esordienti ( i due ragazzini e la Bilello, ex veejay trasformatasi in attrice d’autore dopo l’esordio con Avati).

VOTO: ?
diciamo 6,5

martedì 20 aprile 2010

Colpo di fulmine o mago della truffa?

Steven Russel ha un’irrefrenabile vocazione per la truffa e nemmeno il vero amore riuscirà a toglierli il rischioso vizio.

Presentato dalla Lucky Red come un’altra commedia con Jim Carrey questo film non solo non è affatto la solita commedia con Jim Carrey ma non è neppure una commedia. È un’irriverente e cinica satira dell’establishment statunitense, dalla Chiesa alla sanità. Ma è anche una drammatica storia d’amore tra due uomini. Particolare completamente omesso dai trailer italiani, nonostante la Lucky Red abbia portato nelle sale film come Happy Together e Il banchetto di nozze. Del tutto nuove sono le circostanze in cui questa liason ha inizio: un carcere.
La parte romantica è quella che salva il film, grazie anche all’interpretazione di un sempre bravo Ewan McGregor. Per nulla convincente è invece il lato “professionale” della pellicola, ovvero una serie di truffe ed evasioni presentate a ritmo serrato e in modo confuso. Come sottolinea lo stesso strano/doppio titolo: Colpo di fulmine - Il mago della truffa il film viaggia su due sentieri paralleli che si scontrano senza arte. Il film risulta quindi raffazzonato: colpa del montaggio o della sceneggiatura?
Alla regia ci sono gli stessi sceneggiatori (Requa e Ficarra) che sembrano voler dare a questa storia vera un sapore del tutto inverosimile. Apprezzabile comunque il tentativo di raccontare una storia diversa.

VOTO: 6+

sabato 17 aprile 2010

ANTEPRIMA: Agora, ovvero la storia della martire del libero pensiero


Nell’ottobre del 2009 su Facebook, attraverso il gruppo "AGORÀ, il film su Ipazia di Alessandria. Alejandro Amenabar, 2009" è nata una petizione per distribuire il film in Italia. Gli iscritti attualmente sono più di 6000. La petizione è ancora on-line nonostante il film esca nelle nostre sale il 23 APRILE, dopo aver incassato la cifra record di 30 milioni di euro in Spagna, ma senza aver ottenuto alcuna distribuzioni in altri mercati importanti, nonostante l'Oscar per il film precedente del regista.

Sto parlando di AGORA, film che narra la storia di Ipazia, insegnante di astrologia nella Grande Biblioteca di Alessandria d’Egitto, viene massacrata dai cristiani per colpa del suo pensiero libero. L’assassinio avviene negli ultimi 5 minuti di film, ma svelando il finale non faccio altro che riportare una verità già nota per chi non va a vedere il film per caso.

Il giovane poliedrico regista spagnolo Amenábar (nella foto con Rachel Weisz all'ultimo Festival di Cannes) aveva già mostrato il suo spirito anti-cattolico nei due precedenti Mare Dentro, sul diritto dell’eutanasia e The Others, in cui fa pronunciare ad una grandiosa Nicole Kidman “Dio non permetterebbe mai che i morti convivano coi vivi”. Qui va ben oltre, scagliando una lancia contro la repressione culturale esercitata dalla Chiesa, sottolineandone i controsensi.

Dal film si evince che Ipazia nel V sec d.C. scoprì che la Terra compie un’orbita ellittica intorno al sole, anticipando quindi di una dozzina di secoli la rivoluzione di Keplero. Bisogna desumere che il regista, anche sceneggiatore, suggerisca che con l’improvvisa uccisione della scienziata, la scoperta non fu mai rivelata. 
Si tratta ovviamente di una sua invenzione.
È vero che Ipazia fu filosofa e astronoma, tant’è che perfezionò l’astrolabio e l’idroscopio e mise in dubbio, secondo quanto riportato dal suo allievo Sinesio, le teorie tolemaiche. Ed è purtroppo vero anche che fu trucidata selvaggiamente dai cristiani, allora il popolo più brutale della Terra. Il problema è che il regista ci cuce intorno un improbabile circo di invenzioni, attribuendo alla protagonista meriti storici che non ebbe.

Insomma diciamo che Amenabar ha osato un po’ troppo. Non tanto per l’anticattolicesimo o per l’aver modificare la Storia (dubito che il pubblico medio possa far differenza tra Tolomeo e Keplero) ma per avere creato una storiella collaterale che prosciuga il fascino potenziale del film. Purtroppo non ci risparmia nemmeno l’amore impossibile che questa donna esercita nei due personaggi maschili, finendo così per stravolgere l’unico fatto storicamente vero: ovvero la sua uccisione. Lo stesso Socrate Scolastico, teorico contemporaneo e difensore della Chiesa, sottolinea le colpe dei cristiani. Nei suoi scritti riporta che Ipazia fu vittima di una calunnia “ presso il popolo della chiesa, e cioè che fosse lei a non permettere che Oreste si riconciliasse con il vescovo” perciò un gruppo di cristiani «dall'animo surriscaldato, (…) tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l'ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brani del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli.”
Il filosofo pagano Damascio (vissuto poco dopo i fatti) va oltre: «una massa enorme di uomini brutali, veramente malvagi [...] uccise la filosofa [...] e mentre ancora respirava appena, le cavarono gli occhi».

Nel film invece è il personaggio inventato di Davos, ex servo di lei innamorato dall’inizio, che per risparmiarle l’atroce morte, la soffoca amorevolmente dicendo poi ai compari che è svenuta. La mandria di cristiani quindi comincia a prenderla a sassate e il film si conclude, risparmiandoci la brutalità di quello che successe poi e informandoci che Cirillo, il vescovo che spinse a questo gesto estremo, fu santificato e proclamato dottore della Chiesa.

In effetti uno dei veri problemi del film è lo spazio eccessivo concesso al personaggio di Davos ( il venticinquenne Max Minghella), ex schiavo che vede nel cristianesimo la possibilità di diventare un uomo libero e uguale agli altri. Prima frustato dagli egizi perché cristiano, diventa persecutore di egizi ed ebrei perché non cristiani.

A proposito di schiavi: perché erano dei servitori maschi che la lavavano e la vestivano? Che fine hanno fatto le ancelle? Come mai non compare nessuna donna egizia o ebrea nel film?

In ogni caso, Davos è inventato, ma verosimile.


Semplicemente inaccettabile invece il fatto che Ipazia venga ripetutamente mostrata al lavoro sulla sua inesistente scoperta e vengano invece praticamente ignorate le sue vere invenzioni.

Si tratta comunque di errori storici, che potrebbero essere separati dall’esito estetico o sociale del film.

Ma anche dal punto di vista tecnico la pellicola appare più volte indifendibile: l’Alessandria ricostruita a Malta (stesso luogo di Il Gladiatore e Troy) non compete con le ultime ricostruzioni hollywoodiane e perfino le musiche del premio Oscar Dario Marianelli (sue le bellissime colonne sonore di Espiazione e Orgoglio e Pregiudizio) si rivelano invadenti e del tutto inadeguate.

A salvare l’operazione c’è la protagnosita Rachel Weisz, ammirevole nel rendere vero e vivo il suo bellissimo personaggio.

Per quello che riguarda la sua portata ideologica occorre dire che è efficace e affascinante nell’ultima mezzora, ma per i precedenti 100 minuti è un colossal insipido e maldestro che segna il primo passo falso di un regista finora in costante crescita come Alejandro Amenábar.
La mancanza di un distributore italiano fu subito associata al messaggio anti-cristiano del film e già quando fu presentato un anno fa a Cannes, si profetizzavano chissà quali accese polemiche nel nostro paese.
Polemiche che sono arrivate, ma in misura minore rispetto alle aspettative. La Chiesa del resto ha altro a cui pensare ultimamente. Francamente credo inoltre che non avrà molti spettatori. Ed è un peccato, perché il film riesce comunque nel sottolineare il costante e ancora attualissimo, paradosso cristiano : i rappresentanti di Cristo non facevano (e spesso fanno tuttora) altro che mettere in atto esattamente il contrario di ciò che il Nuovo Testamento insegna.
Amenabar poi crea riferimenti storici semplicistici e forse un po’ forzati che però evidenziano una realtà, ovvero che tutti i fanatismi si assomigliano.E così non è un caso che i cristiani del V secolo, barbuti e avvolti in grandi turbanti, ricordino allo spettatore lo stereotipo del fanatico islamico del XXI secolo, così come il motto “Dio è con noi” ci rimandi ai nazisti.
Eloquenti le scene in cui i cristiani distruggono selvaggiamente libri della grande biblioteca d’Alessandria, e ordinano la sottomissione assoluta della donna che non può insegnare e deve istruirsi nella propria dimora.

VOTO : 6

giovedì 15 aprile 2010

Mare, mare, mare, voglio annegare

SUL MARE di Alessandro D'Alatri

Un ragazzo, che d’estate fa il barcarolo a Ventotene e d’inverno lavora in nero come muratore, conosce una studentessa genovese di buona famiglia e se ne innamora.


D’Alatri, regista poliedrico che si è cimentato in molti generi (quello sentimentale, religioso, sociale, perfino il cinepanettone) ritorna con una storia d’amore e di denuncia sociale. Non bisogna però dimenticare un altro elemento fondamentale del film: l’ambientazione, che qui assume i connotati di una Ventotene da cartolina. Ancora una volta il regista è molto credibile nella descrizione psicologica dei personaggi che ci presenta e nei loro rapporti. È inoltre lodevole il coraggio dimostrato nell’affidare il film ai volti di attori perfettamente sconosciuti e anche l’aver sottratto il cinema italiano alla solita ambientazione domestica, spesso limitata alla sala da pranzo. La maggior parte delle riprese è infatti in esterni. Ammirevole anche la direzione degli attori (soprattutto quelli secondari, come i personaggi della madre e dell’amico, anche se sono convincenti pure il protagonista Dario Castiglio, figlio di Peppino de Capri e Martina Codecasa, suggerita al regista da Carolina Crescentini).

Se l’inizio è assai d’effetto e la fine piuttosto poetica, a metà strada il film perde la propria bussola e come tutti i film italiani degli ultimi tempi annaspa per arrivare alla fine. Ed è un vero peccato, perché con un lifting di venti minuti, il risultato sarebbe stato molto migliore. In ogni caso un film sincero e coraggioso.

MIO VOTO: 6,5

venerdì 9 aprile 2010

Che diffierenza c'è tra un corvo ed una scrivania?

Alice ha appena ricevuto una plateale proposta di fidanzamento e invece di dare una risposta si rifugia nel labirintico giardino dove insegue un coniglio bianco che la conduce dritta in un buco…Il resto è noto..
La Walt Disney aveva già provato a trasporre la celebre opera di Lewis Carroll ricevendo critiche poco lusinghiere. Dopo 60 anni ci riprova e questa volta ottiene almeno un enorme successo di pubblico.
Quando un film diventa un evento, preferisco lasciar passare un po’ di tempo dall’uscita, in modo da evitare quella massa che accorre non si sa bene perché a vedere quello specifico film poi magari diserta le sale per i restanti 7 mesi.
Così anche per Alice in Wonderland ho aspettato che passasse un mese dalla sua uscita per andare finalmente a vederlo. Con la materia che Burton aveva a disposizione avrebbe potuto fare di più: ne esce una fiaba dark piuttosto convenzionale nonostante il testo di partenza non lo sia per nulla. Ammirevoli gli effetti speciali e i trucchi (fantastica la Bonham-Carter, troppo artefatto Depp). Ma dopo essersi gustati l’entrata in scena degli eccentrici personaggi, il resto è noia. Senza contare che il 3D è assolutamente inutile. Le stregatto vince il premio simpatia.
VOTO: 6,5

lunedì 5 aprile 2010

é proprio il caso di congratularsi

CONGRATULATIONS!

Ma quanto mi piacciono ‘sti due? Esattamente due anni fa non facevo altro che ascoltarmi il loro folgorante album di debutto ed ora mi ritrovo nell’Ipod quest’altro bellissimo nuovo disco. Qual è il più bello? Difficile dirlo. Difficile dire lo stesso per la maggior parte degli artisti che dopo un esordio interessante si perdono perstrada dimostrando di aver avuto solo un colpo di fortuna. Non è il caso di questi due ragazzi dai nomi impronunciabili: Ben Goldwasser (nato nel 1982) e Andrew VanWyngarden (nato nel 1983), voce dei MGMT ( Management). 

Oracular Spectacular aveva sonorità anni ’70-’80 tra psichedelica e ammiccamenti dance, questo Congratulations invece dagli anni ’80 prende solo qualche atmosfera degli Smiths, mentre per il resto va a scavare nei decenni precedenti del miglior rock-pop. Ecco così una deliziosa miscela di Smiths, Simon & Garfunkel, Beatles e Pink Floyd. Nulla di nuovo e originale, è vero e senz’altro meno colorato e orecchiabile del precedente, ma un disco che fin dal primo ascolto ha il sapore di un classico.

Memorabile Siberian Breaks, 12 minuti di musica con la M maiuscola. Bellissima, ma troppo breve, Someone’s Missing. Sublime la title track. C’è perfino un ipnotico e lugubre pezzo strumentale assai pinkfloydiano intitolato Lady Dada’s night mare.

Nove tracce bellissime, tra cui non riesco a decidere la mia preferita. Ho già scelto però quella che mi piace meno, almeno per ora: Flash Delirium, inspiegabilmente scelta come singolo di lancio e accompagnato da un video schifoso. Shifoso non nel senso di brutto, ma perché fa proprio impressione: ad un certo punto dal collo parlante di Ben esce una biscia orribile. Per il resto l’ambientazione da interno di famiglia aristocratica è molto ‘70s, molto British e ricercato. Peccato per la biscia. Preferivo il Kitsch-underground di Time to pretend. Ecco perché qua non metto il video, ma delle foto dell’eccentrico duo.
Purtroppo il video di Flash Delirium sarà l’ultimo dall’album perché gli MGMT hanno annunciato che non vogliono realizzare dei singoli, siccome l’album è un unicum indivisibile .

L’album Congratulations uscirà tra una settimana, il 12 aprile. Imperdibile.

venerdì 2 aprile 2010

Quando l'Olimpo è sull'Empire State Building...

Il giovane studente Percy scopre di essere figlio naturale di Poseidone nel momento in cui viene accusato di aver rubato la folgore a Zeus e così dovrà mostrare agli dei dell’Olimpo di non essere un ladro.

A questo action teen fantasy va riconosciuto di aver mischiato per la prima volta il fantasy, il road movie e il peplum, senza fini parodistici, anche se a volte si ha qualche dubbio.
Il fascino della mitologia greca (che non veniva risuscitata sullo schermo da un po’) e il potenziale di effetti speciali avanzati ne fanno un film che si lascia guardare se lo si affronta dalla giusta ottica. Non è l’erede di Harry Potter, come hanno annunciato produttori e regista: i toni sono più leggeri e autoironico, spesso Kitsch e deliziosamente trash.
Da segnalare le autoironiche e divertite partecipazioni di tre star: Pierce Brosnan con corpo equino, una spettacolare Uma Thurman-Medusa, una formidabile Rosario Daswon assatanata. Sicuramente si sono divertite di più loro che lo spettatore.

VOTO : 5,5