Storia dell'attivista omosessaule Harvey Milk, freddato da un politico rivale nella San Francisco degli '70.
Non è un brutto film e come biografia è ben fatta, ma Da Gus Van Sant mi aspettavo qualcosa di meno convenzionale. La telefonata di Emile Hirsch è l’unica nota originale in un film altrimenti troppo inamidato.
Un po’ troppo hollywoodiano nello stile e per questo le 8 nomination agli Oscar non sono una sorpresa, nonostante il tema trattato. Bravissimi gli interpreti, da James Franco a Emile Hirsch, oltre che il protagonista Sean Penn. Quest'ultimo infatti compie quella metamorfosi che piace tanto all’Academy e si trasforma in Harvey Milk, copiandone ogni mossa, smorfia, tic proprio come Marion Cotillard fece l’anno scorso con Edith Piaf, vincendo l’ambitissima statuetta, o l’anno prima Helen Mirren e Forest Whitaker, oppure Reese Witherspoon e Philip Seymour Hoffmann, Jamie Foxx, Charlize Theron, Cate Blanchett. L’Academy premia chi meglio si immedesima nei panni di un altro! Per questo Penn ha tutte le carte in regole per vincere, perché a Hollywood preferiscono chi copia meglio piuttosto di chi inventa. L’originalità è spesso punita e l’America non è un paese per tipi originali. L’America del cinema mainstream ovviamente. Ma cosa vuol dire recitare? Creare un personaggio, dare vita ad un uomo esistente solo su carta oppure riportare in vita un personaggio già esistito? Sicuramente nella prima ipotesi c’è maggior inventiva ma anche maggior libertà, nella seconda l’attore compie un percorso di mimesi, a volte più faticoso, ma in qualche modo più falso e meccanico. E la falsità e la ripetitività trionfano spesso. Per fortuna Van Sant ha messo verità e sincerità nel suo lavoro.
VOTO : 7
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