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sabato 26 febbraio 2011

Il Re che volle farsi speaker

L'ultima recensione prima degli Oscar non poteva che essere quella del superfavorito.

THE KING'S SPEECH
(IL DISCORSO DEL RE)
DI TOM HOOPER,
UK/USA/AUSTRALIA, 2010
CANDIDATO A 12 PREMI OSCAR



Il secondogenito di Giorgio V d'Inghilterra, Bertie (Colin Firth), è balbuziente, ragione per la quale Elisabeth (Elena Bonham Carter) l'ha sposato, come dice in una delle battute migliori del film:
- uno che balbetta non potrà mai diventare re e noi avremo una vita tranquilla - .
 La poveretta però non aveva fatto i conti col cognato (Guy Pearce), che dopo esser stato Edoardo VIII per pochi mesi, abdica per poter stare accanto alla donna che ama, Wallis Simpson. Così Bertie diventa Re Giorgio VI e deve imparare a parlare in pubblico come si conviene a un re, visto che all'inizio del XXI secolo i regnanti hanno scoperto il potere dei mezzi di comunicazione. La radio infatti permette ai sovrani di raggiungere ogni cittadino e il suo ruolo diventa ancora più importante all'alba del conflitto mondiale che il Regno Unito si prepara ad affrontare. Siamo infatti nel 1939 e Hitler ha invaso la Polonia..
Il giovane Tom Hooper (classe 1972) firma un film perfetto per piacere alla critica e quest'ultima se n'è accorta: 14 nomination ai BAFTA e 12 agli Oscar. Il classico prodotto inglese perfetto e anonimo, in grado di commuovere ogni spettatore.
Ciò però era molto più possibile e plausibile in film come Shakespeare in Love, Billy Elliott e The Hours.
Commuoversi per un povero uomo che ha sfortuna di essere balbuziente ma soprattutto re della maggior potenza mondiale quando pochi mesi dopo l'Europa avrebbe pianto per quella pagina di storia conosciuta come Seconda Guerra Mondiale può apparire di pessimo gusto.

Senza contare che Giorgio VI usò le sue "nuove" capacità vocali proprio per dichiarare guerra e quegli applausi finali che ricevette da ogni parte sono dovuti proprio a questa dichiarazione che ha ben poco per cui essere applaudita.
Quindi definire The King's Speech un film patinato e inoffensivo è ingiusto, perché per certi versi è davvero offensivo, ma se si riesce sorvolare la tragedia del Nazismo e dell'Olocausto e concentrarsi solo su un povero Re che balbetta allora si riuscirà ad entrere nello spirito di un film che ha la stessa consistenza del thé inglese delle 17. Qualcosa di maledettamente perfetto, tradizionale, scontato, già visto eppure affascinante. Senza contare la riflessione sull'importanza dei media nelle nostre vite e sull'immagine che i politici trasmettono di sè.
Se si riesce poi a ridere di Colin Firth che urla o si esprime a suon di  canzoni perché non riesce a parlare in modo fluente o ancora si rotola urlando per terra allora si condivide quello che viene definito humour inglese.
Poi restano da ammirare le bellissime scenografie, la bella fotografia, inquadrature mozzaffiato che ben si adattano all'angoscioso senso di disagio del protagonista e ottime interpretazioni, tra cui soprattutto Geoffrey Rush nei panni del logopedista che permette al protagonista di trovare la propria voce.
Ma il film è freddo come le mattine nebbiose londinesi e si fatica a empatizzare col "dramma" del personaggio. Era faticoso empatizzare anche col protagonista di Somewhere, obietterà qualcuno. Vero, ma almeno il suo dramma non era paragonato a quello della Seconda guerra mondiale.

VOTO: 7

4 commenti:

  1. Perso, sai che io ho fatto molta meno fatica ad empatizzare con Johnny Marco rispetto a questo scialbissimo monarca?
    Un film confezionato bene ma che, emotivamente, mi pare vecchio e bolso.
    Il peggiore, a mio parere, della decina dei nominati a miglior film.

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  2. sei stato troppo buono, con questo film :)

    io più che col personaggio, comunque, non sono riuscito a empatizzare con la forma troppo perfettina con cui la storia è stata filmata. una cosa formalmente elegante e rigida quanto i vari rappresentanti della monarchia, di ieri e di oggi

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  3. Secondo me, non è che è freddo...è peggio. Il film è abbastanza banalotto, la trama è scontata così come le emozioni,molto facilone/confortante per cui, per colmare la lacuna, hanno conferito al film una raffinatezza stilistica che se da un lato lo eleva di livello, dall'altro lo rende impostato e appunto freddo,aggettivo che comunque non gli apparteneva inizialmente.

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