IO SONO L'AMORE
di Luca Guadagnino,
Italia, 2010
"
I Am Love is such a lush, deeply textured banquet of sights and sounds that it deserves more than a movie review".
Washington Post
È quello che penso anch’io. Io sono l’Amore andrebbe studiato e approfondito con saggi, articoli e quant’altro perché la sua carica visiva debordante ne fa uno dei migliori esempi del potenziale del cinema italiano dell’ultimo decennio. E sottolineo potenziale perché il film di Guadagnino non è un’opera perfettamente compiuta, ma indubbiamente un lavoro che va ricordato, a differenza di quanto è stato fatto dalla stampa italiana.
Tre significative scene del film
Valerio Parenti, Edoardo Gabbriellini e Tilda Swinton in cucina
Tilda Swinton cammina sui tetti del Duomo di Milano mentre riflette sull'omosessualità della figlia
Tilda Swinton all'interno della Chiesa del Cimitiro Monumentale di Milano dopo aver rivelato il proprio adulterio
La frase
nessun è profeta in patria è sempre di grande attualità in Italia: ogni stato democratico darebbe grande risalto alla notizia della vittoria di una Palma d’oro da parte di un proprio connazionale e ne farebbe anche motivo d’orgoglio. Qui da noi si è preferito censurare la vittoria di Elio Germano solo perché simpatizzante per l’opposizione.
Non ci sono invece ragioni politiche dietro alla misteriosa sorte di
Io sono l’amore, per lo più
stroncato dalla critica nazionale (a parte Ciak, Film.tv e pochi altri) e
osannato invece da quella straniera.
La critica italiana forse non ha perdonato a Guadagnino il famigerato
Melissa P. Negli USA invece, dove i trascorsi del regista erano sconosciuti, il film è stato accolto come un capolavoro, ottenendo, su rottentomatoes (sito che converte in numeri i pareri della critica) la sbalorditiva percentuale dell’83% contro l’87% di
Inception, tanto per fare un paragone.
Io sono l’amore è bello quanto
Inception? Un film italiano può essere bello quanto quel capolavoro americano? Impossibile da concepire, ma sembra proprio così. Eppure noi italiani preferiamo i film statunitensi e viceversa, tanto che qui tutti hanno parlato di
Inception e praticamente nessuno si è accorto di
Io sono l’amore.
Così il film di Luca Guadagnino è stato distribuito in una trentina di sale, incassando 450.000 risibili euro e ottenendo critiche piuttosto fredde.
Nel resto del mondo invece,
I’m love ha racimolato più di
10 milioni di dollari, ottenuto il plauso della critica e la nomination ai
Golden Globes come miglior film straniero.
Questa nomination è proprio meritata perché Guadagnino firma un’ambiziosissima, perfino sfacciata rilettura di temi viscontiani, trasformando Milano in uno sfondo assolutamente indimenticabile, impresa finora compiuta solo da Antonioni e facendoci innamorare di una villa milanese assolutamente da visitare.
Non è né scontato né azzardato chiamare in causa Visconti perché questo ritratto di famiglia in un interno mette in scena una situazione familiare non molto diversa da quella de La Caduta degli dei con la stessa maniacale cura per i dettagli (architettonici, scenografici, ambientali), l'uguale compiaciuta decadenza e un' opulenza visiva che si trasforma in un atto d’accusa nei confronti di una classe morente.
Insomma quaranta anni dopo la ricca borghesia non è ancora morta ma un altro regista è pronto a immortalarne la caduta, aggiungendovi un elemento nuovo e interessantissimo. La ricca borghesia o aristocrazia dipinta dai film di Visconti era in crisi perché chiusa in se stessa e incapace di guardare fuori e avanti. Qui la ricca dinastia è in crisi anche perché capace di guardarsi intorno.
La figlia (Alba Rohrwacher) trova a Londra una serenità (di tipo sessuale) che a Milano probabilmente non potrebbe avere. Emma (Tilda Swinton), sulla via per Nizza si ferma a Sanremo e vi ritrova se stessa nella chiesa ortodossa e nella relazione con il coetaneo del figlio. La bellissima, gelida Milano imbiancata dalla neve sembra aver paralizzato per anni le vite delle due donne.
Ma andiamo per ordine: Emma è una donna russa letteralmente conquistata dal marito (dal non casuale nome di Tancredi) che la preleva dal paese natio e le cambia nome. Emma è la donna perfetta di una ricchissima famiglia industriale, finché qualcosa non si spezza nel magico ingranaggio: irrompe il solito sconosciuto outsider che travolge l’agiata routine familiare (
Teorema?) fino a portarla al baratro, e a portare la donna al peggiore dei dolori che una madre possa provare. Eppure questo immenso dolore rappresenta per Emma forse l’inizio di una nuova vita.
Nulla di nuovo insomma e raccontato neppure troppo bene: la sceneggiatura (alla quale collabora anche Ivan Cotroneo) si macchia di un’ultima parte da dimenticare in cui pare che gli stessi autori non sappiano più come gestire il proprio racconto dopo che si è raggiunto il climax. Perché una donna che trova la serenità nell’adulterio deve essere per forza punita dal destino? Espediente romanzesco troppo inflazionato per poter essere apprezzato. Ma Io sono l'amore si fa amare per altre doti.
La forza del film sta nelle interpretazioni, nelle musiche e nella fotografia. La straordinaria protagonista inglese
Tilda Swinton che parla un perfetto italiano con perfetto accento russo si sarebbe meritata maggiori premi di un Nastro d’argento. Notevole però tutto il cast: l’oramai onnipresente
Alba Rohrwacher, presente in due dei migliori titoli italiani dell’anno, la meravigliosa
Diane Fléri e l’intenso Flavio Parenti provenienti da una serie Tv come I liceali, il redivivo Edoardo Gabriellini (che dopo
Ovosodo si era un po’ perso) e la rediviva e tiratissima Marisa Berenson (che gaurdacaso Visconti voleva vedere maritata col suo Helmut Berger).
Le splendide musiche del premio Pulitzer John Adams (anche autore di alcuni brani di Shutter Island) scandiscono la narrazione del film più di qualsiasi scena madre o battuta. Infine la fotografia di Yorick Le Saux (collaboratore di lunga data di François Ozon): barocca, straripante, ossessiva, da odiare o amare. Stesso vale per il montaggio. Personalmente io prediligo le fotografie e le musiche invasive quello che invece di registrare i fatti, fanno parlare le immagini e i dettagli. Qui ogni immagine diventa viva e magica: le statue, gli insetti, i particolari scenici.
E a proposito di scenografie e arredi, come non citare la coprotagonista di questa vicenda, l'elegantissima Villa Necchi Campiglio di via Mozart a Milano (sede di due musei), edificio razionalista e costruito quindi in pieno Fascismo. Non è un caso che in una breve dialogo si parli della collaborazione tra la famiglia e il regime, cioè quel sistema che incarnava un po’ gli ideali di una famiglia che Emma e due dei suoi figli sembrano non riuscire più a rispettare.
Manierista, patinato, melodrammatico, sfacciato? Sì.
Ma anche
un film barocco che sorprende, coinvolge e affascina grazie a una fotografia e delle musiche insinuanti e traboccanti. Da odiare o amare. Io l' ho amato perché mi ha fatto scoprire un regista dal talento visivo invidiabile e perché mi ha fatto aggiungere una tappa obbligatoria alla mia prossima visita a Milano.
VOTO: 7/8
Incasso italiano: 450.000 euro
Se ancora non siete convinti, ecco qua le recensioni delle principali testate statunitensi (mica bruscolini):
“A stunning achievemt”
Variety
“Elegantly directed and exquisitely photographed, the movie is a triumph”
New York Observer
“Elegant Italian drama about the suffocating power of family, wealth, and tradition”
Chicago reader