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mercoledì 2 dicembre 2015

Hunger Games: la saga più importante del decennio giunge al suo epilogo

 HUNGER GAMES: IL CANTO DELLA RIVOLTA  PARTE II
(THE HUNGER GAME: MOCKINGJAY – PART 2)
Di Francis Lawrence,
USA 2015
Con Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Sam Claflin,  Donald Sutherland, Natalie Dormer.

Genere: Drammatico, Avventura, Azione


Giungono alla fine le (dis)avventure di Katniss, dilatate in quattro anni e altrettanti film adattati dai tre romanzi di Susan Collins. Un titolo, quello di Hunger Games, che ha cambiato il cinema, innescando la produzione di una serie di altre saghe distopiche con protagonisti giovani eroi (Divergent, Maze Runner, The Giver - Il mondo di Jonas, ecc). E possiamo dire che ha cambiato in meglio il cinema, portando nelle sale milioni di ragazzi pronti a lasciarsi coinvolgere da film in grado d’intrattenere ma anche di far riflettere sulla condizione umana. E il merito in questo, bisogna dirlo, è del primo film, l’unico diretto da Gary Ross e non tanto al testo narrativo di partenza: Hunger Games è un buon romanzo, ma spesso ciò non basta per far un buon film. Di racconti disptopici apocalittici con adolescenti protagonisti è piena la storia dell’alta e bassa narrativa, ma al cinema non hanno mai avuto un grande impatto. Basti pensare a Il signore delle mosche (1954) o allo stesso Il mondo di Jonas, che è del 1995 ma è diventato film quasi vent’anni dopo solo grazie al successo del film Hunger Games, che ha portato una generazione di ragazzi a leggere questo e altri romanzi dello stesso genere.
Gary Ross ha fatto un film in grado di suscitare un successo e un impatto mediatico incredibile e Francis Lawrence è riuscito a portare questo successo al suo apice col secondo capitolo. Nei restanti due, purtroppo, il regista, vittima di una produzione interessata a raddoppiare gli intrioiti, ha dovuto dividere ciò che nel romanzo era in unico volume.
E se il terzo già dava segni di stanchezza, il quarto si trasforma in una lenta agonia, non solo dei personaggi, ma anche della qualità del film.
Troppo spazio a scene inutili, poco spazio a momenti cruciali: l’ultimo capitolo manca completamente dell’equilibrio tra azione, epica e dramma che aveva fatto il punto di fornza dei primi due film.
Insomma Hunger Games non si conclude in bellezza: un po’ perché il romanzo lo impedisce, un po’ perché (anche) questa volta Francis Lawrence non è stato capace di dare al film quella vitalità che si nasconde nelle pagine del romanzo e nella mente di Katniss.

VOTO: 6


martedì 28 aprile 2015

IL SETTIMO FIGLIO

IL SETTIMO FIGLIO
(THE SEVENTH SON)
di Sergej Vladimirovič Bodrov, USA, 2014
con Jeff Brudges, Ben Barnes, Julianne Moore, Alicia Vikander, Kit Harington

Se ti piace guarda anche: Le cronache di Narnia, I Borgia, Rome

Una strega cattiva da combattere, un mago buono, un apprendista mago, una streghetta buona che s'innamora: ecco i personaggi. La trama non importa. Tanto la strega cattiva alla fine muore.

Cosa ci fanno i premi Oscar Jeff Bridges e Julianne Moore di nuovo insieme a 21 anni da Il Grande Lebowski?
Una brutta figura. Alla Moore evidentemente non bastava la saga di Hunger Games e a Bridges quella di The Giver, evidentemente entrambi devono essere costantemente in bancarotta e non sanno come pagare le bollette o pagare le bollette.
Insomma, la loro presenza è indifendibile. Il film non promette di essere nulla di esaltante, anche se i risultati superano notevolmente le basse aspettative. 


Gli autori miravano a inaugurare l’ennesima saga fantasy (questa addirittura annovera 13, ripeto, 13 romanzi) e rispolverare le atmosfere di Le cronache di Narnia, da cui viene del resto il protagonista Ben Barnes, rimasto tra l’altro immutabile nell’aspetto (e nella recitazione) ma la situazione è decisamente sfuggita di mano e alla fine il risultato è un fantasy di serie B, nonostante uno stratosferico budget a disposizione (circa 100 milioni). I dialoghi sono risibili, Julianne Moore è degna di un Razzie per ogni sua entrate in scena ma ad accapponare la pelle sono soprattutto le scenografie e i costumi, i primi tra l'altro del premio Oscar Dante Ferretti: un mischione di Antica Roma, Antico Egitto e bordello Belle Epoque…
Nonostante l’operazione risulti davvero maldestra, non riesce ad essere sempre involontariamente comica, impedendo al film di diventare toltamente scult e trash. Rimane insomma solo un brutto film, una brutta caduta di stile per Julianne Moore e Jeff Bridges e un brusco colpo d'arresto per le carriere dei graziosi Alicia Vikander (A royal affair) e Ben Barnes (Un matrimonio all'inglese).
VOTO: 3

domenica 30 novembre 2014

Hunger Games: il terzo capitolo è solo per i fan

HUNGER GAMES: IL CANTO DELLA RIVOLTA  PARTE I
(THE HUNGER GAME: MOCKINGJAY – PART 1)
Di Francis Lawrence,
USA 2014
Con Jennifer Lawrence,  Liam Hemsworth, Julianne Moore, Philip Seymour Hoffman, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Sam Claflin,  Donald Sutherland, Josh Hutcherson, Natalie Dormer.

 Genere: Drammatico, Avventura, Azione

TRAMA
Katniss è rinchiusa nel 13° distretto poiché il suo villaggio è stato raso al suolo dopo che la freccia scoccata dal suo arco ha mandato in tilt tutta la nazione. Peeta invece è stato portato a Capitol City ed è ostaggio del nemico. Ovviamente a Katniss non riamane che accettare il ruolo di Giandaia Imitatrice, ovvero capo della rivolta degli altri distretti contro l’onnipotenza della capitale.

COMMENTO
Innanzitutto occorre dire che per guardarsi questo film occorre aver già visto i precedenti due capitoli della saga e pur avendoli visti, considerato che tra un capitolo e l’altro intercorre puntualmente un anno, forse prima della visione c’è bisogno di una rispolverata. Questo terzo film tratto dalla trilogia di Suzan Collins si differenzia dagli altri per la staticità: niente combattimenti, niente adrenalina, niente personaggi morti. È il capitolo della riflessione, quello in cui Katness/Jennifer Lawrence è protagonista assoluta, con i suoi tormenti e fantasmi interiori, a scapito di tutti gli altri personaggi, che non conosciamo affatto meglio perché scompaiono dietro alla presenza della protagonista. Da segnalare la comparsa di due attori di grande prestigio come Julianne Moore e il compianto Philip Seymour Hoffman, che non hanno comunque il tempo di imporsi nonostante le due ore a disposizione della pellicola.
Insomma, molto meno spettacolare, coinvolgente e movimentato dei precedenti, privo di trovate visive o narrative degne di nota, si distacca nettamente dai precedenti capitoli anche in termini di qualità, pur rimanendo un must per tutti i fan e i lettori della trilogia letteraria, purtroppo dilatata in una tetralogia che si concluderà solo l’anno prossimo. Altri 12 mesi dunque per assistere al finale: prepariamoci all’ecatombe.

VOTO: 6,5

giovedì 4 settembre 2014

Maps to the stars: impossibile restare impassibile!

MAPS TO THE STARS
di David Cronenberg,
Canada/USA, 2014
con Julianne Moore, Mia Wasikowska, John Cusack, Evan Bird, arah Gadon, Olivia Williams, Robert Pattinson, Carrie Fisher.
Genere: Drammatico/Grottesco/Commedia
Se ti piace guarda anche: Cosmopolis, Viale del tramonto, Gli ultimi fuochi, Reality, The Bling Ring

E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti
Libertà.

TRAMA
Una diva in declino decide di confrontarsi col fantasma della madre intepretandola sullo schermo, o almeno così vorrebbe: una rivale più giovane le vuole soffiare il posto.. Un ragazzino attore già in declino per via di un bambino che gli ruba la scena è appena uscito da una rehab è controllato da un padre, ex divo e guru con scheletri nell'armadio... Una ragazza ricoperta di ustioni arriva a Hollywood per vedere le case delle star e un giovane autista, aspirante sceneggiatore, l'accompagna..
COMMENTO
Tanti personaggi che intersecano le loro vicende in un mosaico grottesco e citazionista, talvolta perfino parodista. C'è di tutto, perfino troppo in questo film che merita più di una visione.
C'è il ritratto impietoso di una Hollywood, luccicante e fiabesca dall'esterno, che si trasforma in vero e proprio incubo dall'interno. Ogni divo è abitato da terribili fantasmi che ne divorano l'esistenza (tratto comune dei quattro personaggi principali) e lo trasformano lentamente in un mostro capace di ogni cosa. 
Ogni personaggio è anche citazione o autocitazione in un cortocircuito spassosissimo: basti citare la guerra tra le due stelle del cinema scaturita nientemeno che da Carrie Fisher in carne e ossa che interprete se stessa e che è da tutti noi conosciuta grazie a ...Guerre stellari, appunto! 
Il regista ci dipinge gli attori di Hollywood come dei criminali senza scrupoli disposti a tutto e gli attori lo assecondano a meraviglia: applausi a una fantastica, crudele, folle e patetica Julianne Moore, premiata al Festival di Cannes. John Cusack oramai abbonato nei panni dello squilibrato, risulta davvero inquietante. Lo stesso si potrebbe dire della sempre brava Mia Wasikowska, che pare riproporre lo stesso ruolo di Stoker: pura coincidenza? 

Sono molte le domande a rimanere senza risposta poiché Cronenberg, che con gli ultimi film ha abbandonato atmosfere a lui più consone e cambiato spesso registro (l'interessante dramma storico A dangerous method,  e il cinico, più audace Cosmopolis) cambia pelle nuovamente e pare divertirsi come un ragazzino a suon di colpi di scena che scuotono lo spettatore, sortendo ogni tipo di effetto. Il pubblico ride, riflette, s'interroga, percepisce le citazioni, si spaventa e si arrabbia, poiché Cronenberg gioca coi suoi personaggi, con i suoi spettatori e perfino coi suoi attori: tutti burattini del suo gioco senza esclusione di colpi. Impossibile rimanere impassibile! Maps to the stars può irritare o affascinare moltissimo e per gli stessi motivi, più annoiare o coinvolgere moltissimo, può rimanere impresso o può passare come una meteora. Innegabile il talento del regista di comporre e scomporre i preconcetti dello spettatore, troppo abituato ai cliché cinematografici, qui sfruttati, abusati e scagliati contro chi guarda.

VOTO: 8

mercoledì 30 marzo 2011

un'allegra (e prevedibile) commedia che fa anche riflettere

I RAGAZZI STANNO BENE
(THE KIDS ARE ALL RIGHT)
DI LISA CHOLODENKO,
USA, 2010
ORA IN 88 SALE ITALIANE 
Due attrici hollywoodiane che hanno superato i 50 anni senza portare i segni devastanti di chirurgia plastica o botox e che per lo più accettano di recitare struccate e nella parte di due lesbiche innamorate?

Questo è possibile solo se si tratta di Annette Bening e Julianne Moore che è sicuramente la migliore attrice hollywoodiana della sua generazione. Se poi ci aggiungiamo una regista indipendente, il gioco è fatto.

Ecco così assistere alla storia tradizionale di una famiglia anticonvenzionale.

Abbiamo una coppia con due figli alle soglie dell’età adulta avuti con lo stesso donatore di sperma. Il figlio minore chiede alla sorella maggiorenne di contattare il padre. I tre si conoscono, si piacciono, finché non arrivano le mamme. Già perché la coppia è formata da due donne, piccolo particolare che alla fine non conta molto perché tutte le coppie sono uguali e hanno gli stessi problemi. Peccato che poi la regista cada in un tranello che sa troppo di cliché hollywoodiano, quel in & out già esplorato in altre commedie patinate sul tema (L’oggetto del mio desiderio, Sai che c’è di nuovo, e perfino l’italiana Diverso da chi?). Espediente, quello dell’avventura eterosessuale, usato per aggiungere un po’ di pepe e renderlo più commerciale, ovviamente. Cioè travolgere tutta le carte in tavola con un escamotage che francamente poteva essere evitato perché già visto e rivisto.

Così il padre biologico, prima amato da (quasi) tutti i componenti della famiglia, alla fine diventa il nemico e la famiglia vince su tutto. Insomma il finale è sempre lo stesso: poco importa se etero o omo: i valori della famiglia, qualunque essa sia, trionfano sempre.

Una trama vecchia come il mondo insomma, che di nuovo ha solo il fatto che parli di una famiglia omogenitoriale. E sa da una parte questo è lodevole, dall’altra lascia un tantino perplessi il fatto che un film spacciato per indipendente, si riveli in fondo mondo accomodante nei confronti del cinema commerciale. Arriviamo dunque a una domanda fondamentale: è il contenuto o la forma che creano un film? E qui, quale dei due è quello mainstream e quale quello tipico del cinema off?
Diciamo che il film è a metà strada tra il cinema americano indipendente d’oggi (con tipica colonna sonora indie per nulla valorizzata) e quello mainstream, patinato, da Oscar. E non sorprende dunque la pioggia di candidature alla notte al Kodak Theatre, tra cui spiccano quelle eclatanti per la miglior attrice protagonista per la Bening e per miglior film. Per quanto riguarda la prima nomination infatti, c’è da dire che in questo film le protagoniste sono due e la Moore occupa esattamente lo stesso spazio della Bening e con la stessa bravura. Ma una nota di merito va anche a Mark Ruffalo, candidato all’Academy, e soprattutto ai due sorprendenti ragazzi Josh Hutcherson e Mia Wasikowska, l’Alice di Tim Burton nonché prossima Jane Eyre. Riguardo invece alla nomination per Miglior film, va detto che è decisamente esagerata, ma comunque ben venga che pellicole come queste ricevano le attenzioni degli Academy. Sempre meglio un’allegra commedia a carattere sociale piuttosto che un inutile e noiosetto film su un monarca balbuziente, no?

VOTO: 7

venerdì 11 marzo 2011

Anche Marilyn e altri nomi illustri (anche deceduti) vittima di Vendola e del complotto comunista

Stasera esce nelle sale italiane uno dei film più attesi della stagione, candidato a 4 Premi Oscar, tra cui quello per miglior film dell’anno.

Sto parlando di I ragazzi stanno bene, film che parla di amore e di famiglia, ma che in Italia, già alla sua presentazione al Festival di Roma, fece infuriare qualche giornalista...

Io non so perché in Italia esistano alcune testate e soprattutto alcuni giornalisti che mi fanno arrestare il cervello per qualche secondo per chiedermi in quale epoca e quale nazione mi trovi. Lo straniamento è seguito sempre dalla stessa risposta: Italia d’oggi. Eppure razionalmente è impossibile capirlo, perché tutti gli indizi ci fanno pensare a un’epoca remota e lontana, in cui vivono re, principessi, orchi e folletti. Sicuramente appartiene a questo razionalissimo mondo dove i draghi sputano fuoco e le streghe fanno magie il signore Camillo Langone di cui mi sento obbligato a fare il nome.

Dalle pagine di Libero, questo aspirante stregone (nel senso che dice formule incomprensibili) invita i lettori a disertare le sale in cui verrà proiettato I ragazzi stanno bene.

E perbacco! Un boicottaggio! Caspita! Deve essere proprio nobile la causa!

"Mentre voi credete di assistere a un innocuo spettacolo vi verranno somministrate forti dosi di propaganda; innanzitutto propaganda omosessualista, di quell'ideologia seconda la quale omosessuale è meglio”.

e ancora:

E dai e dai, grazie a film del genere, Nichi Vendola è diventato la speranza della sinistra. Si sbaglia chi pensa che il catto-abortista pugliese sia stato lanciato da Cossutta e Bertinotti: sono stati Pedro Almodovar e Ferzan Ozpetek. Sappiatelo: se vi siete messi in fila per Tutto Su Mia Madre o per Le Fate Ignoranti, indipendentemente dal vostro voto avete contribuito alla causa vendoliana”.


Che Vendola abbia così tanti sostenitori nascosti? Passi per Ozpetek che ha girato Mine vaganti nella vendoliana Puglia, ma Almodovar?

Ma allora hanno contribuito alla causa vendoliana anche Pasolini e Visconti?

Beh però se Langone cita Almodovar, allora bisogna tirare in causa altri registi gay friendly: Fassbinder e perfino Cukor e che dire di film come A Qualcuno piace caldo? Caspita, anche la povera Marilyn fu soggiogata dal perfido orco Vendola!

L’ho sempre sospettato che quei registi di Hollywood degli anni ’40 e ’50 in realtà non pensassero altro che a Vendola e che molta cinematografia considerata “alta” (Visconti e Pasolini) in realtà avesse l’unico scopo di dimostrare che gli omosessuali sono essere superiori che vogliono conquistare il genere umano e spazzare via ogni presunta tendenza eterossessuale!

Ma allora vuol dire che quando i rivoluzionari francesi hanno bocciato le brioches gentilmente proposte da Maria Antonietta hanno contribuito alla causa dei McDonald’s? Quando Nabokov scrisse quel famoso libro in realtà contribuì alla causa delle escort minorenni di Arcore e Palazzo Grazioli? Posso continuare?

Il giornalista, sempre molto professionale, rincara la dose scagliandosi contro una delle interpreti, Julianne Moore, che presentò il film a Roma lo stesso giorno in cui il nostro Presidente pronunciò l’oramai celebre statement “è meglio andare con le belle ragazze che essere gay”. Quando venne chiesto all’attrice cosa pensasse di questa dichiarazione, ella rispose: “Arcaic and idiot”.

Profondamente offeso, il nostro giornalista dunque dice nella sua recensione:

Di sicuro, non accetto lezioni di vita da un'attrice, la Moore, che ha avuto non so più quanti mariti: avessi il suo curriculum, più da mantide che da donna, eviterei di presentarmi al mondo con il ditino alzato”.

Gli rispondo io: l’attrice è al terzo matrimonio, ha dunque alle spalle due matrimoni, proprio come l’idolo-padrone del giornalista, ovvero il presidente. Ma anche se ne avesse avuti 380 di mariti, avrebbe comunque avuto il diritto di esprimere un'idea, che francamente, corrisponde al pensiero di qualsiasi persona sana di mente.