IL GRANDE GATBSY
(THE GREAT GATSBY)
di Jack Clayton, di Baz Luhrman,
USA, 1974 USA, 2013
con Robert Redford, Mia Farrow, con Leonardo DiCaprio, Carey Mulligan,
Sam Waterson, Bruce Dern, Karen Black Tobey Maguire, Joel Edgerton, Isla Fisher
TRAMA
Nick
Carraway è un modesto agente di borsa che arriva nei pressi di New York, dove
abita anche sua cugina Daisy, e affitta un cottage nella proprietà del
ricchissimo Jay Gatsby: un uomo misterioso che ogni settimana dà delle sontuose
feste a cui partecipa tutta New York. Una sera Nick conosce Gatsby, che gli
chiederà il favore di fargli incontrare la cugina, Daisy. Gatsby vuole infatti a
tutti i costi riconquistare questa donna,
oggi sposata e un tempo suo amore di gioventù.
RECENSIONE
Innanzitutto
si può dire che entrambi i film sono molto fedeli al celeberrimo romanzo di F.
Scott Fitzgerald, ma pur presentando la stessa durata, quello di Luhrman si
prende più libertà rispetto alla fonte letteraria, aggiungendo come prima cosa
una cornice inedita, quella del flashback del narratore ricoverato in una
clinica psichiatrica, e soprattutto, il regista australiano dilata di tempi
dedicati agli sfavillanti festeggiamenti a scapito di alcuni snodi narrativi o
dell’approfondimento di alcuni personaggi che ha preferito eliminare o
limitare: è il caso del padre di Gatsby, qui assente, o del personaggio di
Myrtle, notevolmente ridotto; così come è stata tagliata la relazione tra Nick
e Jordan; infine manca un’ultima cruciale scena che nel film di Clayton
dipingeva meglio il carattere di Daisy.
Le
opere di Fitzgerald, uno degli autori letterari più importanti della
letteratura americana, sono sempre risultate difficili da portare sullo schermo
e nonostante lo sforzo di grandi registi, sceneggiatori e attori, gli
adattamenti dello scrittore si sono sempre rivelate megaproduzioni curatissime
ma poco emozionanti: da L’ultima volta che vidi Parigi (1954, di
Richard Brooks, con Elizabeth Taylor) fino a Gli Ultimi fuochi (1976, di Elia Kazan con Robert De Niro)
risultano delle opportunità sprecate. Solo Luhrman è riuscito a restituire alle
pagine di Fizgerald un vortice di immagini, emozioni, sogni e bassezze ben
adattandole a un pubblico attuale.
Ma
veniamo alla qualità delle due pellicole: ciò che la maggior parte della
critica ha rimproverato al film di Luhrman era perfettamente riscontrabile nel
film di Clayton: un sontuoso involucro che si rivela vuoto come il mondo che
Fitzgerald voleva criticare, con personaggi che non convincono e non
coinvolgono.
Qui
al contrario, i personaggi di Fitzgerald tornano in vita: il Gatsby di DiCaprio
è molto più vero di quello dell’ingessato Redford: si arrabbia, piange, si
scompone e poi ricompone, e non smettere di credere nel suo sogno, coinvolgendo
e convincendo lo spettatore. Anche il narratore-testimone di Nick Carraway qui
si fa più interessante, grazie anche alla prestazione di un Tobey Maguire più
espressivo del solito. Più difficile l’opinione su Daisy, personaggio ambiguo
per eccellenza: qui umana, troppo umana grazie alla lacrimosa e sempre
efficiente Carey Mulligan. La Daisy di Mia Farrow trasmetteva meglio la sgradevolezza
del personaggio che Luhrman e il suo fidato sceneggiatore Craig Pearce hanno
voluto, smorzare rendendo l’ossessione di Gatsby più comprensibile ma allo
stesso tempo riducendo la feroce critica sociale di Fitzgerald.
Nella
sceneggiatura dunque Craig Pearce e Luhraman battono nientemeno che Francis
Ford Coppola, che ha recentemente dichiarato che Clayton non seguì per nulla la
sua versione, DiCaprio & co; co battono Redford & co; co e poi c’è l’aspetto
visivo e musicale, come sempre sfavillante in Luhrman. Meno Kitsch, barocco e
originale rispetto ai suoi due titoli più famosi, il Grande Gatsby riesce
comunque a creare un grande spettacolo per gli occhi in un tripudio di colori e
un montaggio frenetico, che finisce per diventare a tratti perfino fastidioso
con delle zoommate troppo repentine. Nulla a che fare con la versione
patinatissima, leccata e lenta del film di Clayton.
Per quanto riguarda l'aspetto musicale, Luhrman straccia la colonna sonora jazz di Clayton on un mix anacronistico di jazz, hip hop, tecno e pop, non sempre riuscito e lontano dall'irripetibile Moulin Rouge!, ma comunque memorabile almeno nel brano che fa da leit-motiv del film, la sublime Young and Beauitful di Lana del Rey degno premio Oscar dell'anno prossimo.
Per quanto riguarda l'aspetto musicale, Luhrman straccia la colonna sonora jazz di Clayton on un mix anacronistico di jazz, hip hop, tecno e pop, non sempre riuscito e lontano dall'irripetibile Moulin Rouge!, ma comunque memorabile almeno nel brano che fa da leit-motiv del film, la sublime Young and Beauitful di Lana del Rey degno premio Oscar dell'anno prossimo.
Solo
per quanto riguarda le location si può preferire la versione di trent’anni fa:
decisamente meglio infatti le location reali rispetto all’opulente castello
luhrmaniano creato interamente in post-produzione. Troppi sono gli elementi
creati in post-produzione con effetti digitali da videogioco di serie B, ma nel
guazzabuglio barocco di Luhrman sembra un difetto minore.
Curioso
che, pur essendo ambientata a New York e dintorni, la versione del regista
inglese fu girata in gran parte in Inghilterra, mentre Luhrman ha preferito
girare molte riprese nella sua Australia.
Concludendo:
la versione del 1974 appariva didascalica, troppo patinata e priva del respiro
del romanzo di Fitzgerald, mentre Luhrman riesce a infondere nuova linfa al
classico di Fitzgerarld.
VOTO
VERSIONE 1974: 6 VOTO VERSIONE 2013: 8,5
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminasecondo me sei stato un po' severo con il vecchio Gatsby e un po' generoso col nuovo, però ottima disamina, complimenti!
RispondiEliminaGrazie Dantès!
Eliminadel tutto d'accordo!
RispondiEliminabaz luhrmann batte il vecchio gatsby nettamente!
Yes, ho visto che i nostri pareri sono alquanti concordi oggi. p.s. L'ho aggiornato con una postilla sull'aspetto musicale
EliminaSì, decisamente meglio quello di Baz.
RispondiEliminaChe splendida analisi, completa e chiara!
RispondiEliminaCome sai, sono perfettamente d'accordo con te. Solo con la giusta libertà intellettuale (di cui Luhrmann è dotato e con cui affronta questo tipo sfide) si possono portare sullo schermo classici mastodontici, così legati alla parola e al mezzo letterario.
Un film un po' lungo e noioso, che non ha nulla del brio di Romeo e Giulietta o Moulin Rouge, ma è comunque tutt'altro che brutto come hanno detto.
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