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mercoledì 27 novembre 2013

Dietro i candelabri segna il ritorno di un ottimo Soderbergh e di uno straordinario Michael Douglas

DIETRO I CANDELABRI
(Behind the candelabra)
di Steven Soderbergh,
USA, 2013
con Matt Damon, Michael Douglas, Dan Aykord, Debbie Reynolds, Rob Lowe, Scott Bakula
DATA DI USCITA ITALIANA: 5 DICEMBRE
Se ti piace guarda anche: Larry Flint-Oltre lo scandalo, I segreti di Brokeback Mountain, I ragazzi stanno bene, Marie-Antoinette, J. Edgar
TRAMA
America, anni '70. Scott è un giovanissimo ragazzo che conosce per caso il celeberrimo pianista Liberace, adorato dal pubblico femminile e quindi costretto a ribadire continuamente la propria eterosessualità benché palesemente gay, che ne fa subito il proprio amante e lo installa in casa sua, riempendolo di attenzioni, regali e promesse.
Ma col passare del tempo il divo rivela i propri lati oscuri. 

RECENSIONE
Dopo il gelido e cerebrale Effetti collaterali Soderbergh cambia completamente materia e stile creando un film eccessivo, nel look e nel contenuto. Difficile fare altrimenti del resto se si vuole portare in scena la vita di Liberace, il più vistoso pianista di tutti i tempi, capace di rendere Kitsch ogni cosa che toccava: i propri spettacoli, le proprie ville e i propri amanti. E il film si concentra sui sei anni di relazione con Scott Thorson, quindi non si tratta di un biopic sul pianista, celebre in patria ma quasi sconosciuto da noi, bensì del racconto di una love story.
Per gli occhi è un tripudio di colori e soprattutto del color oro, il materiale e la sfumatura preferita del ricchissimo Liberace, ma sotto quel luccichio si nasconde una storia d'amore tormentata, impari, in cui solo uno dei due tiene le fila.
E questa volta, a differenza ad esempio di Magic Mike, il regista scava davvero nell'animo dei personaggi e rende tangibile il loro dolore grazie anche a due interpretazioni straordinarie: quelle di un ringiovanito, fragile Matt Damon e di un vizioso e disinibito Michael Douglas, che a quasi settanta anni offre probabilmente la migliore performance della sua fortunata carriera.
Da segnalare anche alcuni comprimari: il tiratissimo Rob Lowe nei panni di un medico chirurgo e l'indimenticata protagonista di Cantando sotto la pioggia Debbie Reynolds, nei panni della madre di Liberace. 
E così il film, nonostante un tema e un protagonista che potrebbero far storcere il naso a una fetta di pubblico, diventa un racconto universale emozionante che analizza in modo non banale una lunga serie di argomenti all'interno dei quali ognuno potrà trovarvi un motivo d'interesse. Si parla di ricchezza,  fama,  narcisismo, apparire, spettacolo, amore, vizio,  fede, fiducia e lo sguardo di Soderbergh è ludicissimo, privo di pregiudizi e di provocazioni. Dopo un decennio bulimico passato a dirigere tanti film di qualità altalenante, il cinquantenne regista sembrerebbe aver ritrovato il suo talento proprio nel momento di abbandonare le scene, o per lo meno questo è quanto ha annunciato.
VOTO: 8

martedì 26 novembre 2013

Polanski torna a sorprendere

VENERE IN PELLICCIA
(La Venus à la fourrure)
di Roman Polanski,
Francia/Polonia, 2013
con Emmanuelle Seigner, Mathieu Amalric
se ti piace guarda anche: Carnage,  Nella casa.
TRAMA
Vanda si presenta a un'audizione e sembra essere il contrario di ciò che l'autore Tomas sta cercando per la propria protagonista: volgare, casinista, stupida.
L'uomo decide comunque di darle una possibilità e farle fare un provino: quando la donna inizia a recitare è l'inizio di un'esperienza sconvolgente..

RECENSIONE
Quanta vitalità ci può essere in un dimenticato romanzo dell'Ottocento, in un film girato con due attori in un unico set e soprattutto quanta vitalità c'è nell'ottantenne Roman Polanski, che dopo Oscar e colossal torna alle origini girando un piccolo film low budget, privo di tutto tranne che di tre cose essenziali al cinema: lo sguardo, le interpretazioni e la vita.
Questo suo ultimo film, anch'esso un adattamento di un'opera teatrale (di David Ives), è un divertissement intellettuale raffinatissimo, più divertente e pungente di Carnage, benché di tematiche prettamente artistiche.
Si parla del rapporto tra registi e attori, tra registi e opera, tra opera e pubblico.
Si parla anche di ruoli, quelli dell'autore e dell'attore: fino a che punto l'attore può intervenire nel processo creativo, quale tra le due figure è quella dominante? 
Il film esplicita la suddivisione dei ruoli rifacendosi al sadomasochismo, termine che, come imparerete grazie a questo film, proviene proprio dal nome dell'autore di Venere in pellicciaLeopold Von Sacher-Mazoch.
E il rapporto tra regista e attrice diventa letteralmente sadomasochistico.
L'esplosiva finta svampita aspirante attricetta mette in crisi l'autore demiurgo, prima dimostrandosi un'attrice straordinaria, poi scavando nell'opera e nella psiche del regista per dimostrargli e rivelargli quello che nemmeno lui osa ammettere.
Venere in pelliccia è quindi una magnifica riflessione sulla creazione artistica e la sua messa in scena, ricca di riferimenti gustosi (la protagonista chiede se la pièce è ispirata alla canzone di canzone di Lou Reed e i Velvet Underground Venus in furs, le scenografie sono quelle di un musical ispirato a Ombre rosse e la suoneria che interrompe a più riprese l'audizione è quella la Cavalcata delle valchirie che ci riporta ad Apocalyspe Now) con un finale grottesco che rimanda all'iniziale accenno a Le Baccanti di Euripide.
Bravo dunque Polanski, che con pochi mezzi realizza un film semplicissimo e allo stesso tempo articolatissimo grazie ai dialoghi scoppiettanti di due attori straordinari, senza dimenticarsi delle ottime luci di Pawel Edelmen.
Nonostante la location unica e due attori che non fanno altro che parlare, il film riesce nell'impresa di non risultare verboso o statico, ma al contrario, ci trasporta e trascina sul palco per farci partecipare assieme ai due attori a quest'audizione che si trasforma in un gioco al massacro in cui si mettono alla berlina molti concetti.
Anche Carnage era un gioco al massacro in cui si crocifiggeva la borghesia, qui il bersaglio è invece la cultura fallocentrica e dopo aver visto il film capirete che il termine è più che mai appropriato.
E ancora una volta il cinema di Polanski fa tornare in mente Buñuel, non più quello "solo" antiborghese, ma quello di Bella di giorno, in cui l'annoiata e repressa borghese Sévérine si prostituisce senza riuscire però a trasformare in realtà i suoi sogni sadomasochistici.
Nel romanzo ottocentesco di Von Sacher Mazoch messo in scena dai due protagonisti il protagonista si chiama Severin e così, dopo Giovane e bella, è la seconda volta, nell'arco di una settimana, che il celebre film di Buñuel mi ritorna in mente, tra l'altro dopo averlo nominato in occasione dei 70 anni di Catherine Deneuve, che guardacaso fu protagonista del primo successo internazionale di Polanski, Repulsion. Insomma tutto torna.
Per concludere, applausi ai due protagonisti, Mathieu Amalric, alter ego del regista, di cui ricorda le sembianze fisiche, e Emmanuelle Seigner, moglie e musa del regista che gli si concede completamente con un'interpretazione memorabile.
VOTO: 8+

sabato 23 novembre 2013

Una commedia che omaggia Woody Allen senza raggiungerne lo spirito

PARIS-MANHATTAN
di Sophie Lellouche
con Alice Taglioni, Patrick Bruel, Marine Delterme, Michel Aumont
Francia, 2012
Se ti piace guarda anche:  20 anni di meno, Midnight in Paris
TRAMA
Alice è una bella farmacista single che tutti i parenti vorrebbero vedere accasata. Ma per lei, fissata col cinema di Woody Allen, sembra non esserci principe azzurro.

RECENSIONE

Innamorata del cinema di Woody Allen la regista francese Sophie Lellouche  rende omaggio al maestro newyorchese (che compare in un cammeo abbastanza gustoso) con questa commedia graziosa ma esile, soprattutto tenendo conto dell'alto livello dell'oggetto del tributo. 
La protagonista parla col poster di Woody Allen che puntualmente le risponde con battute dei suoi film e ai pazienti ipocondriaci che frequentano la sua farmacia presta Dvd del regista al posto di medicine.
Idee simpatiche, ma il film non è capace di andare molto oltre la classica commedia sentimentale, anche se di cinema francese si tratta e dunque il risultato finale è comunque superiore alla media delle commedie italiane o americane. Un film che consiglio dunque 
Bravi gli attori tra cui la bellissima protagonista Alice Taglioni e Patrick Bruel, già visto nel divertentissimo Cena tra amici.
voto: 6


giovedì 21 novembre 2013

Giovane e bella, un'altra conferma del talento di Ozon

GIOVANE E BELLA
(JEUNE ET JOLIE)
di François Ozon
Francia, 2013
con Marine Vacht, Géraldine Pailhas, Fantin Ravat, Frédéric Pierrot, Charlotte Rampling
Se ti piace guarda anche: Nella casa, Il tempo che resta, Bella di giorno

RECENSIONE
C'è chi l'amore lo fa per noia
chi se lo sceglie per professione
bocca di rosa né l'uno né l'altro
lei lo faceva per passione.

Isabelle non lo fa per noia, né per professione e nemmeno per passione. Isabelle è una studentessa diciassettenne che nel tempo libero, di tanto in tanto, si prostituisce. Lo fa perché le piace "abbordare" i clienti su Internet dice lei, lo fa anche perché il sesso per lei è una delusione dopo una prima volta vissuta con distacco, deduciamo noi.
La storia di Isabelle si inserisce e si allontana dalle storie di baby squillo che in questi giorni riempono i giornali: lei non è costretta da nessuno e non lo fa per comprarsi vestiti, droga o ingressi in discoteca. Nasconde tutti i soldi nel suo armadio, senza spenderli mai.
Il film omette volontariamente molti particolari e a François Ozon piace sempre illustrare situazioni estreme e anche per questo i suoi film affascinano.
Dopo l'ottimo Nella casa, uscito solo pochi mesi fa, il regista francese dirige un altro film molto interessante, questa volta optando per una sceneggiatura originale di suo pugno e riesce ad andare oltre l'aspetto pruriginoso per costruire una storia in grado di raccontare uno spaccato di vita adolescenziale e familiare. 
Gran parte del merito va anche agli attori, tutti in parte, anche se a spiccare è la bellissima protagonista, l'ex modella Marine Vacht, è semplicemente perfetta e credibile sia come candida e innocente adolescente, sia come provocante ammaliatrice di uomini.
Ozon divide il suo film in quattro parti che corrispondono a quattro stagioni rappresentte ognuna da una canzone di Françoise Hardy, cantante particolarmente amata dal regista e dal cinema d'essai recente: L'amour d'un garçon, A quoi ça sert, Première rencontre e Je suis moi
Da segnalare inoltre il curioso, intrigante e spiazzante finale con Charlotte Rampling, protagonista di tanti film del regista. 
A dieci anni dal debutto, François Ozon si conferma dunque come uno dei migliori registi francesi in circolazione e in patria i suoi film, che in Italia vengono relegati in piccoli cinema d'essai, godono sempre di maggior successo di pubblico tanto da conquistare puntualmente i box office.
VOTO: 7,5

sabato 16 novembre 2013

Hunger Games: fino a dove oseranno i reality show

HUNGER GAMES
di Gary Ross
USA,
2012
con Jennifer Lawrence, Josh Hutcherson, Liam Hemsworth, Woody Harrelson, Elizabeth Banks, Lenny Kravitz, Donald Sutherland, Wes Bentley, Stanley Tucci
Hunger Games (2012) Poster
Se ti piace guarda anche: Harry Potter, V per vendetta, The Host, Hanna
TRAMA
La ricca città di Capitol Cit è circondata da tredici distretti poverissimi dai quali gli abitanti non possono muoversi.
Ogni anno, come monito e punizione per essersi ribellati nel passato, in ogni distretto vengono scelti un ragazzo e una ragazza di età compresa tra i dodici e i diciotto anni per partecipare agli Hunger Games, un evento nel quale i partecipanti, detti tributi, devono combattere tra di loro in un luogo prestabilito detto arena, controllata da un gruppo di Strateghi, fino a che uno solo dei partecipanti rimane vivo. Il tutto è sotto gli occhi delle telecamere, in mondovisione.

RECENSIONE
L'adattamento dell'omonimo romanzo per ragazzi di Suzanne Collins (edito da Mondadori dal 2009) si differenzia da altri trasposizioni fantasy per adolescenti recenti (Twilight, Beautiful creatures, The Host) per la qualità tecnica e attoriale.
Il film di Gary Ross stupisce infatti immediatamente per l'aspetto visivo, caratterizzato da un montaggio serrato e da inquadrature che riflettono allo stato interiore della protagonista, interpretata da un'ottima Jennifer Lawrence in grado di dare spessore e credibilità a quest'eroina che grazie al romanzo aveva già raccolto milioni di fan.
Discreta la sceneggiatura che dopo un inizio un po' faticoso riesce a illustrare i passaggi del libro mantenendo sempre alta l'attenzione dello spettatore grazie a una tensione perennemente palpabile, trasformando questo fantasy apocalittico in un vero e proprio action che lascia col fiato sospeso per oltre due ore.
Un film insomma che lascia il segno e che è riuscito a unire il successo di pubblico a quello di critica, prendendo le distanze dagli altri film fantasy per teenager ispirati a romanzi di successo che negli ultimi anni, ad eccezione di Harry Potter, hanno invaso i nostri cinema.
A questo punto non resta che aspettare l'imminente sequel.
VOTO: 7,5

sabato 9 novembre 2013

Una piccola impresa meridionale

UNA PICCOLA IMPRESA MERIDIONALE
di Rocco Papaleo,
Italia, 2013
con Rocco Papaleo, Riccardo Scamarcio, Barbora Bobulova, Sarah Felberbaum, Claudia Potenza, Giovanni Esposito, Giampiero Schiano, Mela Esposito, Giuliana Lojodice
Genere: commedia
Se ti piace guarda anche: Basilicata coast to coast, Anni felici
TRAMA
Un prete appena spretato, per ritrovare se stesso e un po' di calma, si rifugia un vecchio faro disabitato di proprietà della sua famiglia, ma presto tutto i parenti verranno a trovarlo e a immischiarlo nei loro problemi.
RECENSIONE
Il cinema di Papaleo è fatto di scene allentate, sospese, trattenute. Il personaggio di Papaleo introduce il film in prima persona ma poi fa spazio agli altri personaggi che man mano prendono possesso della scena: sono tutti ben definiti, sopra le righe eppure verosimili, dotati di umanità. Peccato però che la storia, di per sé gradevole, perfino impegnata socialmente sul fronte dei diritti, è raccontata senza brio, con i tempi allentati. Con una fotografia calda e i tempi sospesi del sud l’ambiente pare impossessarsi di una storia che però, purtroppo non si impone mai sullo spettatore, perché non riesce a decollare, far ridere, commuovere o riflettere perché tutto risulta trattenuto. Solo le canzoni, composte per il film, hanno il tempo di imporsi sullo spettatore: un tempo sprecato ed esagerato, che andava riservato ad altri momenti del film.
Questo secondo lungometraggio del regista di Basilicata coast to coast non convince dunque del tutto eppure si lascia guardare quasi con tenerezza, perché Papaleo in quadruplice veste (regista, sceneggiatore, attore, autore dei testi delle canzoni e delle melodie) mette passione e impegno e propone un’alternativa alla commedia di matrice televisiva che invade i nostri cinema.

VOTO: 6-

martedì 5 novembre 2013

Un castello in Italia

UN CASTELLO IN ITALIA
(Un chateau en Italie)
Francia, Italia, 2013
di Valeria Bruni Tedeschi
con Valeria Bruni Tedeschi, Louis Garrel, Marisa Borini, Filippo Timi
ORA AL CINEMA
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TRAMA
Una donna quarantenne che ha rinunciato alla carriera d’attrice ("Mi sembrava che dovessi fare posto alla vita nella mia vita") si ritrova senza occupazione e senza un compagno, con un gran desiderio di maternità da colmare, un castello in Italia da vendere, un fratello morente e una madre che non sa come salvare la famiglia dalla bancarotta.
RECENSIONE
Valeria Bruni Tedeschi dirige per la terza volta se stessa in un film autobiografico. Non ci è dato sapere fino a che punto verità e finzione si intersecano, certo sappiamo che gli eventi narrati sono veri, così come lo sono gli attori che li interpretano: l’ottantrenne Marisa Borini è effettivamente madre di Valeria, Louis Garrel è il suo vero (ex) compagno, il castello di Castagneto è appartenuto alla famiglia Bruni Tedeschi.
Unica assente è Carla, ma una sorella première dame era evidentemente troppo per una vita già abbastanza movimentata.
Valeria Bruni Tedeschi riesce a mescolare questa straordinaria materia autobiografica in un film terapeutico in cui la regista si prende in giro, scherza sulle proprie debolezze e ripercorre alcune delle tappe più drammatiche della sua esistenza. Come già con i precedenti film da regista, e come recentemente ha fatto pure Valerie Donzelli, la finzione serve per ripercorrere e rielaborare la verità, ma Valeria Bruni Tedeschi non raggiunge né l’umorismo né la tragedia dei film della sua collega.
L’autrice, migliore come interprete che come regista e sceneggiatrice, offre così un film in cui si ha sempre l’impressione che le scene a cui assistiamo potevano essere più riuscite con qualcuno altro a scriverle e dirigerle.
Si rimane pertanto con l’amaro in bocca perché di materia a disposizione ce n’era fin troppa, così come tanti sono i bravi attori a disposizione: dai comprimari (la madre, Filippo Timi, Louis Garrel) alle guest star (Pippo Delbono, Silvio Orlando).

VOTO: 6+

sabato 2 novembre 2013

Con la vita di Adele il cinema francese fa cadere altri tabù

LA VITA DI ADELE
(La vie d'Adèle)
di Abdellatif Kechiche, 
Francia, 2013
con Adèle Exarchopoulos, Léa Seydoux, Salim Kechiouche, Jérémie Laheurte
Se ti piace guarda anche: L’esquive-La schivata, La belle personne, Amour, Entre les murs-La classe, Emmanuelle

TRAMA
Adele è una giovane liceale golosa di cibo e di sesso, che scoprirà quanto possa essere insapore una vita senza amore.
RECENSIONE
Chi conosce il cinema di Kechiche in Vita di Adele troverà una summa del suo cinema in quanto vi ritroviamo una componente letteraria e scolastica (La schivata), una alimentare (Cous cous) e una fisica (Venere nera).
Tutte queste componenti sembrano, equamente distribuite, scandiscono questa storia di formazione che segue da (molto) vicino la crescita di Adele, da liceale a insegnante.
Innanzitutto vi sono le numerose scene scolastiche che ci spiegano la bellezza e l’attualità di Marivaux (già al centro del suo secondo film) e di Sartre.
Poi vi sono le scene in compagnia, in cui l’imperativo è mangiare, e infine quelle d’intimità, in cui si esplorano i piaceri del corpo.
La macchina da presa pedina la propria protagonista senza tregua, senza pudore, per trasmetterne l’autenticità. Il cinema dell’autore tunisino è un cinema che stimola lo spettatore su tutti i fronti: mirando al realismo assoluto nello stile, l’occhio di chi guarda è quello di un testimone intimo, voyeur,  mentre per il contenuto procede a blocchi narrativi simbolici, che costringono l’osservatore a colmare gli spazi.
Adele scopre presto che le piacciono i piaceri: che siano del palato o della carne, poco importa, la ragazza ha capito come godersi la vita senza che ciò faccia di lei una libertina, una lolita, o una Emmanuelle.
La vie d’Adèle sdogana l’istinto e la passione sessuale così come l’anno scorso Amour sdoganava la morte. Entrambi i film mostrano senza compromessi la cruda realtà e trasformano gli spettatori in partecipi voyeur. Entrambi i film hanno vinto la Palma d'oro a Cannes con una menzione speciale per le interpretazioni.
Entrambi hanno destato grandissimo scandalo ed entusiasmo, eppure parlano di due temi reali e naturali come il sesso e la morte, che a ben pensarci raramente sono affrontati con onestà. Eros e Thanatos sono infatti ancora dei tabù che a quanto pare solo il cinema francese è in grado di far cadere per mostrare la vita per quello che è.

VOTO: 8-