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mercoledì 14 marzo 2012

C'era una volta Madonna, seconda parte


1990: JUSTIFY MY LOVE by Jean-Baptiste Mondino

Hotel Ritz di Parigi trasformato in un bordello in cui la mantide Madonna in Marilyn look si lascia sedurre da un aitante ragazzo (Tony Ward, allora suo partner) ma finisce a letto con una donna androgina mentre il ragazzo le guarda. Nelle stanze dell’albergo ce n’è per ogni gusto: feticisti, omosessuali, donne che si mascherano da uomo, uomini che si truccano da donne.
Alla fine Madonna corre via divertita per lo scompiglio creato.
Il film cita una scena de Il portiere di Notte di Liliana Cavani (1974), ed è anche ispirato a La grande peccatrice (La Baie des anges , 1962) di Jacques Demy con una Jeanne Moreau bionda come protagonista.
Testo scritto con Lenny Kravitz. Clicca qui per vederlo.

1992: DEEPER AND DEEPER by BOBBY WOODS

È l’omaggio di Madonna alla Factory di Andy Warhol (alla quale si avvicinò alla fine degli ’70 a New York): la fotografia sgranata, i personaggi: sembra tutto uscire dalla trilogia di Paul Morissey, fra un modello che sembra Joe Dallesandro e un cameo della stessa protagonista di Trash (1970) Holly Woodlawn.
Cammei anche per Sofia Coppola (è quella che addenta la banana) Debi Mazar  e un ruolo per Udo Kier, che apparve in altri due film di Morrissey: Il mostro è in tavola... barone Frankenstein e Dracula cerca sangue di vergine... e morì di sete! (con De Sica e Polanski).
clicca qui per vederlo.

1993: BAD GIRL by DAVID FINCHER
Una donna single di successo ma depressa che beve troppi drink, fuma troppe sigarette e bacia troppi sconosciuti: a nulla può l’angelo custode Christopher Walken quando uno degli amanti di una notte la uccide.
Fincher, reduce da Alien 3 dirigere Madonna per la quarta e ultima volta in un video meraviglioso, triste e misconosciuto. Dopo i rapporti professionali tra i due terminarono anche perché la signora Fincher accusò Madonna di essere la causa della fine del suo matrimonio.
clicca qui per vederlo.

1995: BEDTIME STORY by MARK ROMANEK
Sul magnifico testo scritto da Bjork (Today is the last day that I'm using words/
They've gone out, lost their meaning/Don't function anymore/Let's get unconscious honey
)
Madonna esplorò l’ambient e l’elettronica per la prima volta, mentre il video, ipnotico come la canzone, è un tripudio di effetti speciali, sequenze oniriche, talvolta inquietanti, sempre affascinanti che mischiano new age, sufi, egizi, surrealismo, Frida Kahlo e René Magritte.
Il video debuttò nei cinema americani e oggi fa parte della collezione permanente del MOMA di New York.
Fu per pochi mesi il video più costoso della storia (6 milioni di dollari): oggi detiene comunque la seconda posizione dopo Scream di Michael e Janet Jackson.
 

lunedì 12 marzo 2012

C'era una volta Madonna: David Fincher

1989: EXPRESS YOURSELF by DAVID FINCHER

Dopo le croci infiammate e i baci a un Gesù nero, Madonna ha bisogno di un altro video di forte impatto: ecco arrivare dunque alla sua corte il 27enne David Fincher con il suo mini kolossal da 5 milioni di dollari ispirato a Metropolis di Fritz Lang (1927). Mai un video era costato tanto.
Oltre a Metropolis c’è molta Marlene Dietrich e molto sesso e l’immagine di Madonna ne esce rinnovata: non solo sexy, ma androgina, donna del desiderio ma anche uomo, dominatrice e schiava legata nuda a un letto. Insomma nasce la vera Madonna sex symbol e icona (anche gay).
Il testo è un inno all’emancipazione femminile, il video è soprattutto ideato per il maschietti: gli etero sono stuzzicati dall’immagine sempre più sexy della diva, mentre il pubblico gay si consola con uno stuolo di ballerini/operai seminudi e bagnati.

1989: OH FATHER by DAVID FINCHER

(non so perché blogger non voleva inserire la versione senza sottotitoli che trovate comunque su youtube cliccando qua).
Per questa struggente ballad autobiografica dedicata a un padre severo, Fincher ripercorre la vita di Madonna, segnata dalla perdita della madre in tenera età, il turbolento rapporto col padre, le botte di un compagno (Sean Penn) e il rapporto con la fede (duplice infatti è il padre a cui si riferisce il titolo, e nel video appare pure un prete).
La citazione qui è Quarto Potere (Citizen Kane, 1941) di Orson Welles, seppur molto lontana. È considerato uno dei video più scioccanti della storia per l’immagine della defunta con le labbra cucite.


1990: VOGUE by DAVID FINCHER

Madonna vi mette i suoi quadri di Tamara de Lempicka, Jean Paul Gautier le fa indossare i suoi (da lì a poco celeberrimi) reggiseni a punta, il coreografo mette in scena un ballo indimenticabile, il set è ispirato alle foto di Horst P. Horst, le pose di Madonna a quelle delle grandi dive della Hollywood degli anni d’oro, che Madonna cita nel testo della canzone assieme a Marlon Brando, Jimmy Dean, Fred Astaire e Gene Kelly: 17 sono le star citate.
Merita una visione anche l'esibizione live che Madonna tenne ai VMA's di quell'anno.


martedì 7 febbraio 2012

Uomini che odiano le donne

MILLENNIUM: UOMINI CHE ODIANO LE DONNE
 (The Girl with the Dragon Tattoo)
di David Fincher,
USA, 2011 
con Daniel Craig, Rooney Mara, Christopher Plummer, Stellan Skarsgard, Robin Writgh, Joely Richardson
Ora nei cinema
Se ti piace guarda anche: Uomini che uccidono le donne (versione svedese), Seven, The Black Dahlia, Zodiac.




 5 nomination agli OSCAR, tra cui 

MiglioreAttrice protagonista, fotografia e montaggio.


Miglior fotografia, montaggio e Attrice protagonista

 

TRAMA

Mikael Blomkvist (Daniel Craig), giornalista economico, è stato appena accusato di diffamazione e decide di allontanarsi per un po’ dalla redazione della sua rivista Millennium. Un anziano magnate dell’industria svedese (Christopher Plummer) gli chiede di occuparsi di un fatto di cronaca avvenuto 40 anni prima, archiviato dalla polizia senza successo. Allo stesso tempo una hacker disturbata dall’aspetto dark, Lisbeth Salander (Rooney Mara) è ingaggiata a indagare sullo stesso Blomkvist, è stuprata, ricattata, stupratrice, ricattatrice e infine si ritrova a collaborare con il giornalista per scoprire che fine ha fatto la 14enne di nome Hariet, nipote dell’anziano magnate.

RECENSIONE

Perché rivolgersi a un giornalista di economia per indagare su un caso di cronaca nera mai risolto in 40anni?

A parte l’inverosimile presupposto su cui poggia questo intricato thriller, il romanzo postumo del giornalista svedese  Stieg Larsson (1954-2004), primo di una fortunatissima trilogia, è talmente intrigante da aver ispirato due adattamenti cinematografici in cinque anni.

Alcuni critici hanno scritto che quello di Fincher è un remake del film di Niels Arden Oplev del 2007 piuttosto che una trasposizione del romanzo, invece il regista americano è molto più fedele all’opera letteraria, tranne che nei finali (della storia di Harriet e di quella dei protagonisti), diversi dal bestseller e dal film svedese.

Grazie all’ottima sceneggiatura di Steven Zaillian (nominato all’Oscar per l’inferiore lavoro in Moneyball) il film di Fincher riesce a tenere altissimo il coinvolgimento dello spettatore per tutti i 150 minuti di durata, creando due personaggi riuscitissimi, così opposti eppure entrambi legati dalla comune lotta contro gli abusi e dalla ricerca della verità.

Si può rimproverare al regista de Il curioso caso di Benjamin Button una certa disomogeneità nel rappresentare la materia trattata: tempi dilatati nella prima parte ed eccessivamente concentrati nell’ultima.  Infatti il film indugia fin troppo su alcuni particolari a scapito dei punti salienti della trama: alla presentazione dei due protagonisti e in particolare a quella di Lisbeth è dedicata metà del film e questo sarà utile per i futuri episodi della trilogia, ma lo stesso non si può dire per l’indagine al centro del film, la cui risoluzione è sbrigata frettolosamente in un paio di minuti e lo stesso vale per le vicende personali di Mikael, concentrate negli ultimi minuti con un montaggio frenetico senza dare allo spettatore il tempo necessario di seguire tutti i passaggi.

Le atmosfere cupissime e morbose di questo doppio (triplo?) violento thriller sono restituiti con grande effetto soprattutto per merito della fotografia del fido Jeff Cronenweth e un po’ meno grazie alle musiche di Trent Reznor e Atticus Ros, troppo simili a quelle di The Social Network, ma non ugualmente memorabili.

Curiosità: per il ruolo di Lisbeth sono state prese in considerazione Mia Wasikowska, che ha rifiutato, Carey Mulligan, che nonostante tre provini è stata scartata e perfino Scarlett Johansson (ve la immaginate sottopeso, tatuata e piena di piercing?!).

VOTO: 7,5

mercoledì 1 dicembre 2010

The social network: la rete di un'indolenza morale in cui tutti siamo intrappolati

THE SOCIAL NETWORK
di David Fincher, 2010

Mark Zuckerberg è un ragazzo solitario e un po’ strambo che viene mollato dalla sua ragazza. La sua vendetta sarà feroce, ma assai proficua dato che lo trasformerà in uno degli uomini più ricchi del mondo. Il che lo porterà però a una ulteriore solitudine in quanto presto tradirà i pochi amici che aveva. Che i dialoghi siano l’aspetto più peculiare del film si capisce fin dal primo, spiazzante (e snervante) botta e risposta tra Mark e la sua ragazza. Dopo i titoli di testa una raffica di battute impossibili da seguire per chiunque non sia un programmatore informatico specializzato in internet. Poi però, finalmente il film decolla e non lascia allo spettatore un attimo di tregua, tanto che le due ore filano via come un razzo. Merito dello sceneggiatore Aaron Sorkin che ha magnificamente adattato il romanzo di Ben Mezrich, e di David Fincher che ha saputo organizzare la materia in modo originale e avvincente. Si è ispirato a Rashomon dice lui, ma non è ardito nemmeno scorgervi Citizen Kane (Quarto Potere): si tratta di capolavori assoluti della storia del cinema che ricordano The Social Network non solo per le trovate narrative, ma anche perché qui ci troviamo di fronte a un film che certamente lascerà un’impronta nella storia del cinema e la cui portata la si potrà comprendere solo tra qualche anno. Non solo per la tecnica, che è sì perfetta, ma per nulla rivoluzionaria, quanto per il contenuto. Il film infatti va molto oltre la storia di Facebook, trasformandosi in uno specchio della società che in un futuro si trasformerà in un prezioso documento sociologico. Questa è la società occidentale d’oggi: in cui ciò che conta è avere più contatti possibili per rimanere però sostanzialmente soli. Sotto le calme apparenze, il film nasconde un messaggio tra i più allarmanti che il cinema ci abbia mai dato: è il segnale di una generazione destinata inevitabilmente alla catastrofe in cui manca il confine tra bene e male e mancano le sfumature. Alla fine del film la simpatia dello spettatore non è riservata a nessuno dei personaggi, perché tutti troppo egoisti. Eppure non si può dire che ci siano antipatici, nemmeno l'anti-eroe protagonista. Fincher riesce così a illustrare perfettamente il vuoto esistenziale di una generazione senza passioni e senza emozioni.
 Ma con questo film vengono illustrate anche le vere ragioni del social network: farsi i fatti altrui e soprattutto rimorchiare. E un mondo interessato solo alla serialità dell’atto sessuale non può funzionare. La cosa peggiore è che dopo la visione, ogni spettatore si rende conto che Facebook & company sono davvero tutto questo e noi non siamo da meno degli immorali personaggi del film perché tutte vittime e carnefici di un sistema virtuale, sociale e globale.
E che ansia queste università facoltose statunitensi in cui l’imperativo è l’esclusività, la ricchezza economica e la creatività ad ogni costo. Un microcosmo chiusissimo in se stesso che detta le leggi e decreta chi può accedervi. Proprio come il social network: chi è fuori è tagliato del mondo che conta.

Altri punti a favore del film sono la colonna sonora, l'eccellente montaggio e le notevoli prove del protagonista Jesse Eisenberg, di Justin Timberlake (che ha trovato un’attività a lui molto più consone rispetto a quella musicale) e Armie Hammer (a fianco e sotto) che si sdoppia nei gemelli Winklevoss, trovata assolutamente folle e insensata che vorrei mi
fosse spiegata al più presto.
Scena culto: la gara di canottaggio
http://www.youtube.com/watch?v=zatmdqTYivI&feature=player_embedded

Voto: 8,5



lunedì 16 marzo 2009

RECENSIONE di The Curious Case of Benjamin Button

Una vita straordinaria per un amore altrettanto incredibile. Un amore tanto esasperato da apparire subito pretestuoso quando ci troviamo di fronte ad una bambina che si intenerisce per un ultraottantenne. Un amore che si manifesta pienamente solo dopo due ore per poi risolversi in poche, anche se bellissime scene. E al termine delle tre ore quello che rimane è una grandissima storia d’amore, che non conosce confini di età. Così Daisy continua a prendersi cura di Benjamin anche quando ormai non lo fa più nessuno e lui non la può riconoscere perché è un neonato, allo stesso modo in cui il Michael di The Reader si prenderà cura di Hannah quando lei sarà in prigione. Due storie d’un amore che supera ogni confine accomunano Il curioso caso di Benjamin Button e The Reader, ma cambiano i punti di vista: quello americano (grande kolossal, Pearl Harbor, uragano Katrina) e quello europeo (stile minimalista, Seconda guerra mondiale, senso di colpa, sesso e letteratura).
La sceneggiatura dell’ Eric Roth di Forrest Gump, qui aiutato da Robin Swicord ha poco della tenerezza, dell’originalità e del brio presenti nel film di Zemeckis, col quale ha però molti punti in comune: storia di un “diverso” e del suo amore tormentato per una ragazza sullo sfondo di una fetta di Storia degli Stati Uniti.
Peccato che in tre ore di pellicola non ci sia nemmeno un dialogo memorabile. Ed ecco un altro problema: la durata. Tantissime le parti, anche ben eseguite, ma del tutto inutili. Un esempio fra tutti, la lunga parentesi concessa al legame con il personaggio della bravissima Tilda Swinton.
Dopo aver sollevato l’ammirazione di pubblico e critica ed aver perso un po’ di smalto con Zodiac, Fincher è voluto tornare per creare un classico, un progetto ambiziosissimo con una coppia di attori celeberrimi pronti a imporsi come nuova mitica coppia del grande schermo e una trama che colpisse e commuovesse ad ogni costo. L’intento è dunque quello di andare incontro ad un pubblico vastissimo e perciò ingenuo, che però non ha di certo l’intenzione di sorbirsi un film drammatico di tre ore. Sono solo due i casi in cui questo è avvenuto: Via Col Vento e Titanic. Eppure sono due anche i tentativi stagionali di emulazione dell’irripetibile appeal di queste due pellicole: oltre a Fincher anche il bravissimo Luhrmann ci ha provato poco fa con la coppia Kidman-Jackman nel suo film fiume Australia. Film che vogliono essere capolavori, ma restare anche nel cuore del pubblico. In entrambi i casi il tentativo è fallito.
Tuttavia il film esegue alla perfezione ciò che ci si aspetta da ogni favola hollywoodiana, ovvero far sognare. Come favola e senza troppe pretese va perciò letta quest’incredibile storia di un uomo nato vecchio e morto bambino tra le braccia della donna che ha sempre amato.
La magia che rende speciale il cinema qui è presente nelle scenografie accurate, nella sublime fotografia, negli eccezionali effetti speciali e in quello straordinario trucco che si prende beffa dello spettatore ringiovanendo ed invecchiando i due divi. E in Cate Blanchett, che salvo le scene (superflue?) sul letto di morte, irradia di luce propria ogni scena in cui compare. Miracolo del cinema. Di luce propria brilla anche l’intensa Taraji P. Henson, mentre di Brad Pitt si può dire che è stato generoso a concedere il proprio celebre volto ad uno staff di eccellenti truccatori e maghi di effetti speciali.
Resta un film ambiziosissimo, confezionato in modo impeccabile, ma appesantito da un ritmo lento e una sceneggiatura zoppicante.

VOTO: 6/7