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domenica 30 maggio 2010

Il Giardino dei Finzi-Contini

IL GIARDINO DEI FINZI-CONTINI
 di Vittorio de Sica, 1970

Dopo L’oro di Napoli De Sica si dedicò alla commedia e a quella che nel frattempo è diventata la sua attrice preferita, Sophia Loren. Fu un nuovo capitolo della sua carriera, completamente diverso da quello precedente, ma ugualmente apprezzato dalla critica che lo ricoprì di riconoscimenti e per la prima volta, gradito pure dal pubblico italiano. Ne parlerò la prossima settimana.

Ora facciamo dunque un salto temporale di vent’anni e approdiamo agli anni ’70, quando De Sica inaugurò un nuovo e ultimo capitolo della sua lunga carriera. Quello dedicato ai drammi, per lo più di origine letteraria.

RICONOSCIMENTI

Con il Giardino dei Finzi-Contini, nel 1970 De Sica apre un nuovo decennio all’insegna di un enorme successo coronato da buoni incassi e una pioggia di prestigiosi premi: miglior film ai David di Donatello e al Festival di Berlino, e l’Oscar per il miglior film straniero.

GENESI

Per l’occasione abbandonò Zavattini e alla sceneggiatura chiamò Ugo Pirro, Vittorio Bonicelli e lo stesso Giorgio Bassani, autore del bestseller omonimo del 1962.

Quest’ultimo non era per niente d’accordo con De Sica su alcuni (a mio avviso trascurabili) punti e dopo aver litigato col regista, pretese di essere cancellato dai titoli di testa.

Certamente è vero che trasporre un romanzo simile rappresentasse una sfida, poiché è tutto così evocativo, con azioni ridotte a brevi ricordi e sensazioni. Eppure, nonostante il tono decisamente patinato della pellicola, De Sica riesce a trasmettere la chiusura e l’immobilità di una classe sociale (quella della borghesia) e religiosa (quella degli ebrei) che non si rende conto di quanto grave è la situazione verso la quale sta andando. Solo la tragica deportazione aprirà loro gli occhi.

Le principali modifiche dal romanzo sono tre. Innanzitutto il film non utilizza la tecnica dell'Io narrante e il personaggio del padre (interpretato da Romolo Valli) ha una sorte del tutto diversa rispetto a quella narrata dallo scrittore nel suo libro. Nel romanzo, inoltre la storia narrata è un ricordo all’interno di una cornice più ampia.

Io che ho adorato il libro, ho amato anche il film ed è quello di De Sica che ho visto più volte. Forse perché tra tutti è quello più trasmesso nelle Tv. In ogni caso lo riguardo ogni volta volentieri. Sarà perché da piccolo amai molto il libro e ogni volta il film mi emoziona, lasciandomi con un grande magone. Quindi che importa se è calligrafico e formale! Alla faccia del Morandini, che lo definisce “nell'ultima parte di una ruffianeria sentimentale che sfiora il cinismo, franoso nella costruzione drammatica, imperdonabilmente approssimativo nello svolgimento temporale, inetto nella rievocazione dell'epoca, zeppo di incongruenze e svarioni. Persino la scelta e direzione degli attori sono al di sotto del decoro consueto a De Sica.”

TRAMA
Nella Ferrara degli anni 1938-43, Giorgio è un amico d'infanzia della ricca Micol Finzi-Contini (Dominique Sanda), e frequenta insieme ad altri amici ebrei il giardino della villa Finzi-Contini, dove Micol e suo fratello Alberto sono sempre ben disposti a accogliere i loro amici, visto che le prime leggi razziali hanno escluso gli ebrei dai circoli del tennis.Micol è molto più sveglia di lui, che non sembra carpire i segnali che la sensuale ragazza gli lancia. Quando si innamorerà, sarà troppo tardi perché la ritroverà tra le braccia del comunista  Giampiero (Fabio Testi).
Il fratello di Giorgio viene mandato a studiare Grenoble, mentre tutti quelli che rimangono devono confrontarsi con le persecuzioni razziali che diventano sempre più insostenibili. A questo clima insostenibile, si aggiungono due dolorosissimi lutti per Micol: quello per il giovane e debole fratello e quello per il suo ragazzo Giampiero, morto al fronte in Russia. Coloro che sono rimasti in vita, vengono arrestati nel 1943 e deportati. L’unico a salvarsi è il protagonista.
ATTORI
Lino Capolicchio  
Come protagonista venne scelto il ventisettenne Lino Capolicchio, che tra l’altro, negli anni universitari, aveva avuto come insegnante di storia del teatro lo stesso Bassani che poi si complimentò con lui per l’interpretazione. Negli anni ’70 parteciperà ad altre pellicole di successo e lo ritroveremo nelle prossime puntate.

Alessandro D’Alatri

Interpreta Giacomo da bambino, nei flashback. Già attore bambino prodigio a teatro per Visconti, dopo questo fortunatissimo ruolo abbandonerà del tutto l’attività di attore, per tornare al cinema da adulto, ma in qualità di regista. A lui si devono tanti film, assai diversi tra loro, come il religioso I Giardini dell’Eden, la commedia romantica Casomai, la commedia dai risvolti sociali La Febbre, il cinepanettone Commediasexy e Sul mare, dramma romantico passato poco tempo fa nelle sale.











Dominique Sanda

Sostituì Laura Antonelli che fu la prima scelta del regista. Attrice di un buon numero di importanti pellicole francesi e italiane, la ritroveremo di nuovo in scene bollenti a fianco di Fabio Testi in L’eredità Ferramonti di Bolognini che le procurerà la Palma d’oro a Cannes.
 Fabio Testi
È l’amante di Micol. Inizialmente famoso più per le sue love story con Ursula Andress e Charlotte Rampling, si affermò poi anche come attore valido in alcuni film di rilievo. Negli ultimi decenni si è perso tra fiction, soap e reality shows. Qui sotto è con Helmut Berger.

Helmut Berger

È il languido, deboluccio, fratello di Micol, ambiguamente attratto dal virile amante di lei. Incarna alla perfezione la figura dell’esteta sessualmente ambiguo, che contraddistinguerà poi tutta la sua carriera. De Sica evidentemente aveva già capito tutto. Qui Helmut è al suo primo ruolo importante, dopo una breve apparizione nel collettivo Streghe. Ancora sconosciuto, ma presto amante di Visconti, questo giovane e fascinoso tedesco diventerà un’icona degli anni ’70 e sarà protagonista di molti futuri post.


LINK

Nel romanzo di Giorgio Bassani, durante una conversazione con Giampiero, il protagonista racconta di un medico ferrarese chiamato Fadigati che recentemente,dopo essere stato accusato di essere omosessuale, si è suicidato per il peso dell'ingiusta accusa . Lo stesso Fadigati è protagonista di un altro romanzo di Bassani, Gli occhiali d'oro (1958), da cui nel 1987 Giuliano Montaldo ha tratto l’omonimo film in cui Philippe Noiret, Rupert Everett e Valeria Golino scorrazzano per il quartiere universitario di Bologna.

venerdì 28 maggio 2010

L'oro di Napoli

L'ORO DI NAPOLI di VITTORIO DE SICA, 3 dicembre 1954

Dopo il fiasco totale di Stazione Termini, che comunque avrebbe ricevuto un remake nel 1998 con Anne Archer e Andrea Occhipinti, De Sica tornò a lavorare in libertà, adattando la raccolta omonima di racconti di Giuseppe Marotta e adattati dal fido Cesare Zavattini.


Per questo film De Sica tornò a rivolgersi a volti noti, ma italiani, tornò a recitare in un suo film e tornò alla commedia, dopo avere passato l’ultimo decennio a girare cupissimi drammi.

Per tutte queste ragioni e altre ancora L’oro di Napoli è una tappa fondamentale nel percorso di De Sica. Innanzitutto il ritorno alla commedia non sarà un caso isolato, in quanto per i decenni successivi De Sica rimarrà fedele a questo genere. Pertanto L’oro di Napoli sancisce l’inizio di un nuovo percorso artistico e il passaggio dal Neorealismo alla commedia all’italiana (del resto è dello stesso anno il capostipite del genere, Pane, amore e fantasia di cui tra l’altro De Sica è coprotagonista).

Ma L’oro di Napoli è importante anche perché trasforma Sophia Loren in diva e dà inizio ad una lunghissima collaborazione tra i due.

Sophia viene scelta perché Vittorio aveva appena girato con lei Peccato che sia una canaglia, primo vero successo della Loren ed ennesimo successo per Blasetti e De Sica attore comico. Dopo i fiaschi commerciali come regista che l’avevano ridotto al lastrico (complice anche la dipendenza da gioco), De Sica aveva collezionati diversi successi commerciali come attore e disponeva dei mezzi per creare un film dal super cast. Ingaggiò così Totò, Eduardo de Filippo, Paolo Stoppa e la diva Silvana Mangano. Questi ultimi vinsero il Nastro d'argento e il film fu presentato con successo e in concorso, al 8° Festival di Cannes.
Nessun riconoscimento in America, dove fu distribuito più di due anni dopo e senza successo, forse perché “troppo napoletano".

TRAMA

Il guappo

Un guappo si è insediato a casa di un poveretto (Totò) da una decina d’anni. Finalmente un giorno viene colto da un malore.

Il funeralino
L'episodio più triste e breve del film, quello che di più rimanda al De Sica neorealista. Narra della morte di un bambino e del corteo funebre organizzato dalla madre. Inizialmente fu tagliato perché troppo triste e poco si addiceva al tono generale della pellicola.
Pizze a credito
Sofia (Sophia Loren) e suo marito Rosario fanno pizze da asporto. Ma un giorno il costosissimo anello di fidanzamento che Sophia ha sempre portato scompare.

I giocatori
Un nobile napoletano (Vittorio De Sica), soffocato dalla moglie ricca e bruttissima e ridotto in miseria dal vizio del gioco, cerca la sua rivincita in lunghe partite a carte con il figlio del portiere, un bambino di 8 anni che continua a batterlo a scopa. È un episodio molto autobiografico in cui Vittorio esorcizza la sua dipendenza dal gioco.
Teresa
Teresa (Silvana Mangano) è una prostituta che un anonimo corteggiatore (Erno Crisa) vuole sposare. Solo dopo la cerimonia scoprirà che lui non l’ha sposata per amore.
Il professore

Don Ersilio (Eduardo de Filippo) vende saggezza. Per pochi spiccioli dà consigli risolutivi a fidanzati gelosi, militari stanchi e parrocchiani in cerca di una frase ad effetto. A volte vende anche pernacchie…

giovedì 27 maggio 2010

Stazione Termini

STAZIONE TERMINI di VITTORIO DE SICA, 2 aprile 1953


Dopo l’ennesimo insuccesso in patria, De Sica infine cedette alle lusinghe di Hollywood e accettò i finanziamenti statunitensi e soprattutto l’imposizione di due attori che erano americani, professionisti e soprattutto divi.

Insomma quello che aveva rifiutato in Ladri di Biciclette cinque anni prima. Non più volti presi dalla strada e messi per la prima volta davanti a un obiettivo, bensì due famosi attori americani. E che attori. La protagonista sarebbe stata nientemeno che Jennifer Jones, moglie del produttore, nonché protagonista del lacrimoso Bernadette che nel 1948 aveva decretato il ritiro dalle sale di Ladri di biciclette, spingendo i due disperati coniugi De Sica a strappare il volto dell’attrice dalle locandine che tappezzavano tutta Roma. Se a rivelare questo simpatico anneddoto fu la figlia maggiore di De Sica, la moglie Maria Marcader nelle sue memorie ne dirà uno ancora più curioso a proposito di questo film.
L’altro divo scelto dal produttore fu Montgomery Clift, il sex symbol di Hollywood orami schiacciato dai gossipsdi presunta omosessualità. I pettegolezzi coinvolsero così anche lo stesso De Sica e furono alimentati dalla stessa moglie, la quale racconta che Vittorio, durante le riprese, passava tutta la notte nella stanza d’albergo di Clift e rincasava ad orari impensabili della mattina. La chiacchierata amicizia tra i due era nata diversi anni prima, quando Montgomery venne a trovare Vittorio sul set di Miracolo a Milano.
"Monty" si trovò molto bene in Italia, dove i paparazzi ancora erano poco invadenti e dove poteva trovare il genere di ragazzi che piacevano a lui, ovvero coi capelli scuri e molto giovani (è quanto dice Robert La Guardia in Monty, A Biography, Arbor House, New York, 1977).
Gli piaceva anche il clima instaurato sul set e la società in cui fu introdotto. Poco dopo le riprese conobbe infatti anche Visconti, il quale rimase folgorato da lui tanto da volerlo scritturare per Senso. Purtroppo Clift aveva già altri impegni a Hollywood e dovette ritornare negli States, mentre il ruolo in Senso passò a un’altra star hollywoodiana omosessuale, Farley Granger.

Ma bando alle ciance e parliamo del film in questione, che è meglio. O forse no?


Prima bisogna anche dire che parte della traduzione dei dialoghi di Cesare Zavattini fu affidata a nientemeno che Truman Capote e che il co-produttore del film era l’immenso magnate David O. Selznick, produttore dei capolavori di Hitchcock , di Via col vento e molti altri. Una figura così importante e ingombrante presto si fece sentire e De Sica dovette (anche se non lo ammise mai) presto pentirsi della mossa..
Infatti non mancarono i problemi durante la lavorazione: Selznick licenziò gradualmente tutti gli sceneggiatori: Carson McCullers, Paul Gallico, Alberto Moravia e lo stesso Capote.
Avrebbe voluto anche controllare interamente le riprese, ma rimase negli USA e così si mise a scrivere quotidianamente a De Sica lettere lunga una cinquantina di pagine che il regista non lesse.
Nei rimproveri che il produttore faceva a De Sica, Montgomery Clift si metteva sempre dalla parte del regista italiano, mostrando assai coraggio dato che Selznick era la persona più influente di Hollywood. Come se ciò non bastasse il matrimonio della Jones con Selznick era in crisi e la diva mostrava segni di depressione dovuti anche alla recentissima e prematura scomparsa del suo ex marito.

Ok, mi sono lasciato troppo andare al gossip. Parliamo del film.


Una donna in vacanza in Italia dalla sorella deve tornare a casa, a New York, ma rimanda in continuazione il treno della partenza per poter passare ancora qualche istante con un uomo che ha conosciuto il giorno prima e di cui si è innamorata disperatamente sorseggiando un caffè. Anche per lui fu amore a prima vista. Ma lei ha una famiglia e deve tornare, dunque bisogna accontentarsi di una notte d’amore in un vagone abbandonato. Peccato che la sicurezza li scopra e vengano denunciati per atti osceni e portati dal commissario (Gino Cervi). Ma grazie all’intenso sguardo della donna, tutto fila liscio e può finalmente partire. Tutto questo per 89 minuti, senza mai abbandonare la stazione di Termini, rispettando così l’unità di luogo, tempo e d’azione ma con poco rispetto per lo spettatore che deve subirsi per più di un'ora gli intensi primi piani che valorizzano gli sguardi ricchi di pathos dei due protagonisti.
A Selznick risultò talmente nioioso da tagliarlo di 15 minuti, uscendo sul mercato americano, un anno più tardi, con la durata di un mediometraggio, ovvero 64 minuti e col titolo di Indiscretion of an American Wife. Fu la prima volta che gli americani stroncarono un film del maestro italiano. Clift lo descrisse come un enorme fallimento, aggiungendo che lo odiava.
Il film ricevette comunque una nomination all’Oscar, ma questa volta per i costumi, firmati da un certo Christian Dior.
ATTORI
Maria Pia Casilio vinse Il David di Donatello come miglior attrice non protagonista per un ruolo che è praticammente  un cameo.

Jennifer Jones, pseudonimo di Phylis Lee Isley, nacque a Tulsa, il 2 marzo 1919 ed è morta a Malibu, il 17 dicembre 2009.

Nel 1930 sposò Robert Hudson Walker, che sarebbe diventato attore qualche anno più tardi. Anche Philylis divenne attrice, esordendo al cinema nel ’39 a fianco di John Wayne in Il confine della paura.
Col nome di Jennifer Jones e un contratto con la 20th Century Fox, ottenne il ruolo di protagonista in Bernadette che a soli venticinque anni la trasformò in una star e le fece vincere il premio Oscar.

Il produttore David O. Selznick divenne il suo amante e i due si sposarono nel ’49, appena ottenuto il divorzio da Walker. Negli anni cinquanta la Jones continuò a mietere successi in film drammatici - come L'amore è una cosa meravigliosa di Henry King, ma dopo la morte nel 1965 di Selznick, decise di abbandonare le scene. Sarebbe tornata sul set un'ultima volta per la partecipazione al film L'inferno di cristallo (The Towering Inferno, 1974). Nel 1976, morì suicida, a 22 anni la figlia avuta con Selznick e nello stesso periodo fu colpita da un cancro al seno, dal quale riuscì comunque a guarire. Condusse gli ultimi trenta anni in modo tranquillo, lontana dai riflettori. È morta all'età di novant'anni, l’anno scorso.



Montgmoery Clift



La vita di Montgomery Clift fu una delle più tormentate di Hollywood. Collezionista di grandi successi, vincitore di un Oscar e candidato 4 volte all’ambito premio, nella vita privata non trovò mai pace, a causa di un’omosessualità che doveva nascondere e che mal si addiceva all’immagine creata da Hollywood. Memorabile in film di enorme successo come L'ereditiera (1949) di William Wyler di cui ho già parlato qui, Io confesso (1952) di Alfred Hitchcock, e, a fianco dell’amica intima Elizabeth Taylor, Un posto al sole (1951) e Improvvisamente l'estate scorsa,(1959). Marilyn Monroe, altra sua cara amica nonché collega nel suo ultimo film, dichiarò che Montgomory "È la sola persona che conosco che sta peggio di me".
La vita di Monty fu sconvolta del tutto una sera del 1956, dopo una cena a casa della Taylor. Rincasando andrò a sbattere contro un palo della luce: gli dovettero ricucire la faccia con fili sottili di metallo: il labbro superiore cambiò di forma, il naso restò un abbozzo che si fotografava bene solo da sinistra e un gonfiore innaturale si formò intorno agli occhi.
Monty non si riprese mai più dall'incidente. Sia fisicamente che mentalmente e si abbandonò alla completa dipendenza da alcool e droghe. Eppure la sua carriera continuò e il suo viso apparve ancora bello nei film successivi. Nel 1961 ricevette la sua terza "nomination" all'Oscar, con il ruolo di omosessuale castrato dai nazisti, nel grande successo di critica Vincitori e vinti (Judgment at Nurember) di Stanley Kramer e  che annovera tra gli interpreti Judy Garland, Marlene Dietrich, Spencer Tracy e Burt Lancaster.

Nello stesso anno interpretò un film che ai tempi fu stroncato e in Italia non fu nemmeno mai distribuito, diventando però nei decenni successivi un vero e proprio cult: Gli spostati (The misfits) di John Houston. Eccolo dunque a fianco di Marilyn Monroe e Cary Grant sul set di questo film “maledetto”, ultimo sia per Grant che fu stroncatoda un infarto un paio di giorni dopo la fine delle riprese, sia per Marylin, morta nella sua camera di albergo prima di terminare il suo film successivo. Monty girò ancora due film prima di venir stroncato a sua volta da un infarto all’età di 45 anni.


martedì 25 maggio 2010

Certe cose avvengono perché non si sa la grammatica:

UMBERTO D., di Vittorio De Sica, Data d'uscita: 20 gennaio 1953

TRAMA
Il film inizia con un corteo non autorizzato di pensionati che innalzano cartelli che recitano «Aumentate le pensioni. Abbiamo lavorato tutta una vita». La polizia li fa sgomberare. Tra loro c’è Umberto Domenico Ferrari, che riesce a nascondersi. Va alla mensa dei poveri, vende il suo orologio e quando torna a casa, trova la sua camera in affitto occupata da una coppietta. La padrona ha ben pensato infatti di subaffittare la stanza durante le ore del giorno in cui lui normalmente è assente.
La donna lo minaccia di sfratto perchè è da mesi che non la paga. Lui le offre i soldi dell'orologio ma lei vuole la somma intera. 

L’unica persona con cui l’anziano ha confidenza è la servetta Maria, che gli confida di essere incinta, senza sapere chi sia il vero padre poiché entrmbi i suoi due innamorati negano la paternità.
Umberto, incapace di pagare l’affitto anche dopo aver venduto i suoi libri, si fa ricoverare in ospedale per avere vitto e alloggio. Ma non avrà fortuna, non compiacerà abbastanza le suore e quindi dopo una settimana sarà mandato via.
Maria è l'unica che viene a trovarlo e che lo aspetterà anche quando sarà "dimesso" dall'ospedale.  Lo informa che i suoi due fidanzati l’hanno lasciata.
Umberto la saluta e si mette a girovagare in compagnia del suo più fedele amico, il cagnolino Flaik, di cui pure si vuole sbarazzare. Ormai ha deciso, non gli resta che il suicidio, dato che non è capace nemmeno di mendicare.

Porta l'animale in un canile, ma non ha cuore di lasciarlo lì in mezzo a tanti cani aggressivi, così se ne va in un parco e lo offre ad una bambina, ma questa lo rifiuta. Decide quindi di portarlo con sè anche nel suo ultimo viaggio. Si posiziona sul binario ferroviario che passa  vicino al parco e aspetta che il treno lo investa.
Ma il cane intuisce la situazione e istintivamente gli sfugge di mano. Istintiva sarà anche la reazione di Umberto, che rincorre il cane, salvandosi dal treno.  Flaik però non vuole più saperne di un padrone che voleva ucciderlo e si nasconde. Bastano però pochi minuti e una pigna per farlo tornare dal padrone.


TEMI
Inserire uno sciopero, non autorizzato, in un film, non era cosa da poco, allora. Lo stesso vale per la scelta di mostrare un uomo che nonostante abbia consacrato la propria vita allo Stato nel rispettabilissimo mestiere di impiegato al Ministero al Lavoro rimane con una pensione che non gli garantisce la sopravvivenza.

Da apprezzare anche lo sguardo che rivolge al personaggio femminile, il primo di una certa consistenza, dopo tanti ritratti maschili d’ogni età. L’ignoranza della povera Maria è tale che non sa quale dei due sia il padre perché entrambi negano la paternità...
Ignoranza che del resto di cui è perfettamente consapevole, tant'è che è lei a pronunciare una delle batture più memorabili del film:

"Certe cose avvengono perché non si sa la grammatica: tutti ne approfittano degli ignoranti."

Come non affezionarsi a questi due disperati e non riflettere su quanto sia moderno il lucido pessimismo sociale e umano contenuto nel film?
Tra i film di De Sica che ho visto, questo è il mio preferito.



CURIOSITA’


Il film è un tributo al padre, Umberto De Sica.

Umberto D costò circa 200 milioni di lire e ne incasso poco più della metà.

Giulio Andreotti, all'epoca Sottosegretario allo spettacolo, scrisse su Libertàs «Se è vero che il male si può combattere anche mettendone a nudo gli aspetti più crudi, è pur vero che se nel mondo si sarà indotti - erroneamente - a ritenere che quella di Umberto D. è l'Italia della metà del XX secolo, De Sica avrà reso un pessimo servizio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita legislazione sociale».

E ancora una volta, De Sica fallirà al botteghino e avrà invece successo all'estero e una nuova nomination agli Academy Awards, che però questa volta non vincerà.
Nel 2008 il film ha visto un remake interpretato da Jean Paul Belmondo intitolato Un homme et son chien.

ATTORI

Carlo Battisti, il protagonista, era professore di glottologia all'Università di Firenze e autore, insieme ad altri, del Dizionario Etimologico Italiano pubblicato negli anni 1950-1957. Si racconta che il professore si presentò al provino indossando due cravatte da quanto era emozionato. Questa rimase la sua unica incursione nel cinema.

Maria Pia Casilio anche lei non era un'attrice e del resto De Sica non voleva attori nei suoi film neorealisti.
Una volta che il regista la scelse, la ragazza impone personalmente il proprio compenso: 2 milioni di lire, cifra altissima per il periodo e del tutto improponibile per una debuttante non professionista.
Ma De Sica la voleva assolutamente e acconsentì giudicandola una presenza cinematografica interessante. Il suo fiuto non sbagliava e il loro sodalizio durerà una ventina d'anni.
Dopo questo folgorante esordio, quello che poteva sembrare l'inizio di una carriera di una diva capricciosa e interessata ai compensi si trasformò in realtà in una delle carriere di caratterista più invidiabili del cinema italiano, affiancando capolavori a enormi successi commerciali.
L’anno seguente arrivò perfino il massimo riconoscimento italiano: il David di Donatello. Il film per cui vinse era il successivo di De Sica, il quale la richiamerà ancora per Il giudizio universale (1961) e Lo chiameremo Andrea (1972).
Sarà chiamata poi dai maggiori registi della storia del cinema : Visconti (Vaghe stelle dell'orsa), Fellini (Lo sceicco bianco), Antonioni ( Identificazione di una donna). Ma anche tante commedie di grande successo come Un americano a Roma (1954) di Steno, Pane, amore e fantasia (1953) di Luigi Comencini, Totò, Peppino e i fuorilegge (1956). Nei primi anni Settanta, dopo il matrimonio col noto doppiatore Rinaldi, l'attrice abbandonò lo schermo, per ritornarvi nel 1997 con un piccolo ruolo in Tre uomini e una gamba, di Aldo, Giovanni e Giacomo. L’ultima sua apparizione la si deve a  Cristina Comencini, che l'ha chiamata per La bestia nel cuore,il più recente film italiano candidato all’Oscar. Come del resto lo era stato il suo film d'esordio.

lunedì 24 maggio 2010

W Elio Germano

W Elio Germano.
In questi giorni tutti hanno festeggiato l'Inter, ma siccome ognuno ha le proprie passioni e la mia è il cinema, mi sembra giusto celebrare una vittoria così prestigiosa per il cinema italiano.
Interrompo momentaneamente dunque lo spazio dedicato a De Sica per segnalare che Elio Germano ha vinto la Palma D'Oro come miglior attore all'ultimo Festival di Cannes, ex aequo con Javier Bardem.
Non accadeva da 23 anni, ovvero da quando il leggendario Marcello Mastroianni vinse con Oci ciorne di Mikhalkov. E non si tratta di un premio da poco, anzi, dopo l'Oscar è forse quello più prestigioso.
Eppure in Tv nessuno ne ha parlato.
Perché?

Per settimane i Tg hanno dedicato l'ultimo servizio, quello cultura & spettacoli ( la cultura sempre all'ultimo posto naturalmente e spesso e volentieri mischiata al gossip) al Festival cinematografico più prestigioso al mondo. Per giorni e giorni ci hanno fatto vedere Naomi Campbell alla Croisette...
Ora che un attore italiano ha conseguito l'ambita statuetta, tutti tacciono.
I Tg dell'ora di pranzo di oggi, dal Tg1 al Tg5, hanno semplicemente ignorato la notizia.
Alla vittoria dell'Inter, invece, ieri erano dedicati i primi tre servizi (più o meno) in entrambe le reti.

Perchè tutto questo?
Innanzitutto perchè in Italia contano solo sport e belle ragazze.
In secondo luogo, perchè il bravo Elio, quando ha ritirato il premio, ha detto:

"E siccome i nostri governanti in Italia rimproverano al cinema di parlare male del nostro Paese, dedico questo premio all'Italia e agli italiani che fanno di tutto per rendere l'Italia un Paese migliore, nonostante la loro classe dirigente".


Non solo Mollica, nella diretta da Rai1 ha preferito scollegarsi nel momento dell'assegnazione del premio, ma perfino tutti i tg hanno preferito censurare il discorso e la stessa notizia.

Del resto come stupirsi di tutto ciò, dato che le immagini dell'ultimo Festival che i Tg ci hanno proposto di più sono state quelle di Eva Herzigova e Naomi Campbell sul red carpet. Non due attrici, non due registe. Semplicemente due belle donne. L'unica cosa che conta in Italia del resto. Dopo lo sport, quasi dimenticavo.
(Si salvi chi può dal bombardamento mediatico che nelle prossime settimane avremo in concomitanza dei mondiali, che si trasformeranno in tutto tranne che in sano patriottismo).

Dicevo di aver interroto la monografia dedicata a De Sica. Forse non è così.
Il precedente post parlava di Miracolo a Milano, vincitore a Cannes e ignorato in patria. Il prossimo parlerà di Umberto D, per il quale De Sica venne rimproverato per parlare male del nostro Paese.
I film di De Sica venivano premiati a Cannes e agli Oscar e ignorati e attaccati in Italia. Ripeto e ribadisco, in 60 anni non è cambiato nulla in Italia. Forse tra 60 anni potremo guardare con più lucidità e oggettività a questa triste stagione della cultura italiana. E forse tra 60 anni le Tv ricorderanno questo evento di cui non avevano parlato a suo tempo.

giovedì 20 maggio 2010

Il popolo non ha pane? Diamogli delle scope volanti!

VITTORIO DE SICA, Miracolo a Milano, 8 febbraio 1951

TRAMA

Un’anziana donna che vive da sola trova un bambino sotto a un cavolo. Decide di tenerlo per sé, crescendolo con amore nei restanti anni di vita che le rimangono.

Alla sua morte il bambino, chiamato Totò, viene mandato in orfanotrofio. Quando è considerato abbastanza grande da poter lavorare, viene mandato via dall’istituto.
Inizia così per lui una serie di avventure tra i più poveri abitanti della città: i senzatetto.

Sempre col sorriso, affronta la vita con un fortissimo ottimismo ed entusiasmo che sembra essergli stato trasmesso dall’anziana madre adottiva. Quest’ultima tornerà, sotto veste di angelo per regalargli una colomba che possa aiutarlo nei momenti di difficoltà. Totò scopre che il volatile esaudisce ogni desiderio. Così inizia un pellegrinaggio di tutti i poveracci della baraccopoli: c’è chi gli chiede del pane, chi delle pellicce, chi un armadio. Sono tutti accontentati.

Perfino il ricco proprietario terriero che vuole sfrattarli dalle baracche non può fare nulla di fronte alla magia dell’uccello che inibisce anche la polizia.

Ma la colomba viene rapita da altri angeli monelli e così centinaia di mendicanti si ritrovano senza un posto in cui dormire. La colomba ritorna e li aiuta nel loro ultimo desiderio: fuggire da quel mondo crudele in cui non c’è cibo né lavoro e volare via in sella a delle scope. Sorvolano il Duomo e si dirigono lontano, verso il cielo. Vogliono il Paradiso o semplicemente cercheranno un luogo che li accolga?
TEMI

De Sica sposa il Neorealismo alla favola e dovette subire molti attacchi dalla stampa che non apprezzò questo strano connubio. Il popolo non ha pane? Diamogli delle scope volanti, potrebbe essere il riassunto del film.

Ma l’intento di De Sica e Zavattini, dal cui libro Totò il buono è tratto il film, non era di dare una soluzione a problemi sociali irrisolvibili. Risolvere il gravoso problema della povertà, che aumentava spaventosamente dopo il disastro bellico non era compito di un regista.
Oppure si può dire che l’unica soluzione razionale fosse irrazionale: il sogno, la favola. Così dietro l’esagerato ottimismo del protagonista Totò si nasconde in realtà un pessimismo acutissimo. La classe operaia va in Paradiso, anzi la classe povera, dei senzatetto: per loro non c’è posto in questa terra. O per lo meno in Italia. Quella che mostra De Sica è una Milano povera fatta di baraccopoli abusive sorte su territori di ricchi magnati del tutto insensibili. Il ricco possidente che li ospita ha un dipendente il cui unico mestiere è quello di stare letteralmente appeso fuori dalla finestra per decifrare il vento. Per questo inutile impiegato ha i soldi, ma ovviamente non ne ha per aiutare i poveracci. Di fronte a uomini così, che si può fare? Nulla.

La denuncia sociale rimane quindi feroce, come nei precedenti film neorealistici di De Sica. Qui però il regista fa un passo in più, mischiando la cruda realtà a toni fantastici.
Che siamo dalle parti di una favola ci è ben chiaro dalla prima scena in cui vediamo il bambino sotto un cavolo.
Come non parlare poi degli effetti speciali del film? Sono passati quasi settanta anni, quindi i computer non c’erano.
La scena del fantasma della nonna che scende dal cielo è perfino riuscita, ma la massa che sorvola Milano reggendosi a una scopa suscita tanta tenerezza.
Non per questo è però meno affascinante o suggestiva. Tant’è che Steven Spielberg si ispirò proprio a questa scena per la sua celebre biciclettata in E.T.

ACCOGLIENZA CRITICA E PUBBLICO
Girato a Milano nel 1951, quando uscì nelle sale venne accolto in modo negativo da progressisti e conservatori. I primi lo giudicarono troppo evangelico e consolatorio; gli altri invece lo giudicarono un film eversivo e d’ispirazione comunista. Insomma due accuse opposte. In Unione Sovietica ne fu proibita la diffusione, ma al 4° Festival di Cannes venne premiato con il Grand Prix du Festival per il miglior film.

Nel novembre 2007, al Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia è stata messa in scena, in prima assoluta, l'opera lirica "Miracolo a Milano", commissionata per le celebrazioni dei 150 anni del teatro.

GLI ATTORI
Francesco Golisano, allora ventunenne, è l’eccellente protagonista in grado di infondere ingenuità, entusiasmo e verità al suo personaggio. Aveva già partecipato ad una paio di film e apparve in qualche film anche dopo Miracolo a Milano, ma senza successo. Morì a 29 anni, ma non ho trovato da nessuna parte qualche informazione in più.

Per chi volesse vedere le ultime scene:



mercoledì 19 maggio 2010

Ladri di biciclette

VITTORIO DE SICA,
Ladri di biciclette,
24 novembre 1948


In una Roma deturpata dalla guerra e dalla povertà, Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), disoccupato, trova lavoro come attacchino comunale. Per lavorare, però, deve avere una bicicletta e la sua è impegnata, per cui la moglie, deve impegnare le lenzuola per riscattarla. Ma proprio durante il primo giorno di lavoro la bicicletta gli viene rubata mentre incolla un manifesto cinematografico. Antonio denuncia il furto alla polizia, ma comprende che le forze dell'ordine non potranno aiutarlo nel ritrovare la bicicletta. Coinvolge nella ricerca un suo compagno di partito che mobiliterà i suoi colleghi netturbini che all'alba, insieme a lui ed a suo figlio Bruno, che pure così piccolo lavora ad un distributore di benzina, andranno a cercarla in giro per Roma.
Disperato, alla fine si rivolgerà ad una santona, la stessa per cui aveva rimproverato la moglie di ingenuità ( non aveva i soldi per le lenzuola, ma ne aveva per la chiaroveggenza). Neppure la santona lo aiuterà.
Nessuno li aiuterà e dopo aver vagato tutta la giornata, padre e figlio si incamminano verso casa, quando Antonio vede una bicicletta incustodita e decide di fare quello che è stato fatto a lui.
Ancora una volta sarà peròsfortunato: i passanti gridano al ladro e la folla lo aggredisce. Il proprietario, di fronte al pianto disperato del piccolo Bruno, decide di non denunciarlo.
I due ritornano a casa tenendosi per mano.

GENESI

Dopo il fiasco commerciale di Sciuscià (nonostante il Nastro d’argento e il premio Oscar) e dopo le difficoltà trovate nel trovare un produttore italiano, De Sica autofinanziò il suo film successivo, basato sul romanzo di Luigi Bartolini pubblicato nel ’45 e adattato al grande schermo con Cesare Zavattini, Suso Cecchi D'Amico e molti altri.

I produttori americani si offrirono per finanziarlo imponendo Cary Grant come protagonista, ma lui, cocciuto e patriota, preferì finire in bancarotta. Sua figlia maggiore, in un’intervista rilasciata in occasione dell’uscita della versione dvd restaurata, ha affermato che in quel periodo in casa c’erano soldi sufficienti solo per mangiare e la loro madre era costretta a vendere mobili e gioielli per comprare il grana che Zavattini voleva sulla sua pastasciutta. Una volta che il film uscì, come il precedente andò malissimo. Quando gli attacchini coprirono le locandine con i nuovi manifesti per un film con Jennifer Jones (Bernadette, probabilmente), De Sica e Maria andavano in giro, di notte, a strappare le locandine del film con Jennifer Jones.

REAZIONE DEL PUBBLICO E DELLA CRITICA

Il pubblico del cinema Metropolitan di Roma voleva indietro i soldi del biglietto. Lo Stato e la Chiesa rimproveravano De Sica di aver mostrato un’Italia povera, senza speranze e senza Dio.
A Parigi ricevette lunghi applausi da tremila personaggi della cultura internazionale. Il regista René Clair e il celeberrimo critico André Bazin furono entusiasti, dando il via a quel successo mondiale che ebbe in seguito il film. Negli USA, dove fu distribuito un anno dopo, fu infatti un successo, permettendo al regista di recuperare i fondi spesi per i due film.

ATTORI

Lamberto Maggiorani era un operaio scelto da De Sica perché più credibile di qualsiasi attore. Dopo il film tornò a lavorare come operaio, ma fu licenziato. Tornò così al cinema, apparendo in tanti film importanti (Achtung! Banditi!, Mamma Roma, Anna, Umberto D, Don Camillo e l’onorevole Peppone, Totò, Peppino e i… fuorilegge).

L'attrice che interpretò il personaggio di Maria, la moglie del protagonista, fu Lianella Carell, una giovane giornalista e scrittrice romana, che dopo un incontro con De Sica per un'intervista, fu sottoposta ad un provino, dopo il quale la giornalista entrò, in questo modo inaspettato, nel mondo del cinema. In seguito la Carell apparirà anche in L’oro di Napoli.

Ma il volto più memorabile del film è sicuramente quello del piccolo Bruno, ovvero Enzo Staiola (o Stajola), un bimbo di 8 anni della Garbatella che De Sica scelse fra i tanti perchè colpito dalla sua camminata.

Quella sua tenerissima facciotta è diventata simbolo del Neorealismo e del cinema italiano di quegli anni, commovendo milioni di spettatori.

Anche lui ha proseguito la carriera di attore, girando numerosi film, alquanto dimenticabili eccezion fatta per Vulcano con Anna Magnani e La Contessa Scalza con Ava Gardner e Humphrey Bogart. Dopo aver alternato gli studi all’attività di attore, ha preferito scegliere una carriera del tutto diversa, diventando insegnante di matematica.
Nel 1977 è tornato sugli schermi in una commedia sexy dal titolo La ragazza dal pigiama giallo.

martedì 18 maggio 2010

Sciuscià

SCIUSCIA’ di VITTORIO DE SICA, data di uscita: 27 aprile 1946


TRAMA
I protagonisti sono due sciuscià: lucidano le scarpe dei signori, anzi dei soldati americani: sono loro che li chiamano shoes-shine, nome inglese storpiato. Per comprarsi un cavallo, i due ragazzini non disdegnano qualche affare un po’ losco come la vendita di merci contrabbandate o rubate, finché non vengono arrestati e sistemati in celle diverse dello stesso carcere minorile in cui ne avvengono di cotte e di crude e in cui c’è un carcerato che è il sosia di Woody Allen!

Apparentemente il più piccolo si dimentica in fretta e si lascia presto sedurre dai suoi nuovi compagni, tutti più grandi. Non appena i due si rivedono però, il loro legame si manifesta con tutta la sua forza, che diventa distruttiva nel tragico epilogo.

TEMI
L’amicizia tra i due ragazzini è uno dei temi principali. Pasquale, orfano, vede nel piccolo Giuseppe, un amico, un fratello, praticamente l’unica persona di cui si può fidare. Quando i carcerieri gli fanno credere che Giuseppe è torturato nella stanza a fianco, Pasquale cederà e confesserà tutto.

La passione (il termine giusto è proprio questo) di Pasquale per Giuseppe appare molto morbosa, ma ciò che colpì di più le platee internazionali fu il mondo dei carceri minorili mostrato da De Sica. La solidarietà e le rivalità che vi nascono e soprattutto la miseria che portava i bambini a vivere d’espedienti. I bambini sono orfani (di guerra?) o figli di sfollati. Questa è l’eredità lasciata dalla guerra. Quello che vuole suggerire il film è che i carceri minorili offrono ben poche occasioni di recupero e spesso, invece, guastano definitivamente i piccoli criminali.

ATTORI

I due protagonisti bambini scelti da De Sica non avevano mai avuto esperienze col cinema.

Franco Interlenghi che interpreta Pasquale, tornerà a lavorare con De Sica, ma in qualità di collega attore, in Addio alle armi di Vidor e Houston e Il Generale della Rovere di Rossellini, Leone d’Oro a Venezia. La sua carriera vanterà tantissimi altri titoli importanti, tra cui, un altro ruolo indimenticabile sarà quello di Moraldo ne I Vitelloni. Ancora attivissimo al cinema e in tv, sarà presto in sala con La bella società.

Rinaldo Smordoni, che interpreta il piccolo Giuseppe, ritroverà Interlenghi nell’enorme successo Fabiola di Blasetti, che sarà la sua ultima apparizione.

PUBBLICO & CRITICA

Costò meno di un milione di lire e fu venduto per 400.000 ad un distributore americano che ci guadagnò un milione di dollari. In USA, uscito nell'agosto del '47, vinse perfino l’Oscar, mentre in Italia fu ignorato dal pubblico e si dovette accontentare di poche critiche buone e un Nastro d’argento.
Nel 2005 il film è uscito nei cinema portoghesi nella versione restaurata.

BATTUTA DA RICORDARE:

Pasquale e Giuseppe: A che servono quelle carte?


Cartomante: Si legge l'avvenire.

Pasquale e Giuseppe: Allora a noi ci potrebbe dire che ci succederà domani?

Cartomante: Che c'entra, voi siete due ragazzini.

Pasquale e Giuseppe: Perché, i ragazzini non ce l'hanno un avvenire?
 
Questa battuta in fondo riassume tutto il film, perchè nell'Italia del dopoguerra, segnata dalla povertà e dalla disoccupazione, i bambini non avevano un futuro e non potevano aspettarsi altro che una vita di criminalità ed espedienti.

domenica 16 maggio 2010

Vittorio De Sica

Vittorio de Sica, ovvero il più celebre regista italiano, a pari passo con Fellini e come lui vincitore di 4 premi Oscar. Ma a differenza del regista riminese e di altri registi italiani famosi, De Sica fu anche un popolarissimo e apprezzatissimo attore, in Italia come all’estero, tanto da ricevere una nomination all’Oscar come attore non protagonista nel 1958.






Biografia

Vittorio Domenico Stanislao Gaetano Sorano De Sica, questo il suo nome per intero, nacque nel 1901 nell’attuale Lazio,visse a Napoli e poi a Firenze, dove da ragazzino iniziò a esibirsi come attore dilettante in piccoli spettacoli organizzati per i militari ricoverati negli ospedali.
Nel 1917 la famiglia si trasferì a Roma e il giovanissimo Vittorio debuttò come attore nel film muto Il processo di Clemenceau di Alfredo De Antoni.
Seguì una carriera teatrale di grandissimo successo, alternata a quella cinematografica. Fu a teatro che conobbe l’attrice Giuditta Rissone (il cui ruolo più celebre è quello della madre di Guido Anselmi in 8 1/2) che sposò nel 1937 e dalla quale ebbe la figlia Emi. Nel ’39 debuttò come regista a fianco di Giuseppe D’Amato (in realtà solo produttore) in Rose scarlatte.

La carriera di regista viene alternata con quella di attore ed è sul set di Un garibaldino al convento, nel 1942, che s’innamora della collega Maria Mercader, attrice spagnola e sorella di Ramon Mercader, l'agente segreto assassino di Trotsky che in Unione Sovietica venne insignito con la medaglia d’eroe.
Vittorio andò a vivere con la Marcader, ottenendo il divorzio solo dodici anni più tardi in Messico, dopo la nascita dei figli Manuel (musicista autore della maggior parte dei film dei Vanzina) e Christian. Lo stato italiano non volle riconoscere il divorzio e il successivo matrimonio in Messico. Solo dopo aver ottenuto la cittadinanza francese i due si poterono sposarsi finalmente nel 1968 in Francia.

Nella sua autobiografia, Maria Marcader ricorda:
“Passavamo 12 ore a letto, dalle 8 del mattino alle 8 doi sera. Non ero mai stanca, la mia voglia di fare all’amore non si esauriva mai.”

Vissero tra l'Italia e la Francia, dove morì  il 13 novembre 1974 a 73 anni in seguito ad un intervento chirurgico.

L’ATTORE

1939 Grandi magazzini di Camerini

1948 Cuore di Coletti (Nastro d’argento)

1953 I gioielli di madame de..., di Ophüls

         Pane, amore e fantasia, di Comencini

1956 Pane, amore e... di Risi (David di Donatello)

1957 Addio alle armi di Vidor e  Houston

IL REGISTA

Con I bambini ci guardano, nel 1943, segna una delle prime tappe del cinema neorealista e l’inizio del suo sodalizio con lo sceneggiatore Cesare Zavattini.

Neorealismo
Non era possibile girare negli studi di Cinecittà, occupati dagli alleati prima e dagli sfollati poi. Dunque si iniziò a riprendere all’esterno, usando il più possibile luci naturali ed eliminando i set. I soldi mancavano pure per poter retribuire i divi: ecco dunque che vengono ingaggiate persone comuni.
Le tematiche diventano più serie e semplici: si parladi emozioni e situazioni in cui tutti si possono riconoscere. Non c’è più posto per le sofisticate commedie alto borghesi. Ora il cinema è del e per il popolo. Il cinema diventa anche un modo per dipingere la realtà, anche quella più cruda. Inizia il cinema di denuncia.
De Sica è il primo a capire e applicare tutto questo.

 Film più importanti (quelli in grassetto saranno approfonditi prossimamente )

• Rose scarlatte (co-regìa Giuseppe Amato, anche attore), (1939)

• Maddalena... zero in condotta (anche stesura dialoghi e attore), (1940)

• Teresa Venerdì (anche sceneggiatura e attore), (1941)

• Un garibaldino al convento (anche sceneggiatura e attore),(1942)

• I bambini ci guardano (anche sceneggiatura), (1943)

Sciuscià (anche produzione), (1946)

Ladri di biciclette (anche produzione e sceneggiatura), (1948)

Miracolo a Milano (anche produzione e sceneggiatura), (1950)

Umberto D. (anche produzione), (1952)

Stazione Termini, (1953)

L'oro di Napoli (anche sceneggiatura), (1954)

La ciociara, (1960)

• I sequestrati di Altona, (1962)

• Il boom, (1963)

Ieri, oggi, domani, (1963)

• Matrimonio all'italiana, (1964)

Le streghe, episodio Una sera come le altre, (1967)

• Sette volte donna, (1967)

Il giardino dei Finzi Contini, (1970)

Una breve vacanza, (1973)


Premi Oscar

• 1948: miglior film straniero - Sciuscià

• 1950: miglior film straniero - Ladri di biciclette

• 1965: miglior film straniero - Ieri, oggi, domani

• 1972: miglior film straniero - Il giardino dei Finzi-Contini

Una carriere in cifre:

157 film d’attore

36 film da regista

Una ventina di film da sceneggiatore

Una decina di film da produttore

4 premi Oscar

4 David di Donatello

3 Nastri d’argento