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mercoledì 13 ottobre 2010

Visconti, ultima parte: L'innocente, 1976

L'INNOCENTE
di Luchino Visconti
Italia, 1976

Era inevitabile che il più decadente dei registi italiani prima o poi si confrontasse con il più decadente degli scrittori nazionali. Peccato che questo incontro sia avvenuto troppo tardi.


Visconti morì infatti durante il montaggio della pellicola, e quella che noi vediamo tutt’ora non è dunque che una versione provvisoria, montata con l’aiuto di Suso Cecchi d’Amico seguendo le indicazioni scritte del regista, che aveva girato il film in carrozzella e morì dopo una prima visione della quale non era soddisfatto. Morì subito dopo, colpito da trombosi. La versione definitiva del film non è molto diversa da quella che lo stesso regista definì insoddisfacente, ma questo fu rivelato da Suso Cecchi d’Amico solo nel 1996.

La critica  liquidò quindi L'innocente come opera non finita. E il passaggio da non finito a non riuscito fu breve. Tuttavia non è un film da dimenticare.

Al centro la storia di una ricca famiglia in crisi della Roma umbertina. L’arrivo di un erede riempe di gioia l’anziana madre, ma non sa che l’erede è un figlio illegittimo, frutto dell’unica scappatella della moglie tradita ripetutamente dal marito.

Infatti, Tullio (Giancarlo Giannini) che tradisce pubblicamente la sottomessa e rassegnata Giuliana (Laura Antonelli), per quale prova solo rispetto, compie un viaggio di piacere con la sua amante. Al suo ritorno scopre che la moglie ha avuto una relazione e si rende conto di essere terribilmente geloso e di esserne ancora innamorato. Lui, uomo che si dice libero, ateo, razionale (notevole il discorso sulla libertà di coscienza e sul suo ateismo) scopre però anche di essere abbastanza tradizionalista da non poter mai accettare un simile affronto. Quindi prima tenta di convincere la moglie che l’aborto non è affatto un crimine, ma al contrario,l’unica soluzione possibile. Di fronte al rifiuto della donna, Tullio uccide il bambino esponendo al freddo della nevosa notte di Natale, mentre tutti sono a Messa.
Ma l’animo di Tullio non è in pace come avrebbe voluto e aveva dichiarato e di fronte al disgusto e all’indifferenza della Contessa di Raffo,(Jennifer O’Neill) sua ex amante, decide di togliersi la vita.
La Contessa, sconvolta più per il fatto di ritrovarsi nel bel mezzo di un fatto di sangue che per la perdita dell’ex amante, raccoglie i propri accessori e scappa in una nebbiosa mattina invernale, per una volta senza carrozza. Probabilmente l’immagine dei suoi passi senza grazia che si allontanano e disperdono nella nebbia mattutina è quella che riassume tutto il film.
La crisi della classe sociale corrisponde o è frutto di una crisi di valori. Il personaggio enigmatico di questa nobildonna bella, ricca, sessualmente disinibita ed egoista racchiude un mondo incapace di guardare al di là dei propri futili problemi. Tullio è l’uomo che vorrebbe essere libero da restrizioni morali, ma alla fine non ci riesce. Non prova minima vergogna per aver tradito la moglie, ma è terribilmente offeso dal tradimento di lei. La moglie, che rappresenta l’ingenuità, la bontà e la religiosità di gente d’altri tempo è l’unica a uscirne viva. Distrutta dal dolore (oltre al figlio perde sia il marito che l’amante) è però l’unica che rimane, anche se il regista evita di farci vedere cosa ne sarà di lei.

FILM E ROMANZO


I personaggi femminili nel film acquisiscono un ruolo centrale: l’Antonelli è la co-protagonista del film e la O’Neill è una figura emblematica che nel romanzo di D'Annunzio aveva molto meno incidenza. In Visconti sono proprio queste due donne a spingere il protagonista verso i gesti più estremi, l’omicidio e il suicidio (quest’ultimo assente nel libro). Nel romanzo dannunziano, inoltre, la coppia ha due figli e non desidera affatto il terzo.

Visconti cambia le carte in tavola: lanciando un’accesa discussione sull’aborto, caldeggiato da Tullio e respinto da Giuliana, che qui assume un ruolo nettamente più positivo.

ATTORI


Visconti desiderava Delon e la Schneider. Si dovette accontentare di Giannini e dell’Antonelli, che tuttavia, reduce dai successi sexy di Malizia e Il Merlo Maschio, portò in sala un pubblico al quale Visconti non era più abituato. Infatti il film si classificò all’8^ posto dei maggiori incassi della stagione, rivelandosi uno dei maggiori successi commerciali del regista, che purtroppo non poté godersi questo momento.

MASSIMO GIROTTI

Visconti richiama Massimo Girotti per quella che si può definire un’amichevole partecipazione: un picolo ruolo in cui il protagonista di Ossessione interpreta uno sfrontato e anziano Conte che vuole sedurre la Contessa di Raffo, interpreta da Jennifer O’Neill.




RINA MORELLI

Un’altra presenza costante nei film di Visconti (da Senso in poi il regista le affidò quasi sempre piccoli ruoli), qui l’attrice ha un ruolo importante: è la solitaria madre di Tullio.

La grande attrice, compagna di Paolo Stoppa, morì poco dopo l’uscita del film.




GIANCARLO GIANNINI
Giannini interpreta piuttosto bene lo sgradevole personaggio di Tullio Hermil, pur senza raggiungere l’epica drammaticità di altri attori-personaggi viscontiani.


LAURA ANTONELLI

Adeguata in questo ruolo drammatico che rimarrà una delle prove più alte della sua carriera, l'attrice resta comunque vittima del personaggio che ha creato: ovvero riesce a recitare nuda anche per Visconti, regista che raramente ha spogliato donne nei suoi film.

lunedì 11 ottobre 2010

Morte a Venezia

MORTE A VENZIA, 1972 

Un lussuosissimo regalo che Visconti pare concedersi dopo una lunga carriera di successi, ma anche uno scherzo e una provocazione nei confronti del suo pubblico. Se c’è qualcosa che a Visconti non è mai mancato è il gusto della provocazione, unito a grande coraggio. Ossessione, La terra trema, La caduta degli dei, Ludwig, sono indubbiamente opere coraggiose e provocatorie per stili e contenuti.
Morte a Venezia è l’ultima provocazione di un regista che ormai ha detto tutto eppure avrebbe avuto ancora tanto da aggiungere.

Trasformando lo scrittore dell'omonimo romanzo di Thomas Mann in un musicista che ricorda Mahler, Visconti si appropria di quest’opera sul mito della bellezza e sull’incombere della morte. Per la prima volta senza Suso Cecchi d'Amico, Visconti si avvalse della collaborazione di Enrico Medioli.

Il personaggio del musicista interpretato da Dirk Bogarde non può che ricordare lo stesso regista, uomo anziano attratto da giovanissimi ragazzi, sorpreso dalla morte quando aveva ancora da creare e da vivere.

L’omosessualità, qui anche simbolica, è l’elemento chiave del film e del romanzo di Thomas Mann dal quale il film è tratto: ma ai tempi (di Visconti e ancor più quelli di Mann) tutti si guardarono bene dal notarlo. L’opera del credente e sposato Mann fu infatti interpretata come un inno alla bellezza, senza alcunché di torbido. L’attrazione del protagonista dunque è sublimata e asessuata secondo i critici del tempo. In realtà lo stesso Mann, in una lettera, ne parla come un racconto sulla pederastia e la moglie conferma l’ossessione morbosa del marito per un giovane, che in realtà non era un ragazzino come nel film, ma addirittura un bambino di undici anni.
Oggi, paradossalmente, questo film creerebbe molto più rumore.

TRAMA
In oltre due ore di pellicola ci viene mostrato un maturo gentiluomo che si limita a seguire un adolescente polacco ancora imberbe per le anguste vie e piazze di Venezia, spesso a bordo di una gondola oppure si aggira per l’albergo in tutti i luoghi in cui potrebbe incrociare il giovanissimo efebo (hall, ristorante, giardini). La sua impotenza e inettitudine è tale che non riesce a rivolgergli mai la parola e nei suoi pensieri il dolore viene accostato a quello della perdita della figlia. Strano accostamento. Quest’ossessione continua, così come procede la malattia che lo sta divorando. Per nasconderne i segni si trucca vistosamente, finchè un bel giorno, al Lido, vede il suo adorato ragazzino rotolarsi per terra con un altro ragazzo. La gelosia o l’eccitazione è talmente forte da essergli fatale: l’uomo infatti muore in spiaggia, sotto gli occhi degli altri villeggianti, colpito da un infarto.

Film praticamente muto ( 15 minuti di dialoghi in tutto ), in cui a dominare è la musica e le pastose, idilliache immagini di una Venezia da cartolina.
Protagonista è Dirk Bogarde, già inteprete del precedente film di Visconti, La Caduta degli dei (1969).

Il giovane Tadzio invece è interpretato dal quindicenne Björn Andresen, scelto dopo che Visconti fece un lungo tour in Norvegia e Svezia nelle scuole e nelle palestre al fine di trovare la persona giusta. Scelse questo ragazzino per la sua "bellezza mortuaria". L’attore in un’intervista parlò del disagio provato quando Visconti lo portò con sé in un locale gay di Cannes, dove il film fu presentato.

Silvana Mangano, nei panni della madre polacca del giovane Tadzio, agisce sempre sullo sfondo e a fatica la si percepisce parlare in russo. Questo peculiare ruolo, con nessun primo piano a lei dedicato e nessun dialogo da lei pronunciato, le procurò addirittura un Nastro d’argento. E pensare che all’inizio, nonostante il volere del regista, la scelta della Mangano fu scartata perché troppo esosa. In seguito al rifiuto di un'altra attrice imposta dalla produzione, la Mangano offrì di recitare gratuitamente.

domenica 10 ottobre 2010

Ritorno a Visconti: Le notti bianche.

LE NOTTI BIANCHE, 1957

Dopo i fasti di Senso, Visconti decise di intraprendere un altro rischio adattando con Suso Cecchi D’Amico un classico della letteratura russa, ovvero Le notti bianche di Dostoevskij.
Tornò al bianco e nero e forse è difficile pensare a una scelta migliore per questo film.
La fotografia di Giuseppe Rotunno è infatti sicuramente il pregio maggiore di un film apprezzabile ma senz’altro minore nell’itinerario dell’autore, nonostante il Leone d’Argento vinto al Festival di Venezia. Snobbato dal pubblico all’uscita e non troppo amato dalla critica successiva, rimane una tappa assai sconosciuta ma preziosa di Visconti.
Forse perché i temi non sono quelli che lo spettatore si può attendere da Visconti: nessuna passione tragica e devastante, nessun delitto, ma una storia d’amore travolgente, che lascia un sapore malinconico e triste.
Al centro del film infatti ci sono una donna e un uomo che si incontrano per caso e si innamorano con la consapevolezza che non si potranno mai amare perché lei è già promessa. E infatti alla fine il fidanzato ritorna e ai due non rimane che separarsi.


Con questo film inizia la collaborazione di Visconti con Mastroianni, alcuni anni prima di venire scoperto da Fellini e Antonioni.
Eppure, nonostante Visconti sia stato il primo a puntare sulle capacità drammatiche di questo grande attore e il primo ad avergli dato uno sguardo smarrito e notturno, non farà mai di lui un interprete viscontiano. Due infatti sono i film da protagonista che gli affidò: entrambi si trasformarono in dimenticate trasposizioni di due classici della letteratura.
Mastroianni è stato l’alter ego di Fellini, l’attore simbolo di De Sica commediante e di Ferreri, è risultato indimenticabile nell’unica collaborazione con Antonioni, ma nessuno se lo ricorda come attore viscontiano, nonostante due ruoli da protagonista.

La donna di cui si innamora il suo personaggio, Natalia, è interpretata da Maria Schell (1925-2005), attrice di lingua tedesca imposta dalla produzione.



Ma Visconti poté scegliere di richiamare a sé la Clara Calamai di Ossessione, qui in una piccola parte di vecchia prostituta.


Ma la maggior soddisfazione per il regista fu quella di poter dirigere Jean Marais (1913-1998), lo storico compagno di Jean Cocteau, nei panni del fidanzato che ritorna.

Il film è tutto girato negli studi di Cinecittà dove è stato ricostruito un intero quartiere di Livorno. Il luogo simbolo è il ponte sul quale gli amanti si conoscono, si parlano, si amano e si lasciano. I costi per il set furono tali che il produttore Cristaldi chiese a Suso Cecchi D’Amico di scrivere immediatamente una commedia commerciale da girare nello stesso set, in modo da recuperare almeno parzialmente le spese.
Il risultato fu I soliti ignoti, la migliore commedia della storia del cinema italiano, nonché grandissimo successo di pubblico.

Il contrario insomma di Le notti bianche, che rimane
un film da recuperare per tutti gli amanti di Dostoevskij, di Visconti, di Mastroianni. E per lasciarsi abbracciare da questo sontuoso bianco e nero.

domenica 12 settembre 2010

Rocco e i suoi fratelli

ROCCO E I SOI FRATELLI, 1960
Esattamente 50 anni il Festival del Cinema di Venezia assegnava il Premio speciale della giuria e il Leone d'Argento a Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, mentre il Leone d'Oro andava a Passaggio del Reno. Non l'avete mai sentito nominare? Appunto.

A distanza di 50 anni il film di Visconti è diventato un classico della storia del cinema. Non italiano, ma internazionale.

In questa 67esima Mostra lo stesso premio è stato vinto da Balada triste de la trompeta. Avrà lo stesso futuro di Rocco..?

ACCOGLIENZA
Il premio a Visconti divise  la critica. Non era infatti piaciuto al centro-destra e ai cattolici, tanto da essere accusato di immoralità (accusa dalla quale il regista si libererà solo sei anni più tardi). Ai cinema ovviamente uscì in una versione tagliata. La scena in questione non è mai più stata recuperata, tanto da diventare mitica: si tratta dell'uccisione del personaggio di Annie Girardot. Una volta uscito nelle sale, il film incassò pochissimo.

TRAMA
Rocco e la sua famiglia (la madre e i fratelli Ciro, Simone e Luca) si trasferiscono dalla Lucania a Milano, dove li attende Vincenzo, fratello che sta per sposarsi con Ginetta.


Rocco lavora prima in una lavanderia poi parte per il servizio militare. Al suo ritorno si imbatte in Nadia, una ragazza che la famiglia aveva fatto entrare in casa per proteggerla dalle angherie del padre. In realtà Nadia è una prostituta, appena uscita di prigione, che ha avuto una storia col fratello Simone, il più scapestrato e violento dei cinque.
Simone infatti si dà alla boxe e al taccheggio, si fa mantenere da un omosessuale e appena scopre che Rocco e Nadia hanno una storia, convoca gli amici e li percuote.

Quando poi Rocco viene ingaggiato a sua volta come pugile e ottiene grandi successi è la fine. La rabbia di Simone si fa tale che violenta e uccide Nadia: o almeno è quanto ci è riferito, visto che della scena rimane solo l'immagine della donna che rotola a terra in prossimità di un corso d'acqua.

Rocco, malgrado tutto lo perdona e gli offre rifugio, ma Simone viene scoperto dalla polizia e arrestato.

Il film si chiude con un dialogo tra i fratelli minori, quelli a cui è stato dedicato meno tempo. Ciro pronostica al piccolo Luca che forse soltanto lui riuscirà a tornare nella terra d'origine.

INTERPETI

Il ruolo del buon Rocco è affidato ad Alain Delon, a cui Visconti scriverà lunghe lettere d'amore. Nonostante l'imbarazzo, Delon non si offese affatto per il comportamento sfrontato del regista e accettò il ruolo da protagonista anche nel suo film successivo .

A catalizzare l'attenzione è però il personaggio interpretato da Renato Salvatori, ovvero il fratello cattivo Simone. Un ruolo che gli darà fama e prestigio e rilancerà la sua fortunata carriera.

Annie Girardot è l'indimenticabile malinconica prostituta che fa perdere la testa ai due fratelli. Sarà una presenza costante del cinema francese degli anni '60 e '70 ed oltre e ritroverà Delon una dozzina d'anni più tardi in L'uomo che uccideva a sangue freddo, in cui entrambi compaiono completamente nudi.

Claudia Cardinale è Gina e ha una particina piccola piccola, un po' come ne I soliti ignoti. Tanto basta per aiutare la sua carriera in rampa di lancio e si tratta per lei di un ruolo fondamentale, che le permetterà di farsi notare e soprattutto di convincere Visconti a chiamarla per il film successivo, Il Gattopardo.

La scena in cui Rocco porta Simone nella lavanderia in cui lavora, vanta due cammei di prestigio.

Una lavandaia è interpretata da Claudia Mori appena 18enne, al suo debutto cinematografico.
L'altra lavandaia, quella che accompagna Simone al camerino, è Adriana Asti, anche lei al suo debutto. Sarebbe diventata una presenza ricorrente nelle piece teatrali dirette da Visconti, nonché la più grande attrice drammatica italiana.



LA FONTE LETTERARIA

Per la prima volta Visconti non attua una trasposizione di un romanzo, ma una ispirazione letteraria c'è.


Si tratta dei racconti contenuti in Il Ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, scrittore ultra cattolico che scandalizzava con le sue storie di omosessuali. Visconti fu profondamente affascinato da questa personalità e si ispirò a Testori sia nel cinema che nel teatro. L'anno successivo infatti avrebbe curato la regia di Arialda, romanzo appena pubblicato.

La raccolta Il ponte della Ghisolfa, pubblicata nel 1958, racchiude una serie di racconti di giovani milanesi: c'è il bello annoiato che si lascia corrompere da un ricco omosessuale, la prostituta dal cuore d'oro che s'innamora ma viene stuprata da un ex cliente e ovviamente non può mancare la box.

Insomma gli elementi ci sono tutti, ma rielaborati da un gruppo di penne importantissime: innanzitutto Suso Cecchi d'Amico, ma non solo: Enrico Medioli al suo debutto, Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile, che sarebbe diventato, da lì a poco, anche regista di successo e l'importante scrittore Vasco Pratolini. Con un team del genere, appare inevitabile il sapore letterario del film.

martedì 7 settembre 2010

Senso di Luchino Visconti

SENSO, 1954
1886, Venzia, Teatro La Fenice. Dopo la  messa in scena de Il Trovatore di Verdi, il tenente austriaco Franz Mahler (Farley Granger) insulta gli italiani nazionalisti che distribuiscono volantini e viene sfidato a duello dal patriota conte Ussoni (Massimo Girotti).
Intercede per quest'ultimo la cugina, la contessa Livia Serpieri (Alida Valli) che però perde la testa per lui, tradendo così il marito, la patria e le proprie idee nazionaliste.

Da sempre prottettrice del cugino e della causa italiana contro l'Austria, la bella contessa finisce per consegnare al giovane amante la grande somma che il cugino le aveva affidato per sostenere i patrioti. Scoprirà che i soldi che il tenente le aveva chiesto per corrompere un medico e farsi esonerare saranno in realtà spesi in alcool e donne. La vendetta di Livia sarà crudele.

É inutile narrare la fine nei dettagli ma non è un segreto svelare che non c'è happy ending.
Come in ogni opera viscontiana la passione amorosa conduce sempre alla corruzione e alla tragedia..

L'amore in Visconti non è mai un sentimento puro, ma qualcosa di travolgente che conduce alla rovina spirituale, economica e talvolta fisica.                           I forti connotati patriottici del film hanno contribuito alla sua enorme fortuna, trasformando in un classico il racconto dello sconosciuto Camillo Boito (1836-1914). Quest'ultimo infatti era noto più per la sua attività di architetto e per essere fratello di Arrigo, poeta e compositore.

Ma il grande lettore Visconti, aiutato ancora una volta dalla fida Suso Cecco d'Amico e da un giovane Giorgio Bassani farà del racconto una pellicola di due ore, preferendo approfondire l'aspetto storico-politico ( i moti risorgimentali contro l'Austria).

Ecco così un film che stupisce per la maestosità, la maniacale attenzione al dettaglio e l'ispirazione pittorica. Ogni inquadratura trabocca di sfarzo e compostezza fornendo al film l'aspetto di una successione di tanti meravigliosi quadri legati dalla forza devastante della passione della protagonista, ovvero un'Alida Valli strepitosa quando volutamente prorompente nella propria melodrammaticità.

Un grandioso monumento all'Italia, al Risorgimento, alla musica classica (Bruckner e Verdi) e soprattutto al melodramma, di cui rimane uno degli esempi insuperabili.

La meravigliosa fotografia è di Aldo Graziati, morto in un incidente stradale durante la lavorazione e sostituito da Robert Krasker. A Graziati andò il Nastro d'Argento postumo per la migliore fotografia. Un premio assegnato troppo tardi, visto che fu il direttore della fotografia di alcuni dei più importanti titoli del nostro cinema: La terra trema, Miracolo a Milano, Umberto D.

I costumi, impeccabili, sono di un altro fedele collaboratore di Visconti, ovvero Piero Tosi.

Scena culto:
Sono almeno tre: quella d'apertura alla Fenice, quella centrale in cui Mahler irrompe nella villa della Contessa e viene nascosto e quella che anticipa il finale, ovvero lui ubriaco e lei disperata, folle d'amore. Quest'ultima fu tagliata nella versione distribuita al cinema, perchè non si poteva mostrare un soldato ubriaco.

Probabilmente Grangier e la Valli non sono mai stati così belli e tragici come nella scena del letto.

Citazione:

Mahler: Il mondo intero sparirà: quello a cui apparteniamo tu ed io. E il nuovo mondo di cui parla tuo cugino non ha nessun interesse per me: è molto meglio non essere coinvolti in queste storie e prendersi il proprio piacere dove lo si trova.

Curiosità

Gli aiutoregisti sono Francesco Rosi e Franco Zeffirelli.
ATTORI
Dopo la parentesi hollywoodiana (che raggiungerà i vertici nel 1947 col ruolo da protagonista in Il caso Parradine di Hitchcock) Alida Valli tornò a splendere come una delle più grandi stelle del cinema italiano, consegnando alla storia del cinema un ruolo memorabile.


Massimo Girotti era alla seconda collaborazione con Visconti.

Farley Granger, classe 1925 , era un altro attore che aveva appena lavorato con Hitchcock: Nodo alla gola (1948) e L'altro uomo (1951). Il suo ruolo in Senso fu offerto prima a Montgomery Clift. Anche il suo debutto come attore fu dovuto ad un rifiuto di Montgomery. Visconti voleva per questo film un attore americano di fama internazionale, possibilmente omosessuale. Granger fu richiamato in Italia anche in seguito, quando recitò in Lo chiamavano Trinità. Nel 2007 ha pubblicato la sua autobiografia, scritta assieme al compagno Robert Calcoun, col quale ha vissuto per quasi 50 anni.
Nonostante la sua partecipazione da protagonista a 3 capolavori del cinema, è una delle tante stelle di cui Hollywood si è dimenticata in fretta.
Per vedere un estratto del film cliccare

giovedì 2 settembre 2010

Bellissima

                                                                   BELLISSIMA, 1951
A tre anni da La terra trema, Visconti torna con Bellissima, film nel quale riesce finalmente a lavorare con Anna Magnani. L'ispirazione venne da un'idea di Zavattini, ma la sceneggiatura fu poi scritta assieme a Francesco Rosi e Suso Cecchi D'Amico.


Allontanandosi da fonti letterarie, Visconti vuole dipingere una storia che sia allo stesso tempo ritratto di una donna e di un'intera generazione e allo stesso tempo un'amara riflessione sul cinema come fabbrica di sogni ma pure di incubi. È anche una critica al Neorealismo, che prendeva gli attori dalla strada illudendo centinaia di poveracci.

Oggi il Neorealismo non c'è più ma ci sono ancora migliaia, milioni di madri frustrate che sognano di vedere le proprie figlie a un concorso di bellezza, in tv o al cinema. Ci sono ancora milioni di aspiranti attori e attrici che fanno di tutti per arrivare. Ma ancora peggio, oggi più del cinema, la meta più agognata è il piccolo schermo, per diventare semplicemente dei personaggi.




TRAMA
La protagonista, dal non casuale nome Maddalena, è una madre convinta che la figlioletta di cinque anni (Tina Apicella, commovente) possa diventare una stella del cinema. Così la iscrive a danza, le fa fare lezioni di portamento, le fa cucire vestiti ad hoc e la fa posare per un fotografo. Poco importa se la bambina non è portata per queste cose e vorrebbe solo vivere i suoi cinque anni come una bambina normale. Presto Maddalena scopre che il mondo delle audizioni non è facile: centinaia di madri accompagnano le loro figlie ai provini e pare che il nome della prescelta sia già scritto. Tutto inutile? Maddalena non si dà per vinta e risponde alle lusinghe di un certo Annovazzi (Walter Chiari), un uomo che lavora nel mondo del cinematografo. Pur senza arrivare all'adulterio, Maddalena  accetta comunque di civettare con l'uomo finchè questo non le garantisce un provino per Blasetti.
Dopo innumerevoli sacrifici (anche economici) la bambina arriva al provino e scoppia a piangere. Gli addetti ai lavori, il regista (Blasetti in persona fa un cammeo) e lo stesso viscido personaggio di Chiari scoppiano a ridere. Maddalena, di fronte alla penosa scena irrompe nella stanza e fa una scenata rimproverandoli per aver riso così di una povera bambina.

Così Maddalena, proprio come il personaggio biblico che porta il suo nome, si ravvede e capisce il proprio errore. La sua bambina non ha bisogno di sfondare al cinema per diventare qualcuno.

Ed ecco che come per magia, il furfante , pentito, la chiama: Blasetti vuole la bambina.

Ma Maddalena dice di no e tutta la veemenza che prima ha sfoggiato per ottenere l'ingaggio della figlia ora la pone nel rifiuto categorico.

Ancora oggi attualissimo, è uno dei film viscontiani più amati dalla critica e amato fin da subito anche dal pubblico grazie alla presenza della Magnani che offre una superba prova d'attrice coronata dal Nastro d'Argento.