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giovedì 30 settembre 2010

W Las Vegas! il ritorno di Brandon

Sono passate diverse settimane dall'uscita di FLAMINGO, nuovo album di Brandon Flowers e posso dire di averlo metabolizzato completamente.. Non che ci sia voluto molto, ma sicuramente necessita di più ascolti.

Molto meno orecchiabile e immediato di Day and Age,  il precedente lavoro con la sua band, l'esordio da solista di Flowers rimanda più a Sam's Town, rimanendo fedele al 100% al sound dei The Killers, che hanno preferito non partecipare alla registrazione e alla promozione di questo lavoro per prendersi un anno di riposo dopo il lungo tour del 2009. L'instancabile Brandon invece è tornato subito in studio a collaborare con Stuart Price, già co-autore di Human e di Confessions on a dancefloor di Madonna. Le novità sono invece Daniel Lanois e Brendan O’Brien, storici produttori del meglio del meglio (da Dylan a Springsteen) che però nulla aggiungono al sound a cui Brandon ci aveva abituati.
Ecco così un album ultra omogeneo di 10 tracce godibilissime, tutte di pari qualità, in cui è davvero impossibile scartarne o eleggerne una. Il mio particolare favore va a Swallow it, ma va segnalata anche la maestosa e teatrale apertura di Welcome to the Fabulous Las Vegas e il dolcissimo e malinconico duetto con Jennifer Lewis, Hard Enough.
Nessun passo in avanti insomma, ma una gradita conferma.
Se vogliamo trovare il pelo nell'uvo si potrebbe obiettare l'artwork del disco: ancora deserto, ancora Las Vegas e Nevada. Per il resto, grazie Brandon.


domenica 26 settembre 2010

La diva Julia

MANGIA, PREGA, AMA (Eat, Pray, Love)
VOTO: 5

Da venti anni a questa parte ogni film con Julia Roberts diventa sempre un film di Julia Roberts. Poco importa il nome del regista o la storia: lei sorrideva e tutte le donne del mondo erano con lei.
È ancora così?

In parte sì: quando la Diva Julia sorride si dimenticano tutte le amenità a cui stiamo assistendo, ovvero un susseguirsi di filosofia spiccia da due soldi, banalità e stereotipi serviti con impressionante opulenza nei 140 minuti di questa pellicola. Siamo ritornati insomma di fronte alla classica commedia sentimentale alla Julia Roberts, non quella di Pretty Woman, ma a ciò che ne seguì.

TRAMA
40enne e ancora pretty woman, all'improvviso diventa una runaway bride, ma grazie al suo Monalisa smile tutti le dicono i love you. Eppure Liz è incapace di fare la propria scelta d'amore.
I motivi di tutto ciò non sono ben chiari.
Eppure la diva Julia  riesce a rendere positivo perfino un personaggio scialbo, antipatico e francamente stupido. Non me ne voglia Elizabeth Gilbert, autrice dell'omonimo romanzo autobiografico da cui il film è tratto, ma come descrivere altrimenti una donna che prima lascia il marito perché uno sciamano le ha predetto che uno dei suoi matrimoni sarà corto, poi si trasferisce subito da un nuovo fidanzato, quindi lo lascia per visitare l'Italia perché le piace troppo il suono delle parole Linguine Michelangelo Limoncello? E non aggiungo altro sul lungo capitolo dedicato all'Italia.

Julia Roberts riesce a rendere adorabile anche questa viziata ed immatura donna d'affari la cui crisi interiore alla fine non sembra che una capricciosa fuga di comodo.
Tuttavia la nostra eroina non esce del tutto indenne da una sceneggiatura imbarazzante che la obbliga a pronunciare battute terribili. Tralasciando le banalità turistiche dei tre luoghi che visita (l'Italia solo per mangiare, l'India per pregare e Bali per “amare”) il film annovera un catalogo dei peggiori errori delle commedie all'americana, stucchevole fotografia patinata compresa. Le belle musiche di Eddie Vedder e Neil Young non c'entrano e non aggiungono nulla. E pensare che alla regia c'è uno, Ryan Murphy, che finora si è fatto notare per serie Tv che hanno brillato per originalità e audacia (Nip/Tuck, Glee). Poco importa se pure qui è aiutato dalla fida collaboratrice Jennifer Salt, già cosceneggiatrice delle serie Tv citate. Il problema è il libro e/o il modo in cui viene trattato.

Dal modo in cui il film è stato accolto dalla critica e dal pubblico pare che alla fine il sorriso di Julia Roberts non convince più così tanto: negli Usa, dove l'accoppiata bestseller e attrice vivente più amata doveva essere garanzia di grande successo, il film non ha superato gli 80 milioni di incassi. E in Italia, dove la formula “diva vivente più amata in visita nel nostro paese” poteva fare faville, il film si è fatto superare addirittura da Mordimi, registrando risultati imbarazzanti se paragonati ai fasti di tanti suoi vecchi successi.

Insomma, quando il botteghino ti volta le spalle, è segno di voltargliele a sua volta. Anche per Julia è arrivato il tempo di non pensare più al box office, ma di arrischiarsi in prodotti più audaci, come Erin Brokovich o Closer, che finora sono gli unici suoi titoli che si potranno ricordare non per il successo al botteghino. A dire il vero ci aveva già provato l'anno scorso col non del tutto riuscito thriller Duplicity, anch'esso infarcito con tappa romana, ma il fiasco è stato catastrofico. Nessuno l'ha voluto sottilinerare, perchè tutti hanno ancora bisogno di avere la diva più amata al mondo.
 

mercoledì 22 settembre 2010

Caterina Boratto

Una settimana di addii. La più recente, Sandra Mondaini. La settimana scorsa  Chabrol.  Alla scomparsa di quest'ultimo non è stato dato lo spazio dovuto a mio avviso. Ogni giornale e sito gli ha dedicato un articolo approfondito, certo, ma forse è comunque un po' poco per uno dei fondatori della Nouvelle Vague e uno dei più prolifici autori del cinema francese, nonché tra i pochi ad avere una distribuzione internazionale.
Ma il trattamento che ha ricevuto Caterina Boratto è ancora più riprovevole: solo piccoli trafiletti sui quotidiani hanno ricordato questa attrice che ha presenziato nel cinema italiano per oltre mezzo secolo. La maggior parte degli articoli ANSA la definivano semplicemente diva dei telefoni bianchi, omettendo per esempio il piccolo particolare che recitò in alcuni dei film più importanti del nostro illustro e sempre più lontano passato: e le  le 120 giornate di Salò.
Solo il sito de La Repubblica le ha dedicato un bell'articolo. Addirittura nessun post sui siti di cinema.

Cerco dunque di recuperare.
Caterina Boratto, scomparsa martedì scorso alla veneranda età di 95 anni, non era certo un nome molto noto ai più. Eppure tra gli anni '30 e '40 era tra le dive più celebri. Negli anni '60 e '70 si è poi trasformata in attrice di film d'autore per poi diventare, nei decenni successivi, attrice teatrale e televisiva.
Una carriera importante che vale la pena riguardare.


La sua è una storia di altri tempi, di un'epoca già finita da un pezzo. L'epoca delle due guerre, della Resistenza, degli anni d'oro del cinema italiano.
Nata nel 1915 a Torino, in piena Prima guerra mondiale, dopo aver studiato al liceo musicale interpretò, fra gli altri, un ruolo importante nel film musicale Vivere! che le diede una visibilità internazionale, tanto da ottenere a Hollywood un contratto settenale con la Metro Goldwyn Mayer. Scoppiata le seconda guerra mondiale, fu costretta a rientrare in Italia, senza aver girato nulla, dicendo così per sempre addio al suo sogno americano. Eppure la sua breve toccata e fuga americana bastò per lasciare un ricordo al grande Francis Scott Fitzgerald, che la definì il "battello dei sogni".

Gli anni della guerra furono profondamente drammatici: si innamorò di un eroe di guerra che morì in un incidente aereo e il fratello partigiano venne ucciso nell'eccidio di Cefalonia. Caterina abbandonò quindi le scene per ritirarsi in una clinica di lusso a Torino, dove conobbe Armando Ceratto, direttore della clinica e suo futuro marito. Quest'ultimo aprì la clinica ai partigiani feriti, mandando così al tracollo le finanze familiari.

In più il cinema sembrava essersi dimenticato di lei, finchè non la chiama nientemeno che Federico Fellini per il suo film più apprezzato, 8 ½. L'esperienza è talmente positiva che la richiama anche due anni dopo per Giulietta degli Spiriti. Nello stesso anno recita in Io, io, io... e gli altri di Alessandro Blasetti. Superati i 50, Caterina si trasforma dunque in una signora del cinema d'autore, recitando anche in film stranieri, come Ardenne '44: un inferno di Sydney Pollack.

Infine, nel 1975 è Pasolini a richiamarla sul set per uno dei film più controversi della storia del cinema: Salò o le 120 giornate di Sodoma. Superata la boa dei 70 anni, l'attrice si è dedicata anche all'operetta, al teatro impegnato e alla fiction, che le ha affidato particine fino ai primi anni '90.

Nel 2000 la figlia Marina Ceratto ha un pubblicato il libro Il battello dei sogni : tutto il racconto della vita di Caterina Boratto la grande attrice riscoperta da Federico Fellini.

sabato 18 settembre 2010

Lost in Coppola

In seguito alla visione di Somewhere non sono riuscito a trattenermi dal rivedermi subito Il Giardino delle vergini suicide e Marie-Antoinette. Somewhere riuscirà mai a piacermi come questi titoli? Ne dubito, ma tanto di coppola (ok battuta terribile) per questa regista. Così come mi sono innamorato di nuovo di quella sognante e indimenticabile Playground Love degli Air che conduceva le cinque bellissime e biondissime vergini all'altare della morte, ho divorato con gli occhi quei coloratissimi dolci al cospetto della regina più glamour di Francia e ho sognato di vivere anch'io un'adolescenza annoiata alla corte più bella del mondo.
Con Somewhere mi sono ricordato anche dell'esistenza dei Phoenix, che una decina d'anni fa amai assai grazie ad Everything e quella Run run run che non ha mai smesso di ronzarmi in testa. Ho scoperto poi che i Phoenix hanno pubblicato a gennaio un album premiato col Grammy nella categoria best alternative. Adesso io non credo che alternative sia il termine adatto, anche perché ultimamente è un vocabolo assai abusato. É un album gradevole, dal titolo presuntuoso (Wolfgang Amadeus) composto da 9 brevissime canzoni, eccezione fatta per quella Love Like Sunset che apre e chiude l'ultimo film della Coppola. Un pezzo bellissimo che non ha però niente a che fare con il resto dell'album, dato che in nessuna traccia c'è il tempo necessario per creare un'atmosfera. Ed è un peccato. Come quando nel brano di chiusura, Armistice, irrompe per 10 secondi un estasiante clavicembalo. Ma dico, 10 secondi?

Per i più gossipari posso aggiungere che Thomas Mars, leader di questa band originaria di Versailles (sarà un caso?) è il compagno di Sofia Coppola, nonché padre delle sue due figlie. Con la sua band è comparso fugacemente ed imparruccato in Marie Antoinette.  Praticamente ha recitato dietro a casa sua. Nascere nei dintorni di Versailles.
A qualcuno gli tocca. Cosa sarebbe capitato a me se vi fossi nato? Probabilmente nelle giornate di sole sarei andato a studiare al parco e con parco avrei inteso quello di Versailles. Nel tempo libero sarei andato a correre o ad abbronzarmi al parco e con parco avrei sempre inteso il medesimo posto. É tutta questione di dove nasciamo. Sofia è nata con un padre che si chiama Francis Ford Coppola e oltre alla ricchezza ha avuto anche il culo di aver uno sfacciato talento. Con il fratello e il padre alla produzione e il marito alle musiche, si può dire che i suoi film siano quasi fatti in famiglia. Una famiglia molto agiata che ha condizionato profondamente i suoi personaggi : cinque ragazzine depresse perché rinchiuse nella loro prigione dorata in un quartiere bene del Michigan, una giovanissima sposa triste perché il marito fotografo l'ha lasciata sola in un hotel a 5 stelle, un'adolescente viziosa e capricciosa costretta a fare la regina e a vivere a Versailles. Un divo insofferente al fatto che tutte le donne lo vogliano, la figlia lo adori, il pubblico lo acclami in ogni parte del mondo. Già, l'infelicità si nasconde anche dove meno te lo aspetti. E nonostante in molti dicano che Sofia Coppola sia troppo snob perché parla di realtà elitarie penso che sia invece assolutamente democratica perché vuole comunicare che il mal di vivere non conosce confini economici, sociali o geografici, ma è qualcosa di universale.
In effetti riguardando questi film mi sono ricordato pure di Kirsten Dunst: che fine ha fatto? Praticamente dopo Marie-Antoinette il nulla. Bambina prodigio del cinema, ha smesso di recitare a 25 anni.
Sicuramente non avrà avuto un'adolescenza molto diversa da quelle descritte dalla Coppola.
 
Kirsten Dunst aspirante vergine suicida e annoiata Marie-Antoinette

venerdì 17 settembre 2010

Anch'io metto il becco

Non contento che quest'anno sia stata creata una sezione apposita (la Situazione comica) per permettere a Boldi & De Sica di calcare il red carpet del Festival, il Ministro Bondi ha affermato che «d’ora in avanti intende mettere becco anche in queste scelte, a nome del popolo che il governo rappresenta» perchè non è rimasto contento del presidente della giuria di quest'edizione, in quanto «è espressione di una cultura elitaria, relativista e snobistica, che non tiene in alcun conto i sentimenti e i gusti del popolo e della tradizione, considerati rozzi e superati». Considerando che, piaccia o non, Tarantino è l'unico regista vivente (tallonato da Burton) capace di unire qualità e popolarità, il ministro dovrebbe sentirsi onorato, orgoglioso e grato che un personaggio di tale calibro abbia accettato di venire nel nostro bistrattato Paese. Se poi con gusti e tradizione del popolo s'intendono i cinepanettoni allora posso già azzardare la giuria dell'anno prossimo, suggerita dal Ministro nonché poeta: Presidente Neri Parenti, giurati i registi-sceneggiatori Carlo ed Enrico Vanzina, gli attori Fichi d'India, le attrici Barbara d'Urso e Alessia Marcuzzi.

mercoledì 15 settembre 2010

Perchè il film con la Marini ha vinto il Leone d'oro

Non è difficile capire le motivazioni che hanno condotto Tarantino e la sua giuria ad assegnare a Somewhere  il massimo riconoscimento previsto dal concorso. Il premio della giuria, così come quello per il miglior attore, è andato invece ad Essential Killing. Ad unire i due film la quasi mancanza di dialoghi e la lentezza.
Insomma il genere di film completamente opposto a quello tarantiniano, tutto battute formidabili e giochi di montaggio.

Ma è anche un cinema opposto a tutto ciò che il mondo audiovisivo oggi ci offre al cinema, in tv e in internet: spot, videoclip, trailer, anticipazioni, riassunti. Tutto in nome di un unico imperativo: velocità. Nell'era iper-frenetica in cui la Tv detta le proprie leggi, il monito di Tarantino & co è chiaro: disintossicatevi da tutto questo e tornate ad apprezzare il cinema per quello che era un tempo, ovvero il regno dell'immagine.

L'immagine dunque si è riappropriata del mezzo cinematografico e il cinema è tornato ad essere luogo di contemplazione visiva. Il tempo filmico si adegua a quello quotidiano. Liquidare Somewhere affermando che riesce a esprimere la noia del protagonista soltanto annoiandolo sarebbe impreciso. Nel suo lento incedere, che ripropone la vita quotidiana di un divo immobilizzato dalla propria apatia (interpretato da un perfetto Stephen Dorff) c'è il tentativo di portare lo spettatore sullo stesso piano del protagonista.  Gli sguardi di Dorff dicono molto di più di qualsiasi battuta. L'entrata in scena della figlia Cleo (sorprendente Elle Fanning) irradia lo schermo e la vita del protagonista di una luce difficilmente descrivibile in altro modo.

E a chi dice che nel film non succede nulla rispondo che succede fin troppo, perché l'ultima parte, quando Johnny finalmente agisce, è completamente inutile. Tutto era già stato suggerito prima. Per questo reputo  Sofia Coppola  migliore a mostrare piuttosto che a (de)scrivere.

Il cinema di questa regista italo-americana è dunque puro, semplice, intimista, una sorta di ritorno alle origini, quando l'immagine bastava a riempire uno schermo. Quando non c'era bisogno di salti temporali, di voci narranti, effetti speciali, montaggio forsennato e 3D.

Al momento della premiazione la regista ha citato la Nouvelle Vague come fonte di principale  ispirazione, affermazione che può apparire tanto scontata quanto pretenziosa, sentita già da qualsiasi altro regista. Eppure nel lavoro di Sofia Coppola l'influenza della corrente francese c'è davvero: in quel suo prediligere i tempi morti, i gesti quotidiani (retaggi del Neorealismo) e quell'intenzione di provocare lo spettatore medio. Ed ecco che Tarantino è anche lui un altro grande ammiratore della Nouvelle Vague, tanto da chiamare la sua casa di produzione Band Apart, dell'omonimo film di Godard.
E a proposito di Nouvelle vague: adieu Monsieur Chabrol!

domenica 12 settembre 2010

Rocco e i suoi fratelli

ROCCO E I SOI FRATELLI, 1960
Esattamente 50 anni il Festival del Cinema di Venezia assegnava il Premio speciale della giuria e il Leone d'Argento a Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, mentre il Leone d'Oro andava a Passaggio del Reno. Non l'avete mai sentito nominare? Appunto.

A distanza di 50 anni il film di Visconti è diventato un classico della storia del cinema. Non italiano, ma internazionale.

In questa 67esima Mostra lo stesso premio è stato vinto da Balada triste de la trompeta. Avrà lo stesso futuro di Rocco..?

ACCOGLIENZA
Il premio a Visconti divise  la critica. Non era infatti piaciuto al centro-destra e ai cattolici, tanto da essere accusato di immoralità (accusa dalla quale il regista si libererà solo sei anni più tardi). Ai cinema ovviamente uscì in una versione tagliata. La scena in questione non è mai più stata recuperata, tanto da diventare mitica: si tratta dell'uccisione del personaggio di Annie Girardot. Una volta uscito nelle sale, il film incassò pochissimo.

TRAMA
Rocco e la sua famiglia (la madre e i fratelli Ciro, Simone e Luca) si trasferiscono dalla Lucania a Milano, dove li attende Vincenzo, fratello che sta per sposarsi con Ginetta.


Rocco lavora prima in una lavanderia poi parte per il servizio militare. Al suo ritorno si imbatte in Nadia, una ragazza che la famiglia aveva fatto entrare in casa per proteggerla dalle angherie del padre. In realtà Nadia è una prostituta, appena uscita di prigione, che ha avuto una storia col fratello Simone, il più scapestrato e violento dei cinque.
Simone infatti si dà alla boxe e al taccheggio, si fa mantenere da un omosessuale e appena scopre che Rocco e Nadia hanno una storia, convoca gli amici e li percuote.

Quando poi Rocco viene ingaggiato a sua volta come pugile e ottiene grandi successi è la fine. La rabbia di Simone si fa tale che violenta e uccide Nadia: o almeno è quanto ci è riferito, visto che della scena rimane solo l'immagine della donna che rotola a terra in prossimità di un corso d'acqua.

Rocco, malgrado tutto lo perdona e gli offre rifugio, ma Simone viene scoperto dalla polizia e arrestato.

Il film si chiude con un dialogo tra i fratelli minori, quelli a cui è stato dedicato meno tempo. Ciro pronostica al piccolo Luca che forse soltanto lui riuscirà a tornare nella terra d'origine.

INTERPETI

Il ruolo del buon Rocco è affidato ad Alain Delon, a cui Visconti scriverà lunghe lettere d'amore. Nonostante l'imbarazzo, Delon non si offese affatto per il comportamento sfrontato del regista e accettò il ruolo da protagonista anche nel suo film successivo .

A catalizzare l'attenzione è però il personaggio interpretato da Renato Salvatori, ovvero il fratello cattivo Simone. Un ruolo che gli darà fama e prestigio e rilancerà la sua fortunata carriera.

Annie Girardot è l'indimenticabile malinconica prostituta che fa perdere la testa ai due fratelli. Sarà una presenza costante del cinema francese degli anni '60 e '70 ed oltre e ritroverà Delon una dozzina d'anni più tardi in L'uomo che uccideva a sangue freddo, in cui entrambi compaiono completamente nudi.

Claudia Cardinale è Gina e ha una particina piccola piccola, un po' come ne I soliti ignoti. Tanto basta per aiutare la sua carriera in rampa di lancio e si tratta per lei di un ruolo fondamentale, che le permetterà di farsi notare e soprattutto di convincere Visconti a chiamarla per il film successivo, Il Gattopardo.

La scena in cui Rocco porta Simone nella lavanderia in cui lavora, vanta due cammei di prestigio.

Una lavandaia è interpretata da Claudia Mori appena 18enne, al suo debutto cinematografico.
L'altra lavandaia, quella che accompagna Simone al camerino, è Adriana Asti, anche lei al suo debutto. Sarebbe diventata una presenza ricorrente nelle piece teatrali dirette da Visconti, nonché la più grande attrice drammatica italiana.



LA FONTE LETTERARIA

Per la prima volta Visconti non attua una trasposizione di un romanzo, ma una ispirazione letteraria c'è.


Si tratta dei racconti contenuti in Il Ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, scrittore ultra cattolico che scandalizzava con le sue storie di omosessuali. Visconti fu profondamente affascinato da questa personalità e si ispirò a Testori sia nel cinema che nel teatro. L'anno successivo infatti avrebbe curato la regia di Arialda, romanzo appena pubblicato.

La raccolta Il ponte della Ghisolfa, pubblicata nel 1958, racchiude una serie di racconti di giovani milanesi: c'è il bello annoiato che si lascia corrompere da un ricco omosessuale, la prostituta dal cuore d'oro che s'innamora ma viene stuprata da un ex cliente e ovviamente non può mancare la box.

Insomma gli elementi ci sono tutti, ma rielaborati da un gruppo di penne importantissime: innanzitutto Suso Cecchi d'Amico, ma non solo: Enrico Medioli al suo debutto, Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile, che sarebbe diventato, da lì a poco, anche regista di successo e l'importante scrittore Vasco Pratolini. Con un team del genere, appare inevitabile il sapore letterario del film.

martedì 7 settembre 2010

Senso di Luchino Visconti

SENSO, 1954
1886, Venzia, Teatro La Fenice. Dopo la  messa in scena de Il Trovatore di Verdi, il tenente austriaco Franz Mahler (Farley Granger) insulta gli italiani nazionalisti che distribuiscono volantini e viene sfidato a duello dal patriota conte Ussoni (Massimo Girotti).
Intercede per quest'ultimo la cugina, la contessa Livia Serpieri (Alida Valli) che però perde la testa per lui, tradendo così il marito, la patria e le proprie idee nazionaliste.

Da sempre prottettrice del cugino e della causa italiana contro l'Austria, la bella contessa finisce per consegnare al giovane amante la grande somma che il cugino le aveva affidato per sostenere i patrioti. Scoprirà che i soldi che il tenente le aveva chiesto per corrompere un medico e farsi esonerare saranno in realtà spesi in alcool e donne. La vendetta di Livia sarà crudele.

É inutile narrare la fine nei dettagli ma non è un segreto svelare che non c'è happy ending.
Come in ogni opera viscontiana la passione amorosa conduce sempre alla corruzione e alla tragedia..

L'amore in Visconti non è mai un sentimento puro, ma qualcosa di travolgente che conduce alla rovina spirituale, economica e talvolta fisica.                           I forti connotati patriottici del film hanno contribuito alla sua enorme fortuna, trasformando in un classico il racconto dello sconosciuto Camillo Boito (1836-1914). Quest'ultimo infatti era noto più per la sua attività di architetto e per essere fratello di Arrigo, poeta e compositore.

Ma il grande lettore Visconti, aiutato ancora una volta dalla fida Suso Cecco d'Amico e da un giovane Giorgio Bassani farà del racconto una pellicola di due ore, preferendo approfondire l'aspetto storico-politico ( i moti risorgimentali contro l'Austria).

Ecco così un film che stupisce per la maestosità, la maniacale attenzione al dettaglio e l'ispirazione pittorica. Ogni inquadratura trabocca di sfarzo e compostezza fornendo al film l'aspetto di una successione di tanti meravigliosi quadri legati dalla forza devastante della passione della protagonista, ovvero un'Alida Valli strepitosa quando volutamente prorompente nella propria melodrammaticità.

Un grandioso monumento all'Italia, al Risorgimento, alla musica classica (Bruckner e Verdi) e soprattutto al melodramma, di cui rimane uno degli esempi insuperabili.

La meravigliosa fotografia è di Aldo Graziati, morto in un incidente stradale durante la lavorazione e sostituito da Robert Krasker. A Graziati andò il Nastro d'Argento postumo per la migliore fotografia. Un premio assegnato troppo tardi, visto che fu il direttore della fotografia di alcuni dei più importanti titoli del nostro cinema: La terra trema, Miracolo a Milano, Umberto D.

I costumi, impeccabili, sono di un altro fedele collaboratore di Visconti, ovvero Piero Tosi.

Scena culto:
Sono almeno tre: quella d'apertura alla Fenice, quella centrale in cui Mahler irrompe nella villa della Contessa e viene nascosto e quella che anticipa il finale, ovvero lui ubriaco e lei disperata, folle d'amore. Quest'ultima fu tagliata nella versione distribuita al cinema, perchè non si poteva mostrare un soldato ubriaco.

Probabilmente Grangier e la Valli non sono mai stati così belli e tragici come nella scena del letto.

Citazione:

Mahler: Il mondo intero sparirà: quello a cui apparteniamo tu ed io. E il nuovo mondo di cui parla tuo cugino non ha nessun interesse per me: è molto meglio non essere coinvolti in queste storie e prendersi il proprio piacere dove lo si trova.

Curiosità

Gli aiutoregisti sono Francesco Rosi e Franco Zeffirelli.
ATTORI
Dopo la parentesi hollywoodiana (che raggiungerà i vertici nel 1947 col ruolo da protagonista in Il caso Parradine di Hitchcock) Alida Valli tornò a splendere come una delle più grandi stelle del cinema italiano, consegnando alla storia del cinema un ruolo memorabile.


Massimo Girotti era alla seconda collaborazione con Visconti.

Farley Granger, classe 1925 , era un altro attore che aveva appena lavorato con Hitchcock: Nodo alla gola (1948) e L'altro uomo (1951). Il suo ruolo in Senso fu offerto prima a Montgomery Clift. Anche il suo debutto come attore fu dovuto ad un rifiuto di Montgomery. Visconti voleva per questo film un attore americano di fama internazionale, possibilmente omosessuale. Granger fu richiamato in Italia anche in seguito, quando recitò in Lo chiamavano Trinità. Nel 2007 ha pubblicato la sua autobiografia, scritta assieme al compagno Robert Calcoun, col quale ha vissuto per quasi 50 anni.
Nonostante la sua partecipazione da protagonista a 3 capolavori del cinema, è una delle tante stelle di cui Hollywood si è dimenticata in fretta.
Per vedere un estratto del film cliccare

giovedì 2 settembre 2010

Bellissima

                                                                   BELLISSIMA, 1951
A tre anni da La terra trema, Visconti torna con Bellissima, film nel quale riesce finalmente a lavorare con Anna Magnani. L'ispirazione venne da un'idea di Zavattini, ma la sceneggiatura fu poi scritta assieme a Francesco Rosi e Suso Cecchi D'Amico.


Allontanandosi da fonti letterarie, Visconti vuole dipingere una storia che sia allo stesso tempo ritratto di una donna e di un'intera generazione e allo stesso tempo un'amara riflessione sul cinema come fabbrica di sogni ma pure di incubi. È anche una critica al Neorealismo, che prendeva gli attori dalla strada illudendo centinaia di poveracci.

Oggi il Neorealismo non c'è più ma ci sono ancora migliaia, milioni di madri frustrate che sognano di vedere le proprie figlie a un concorso di bellezza, in tv o al cinema. Ci sono ancora milioni di aspiranti attori e attrici che fanno di tutti per arrivare. Ma ancora peggio, oggi più del cinema, la meta più agognata è il piccolo schermo, per diventare semplicemente dei personaggi.




TRAMA
La protagonista, dal non casuale nome Maddalena, è una madre convinta che la figlioletta di cinque anni (Tina Apicella, commovente) possa diventare una stella del cinema. Così la iscrive a danza, le fa fare lezioni di portamento, le fa cucire vestiti ad hoc e la fa posare per un fotografo. Poco importa se la bambina non è portata per queste cose e vorrebbe solo vivere i suoi cinque anni come una bambina normale. Presto Maddalena scopre che il mondo delle audizioni non è facile: centinaia di madri accompagnano le loro figlie ai provini e pare che il nome della prescelta sia già scritto. Tutto inutile? Maddalena non si dà per vinta e risponde alle lusinghe di un certo Annovazzi (Walter Chiari), un uomo che lavora nel mondo del cinematografo. Pur senza arrivare all'adulterio, Maddalena  accetta comunque di civettare con l'uomo finchè questo non le garantisce un provino per Blasetti.
Dopo innumerevoli sacrifici (anche economici) la bambina arriva al provino e scoppia a piangere. Gli addetti ai lavori, il regista (Blasetti in persona fa un cammeo) e lo stesso viscido personaggio di Chiari scoppiano a ridere. Maddalena, di fronte alla penosa scena irrompe nella stanza e fa una scenata rimproverandoli per aver riso così di una povera bambina.

Così Maddalena, proprio come il personaggio biblico che porta il suo nome, si ravvede e capisce il proprio errore. La sua bambina non ha bisogno di sfondare al cinema per diventare qualcuno.

Ed ecco che come per magia, il furfante , pentito, la chiama: Blasetti vuole la bambina.

Ma Maddalena dice di no e tutta la veemenza che prima ha sfoggiato per ottenere l'ingaggio della figlia ora la pone nel rifiuto categorico.

Ancora oggi attualissimo, è uno dei film viscontiani più amati dalla critica e amato fin da subito anche dal pubblico grazie alla presenza della Magnani che offre una superba prova d'attrice coronata dal Nastro d'Argento.