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mercoledì 6 aprile 2011

Non lasciarmi: la delusione della stagione

NON LASCIARMI
(NEVER LET ME GO)
DI MARK ROMANEK, UK2010,
Due bambine (Carey Mulligan e Keira Knitghtley) e un bambino (Andrew Garfield) frequentano un collegio inglese come tanti altri, o almeno è quello che credono finché una nuova insegnante (Sally Hawkins) non rivela che in realtà si tratta di una scuola per cloni destinati a diventare donatori di organi che dopo un paio di donazioni esauriranno il loro ciclo vitale. Nessuno di loro perciò arriverà all’età adulta. La docente viene subito licenziata dalla preside (Charlotte Rampling), ma ormai il danno è fatto. I tre protagonisti trascorreranno insieme gli anni dell’adolescenza, poi si divideranno per poi ritrovarsi al termine del loro compito. Nemmeno l’amore, tanto rincorso, sognato e sofferto, potrà salvarli.

Con un cast del genere, una storia simile, un regista tra i più visionari e soprattutto un romanzo di tanto valore e successo le aspettative erano giustamente alte, ma il risultato è l’ennesima trasposizione letteraria non riuscita, nonché il peggior film delle brevi e finora strabilianti carriere di Andrew Garfield e Carey Mulligan. Non che in questo film non recitino bene, anzi: Garfield riprende i toni drammatici di Parnassus- L'uomo che voleva ingannare il diavolo e soprattutto Boy A e dimostra ancora una volta di essere un ottime interprete. Lo stesso vale anche per la Mulligan, che dopo An education e Wall Street: il denaro non dorme mai offre un’altra intensa prova. Keira Knigthley continua ammirevolmente a distruggere l’immagine divistica che le hanno creato intorno, ma se continua a recitare solo in film piccoli e invisibili rischierà lei stessa di diventare invisibile. Sprecate le apparizioni della Rampling e della Hawkins recentemente ammirata nel buon We want sex.

I giovani e bravi protagonisti sono l’unico elemento positivo di un film per il resto trascurabile eppure inspiegabilmente osannato dalla critica statunitense. Servito da una pessima sceneggiatura che porta la firma dello scrittore e sceneggiatore Alex Garland, l’adattamento del celebre romanzo Never let me go di Kazuo Ishiguro, eletto dal Time miglior romanzo del 2005 dà vita a un film senza mordente e senza emozioni. Tante questioni non sono nemmeno accennate: come sono arrivati nel collegio i protagonisti? di quali persone sono cloni?, ecc. In fondo si potrebbe rispondere “chi se ne importa”, il cuore della storia è altrove e i buchi potrebbero essere colmati dal pathos della vicenda, peccato che gli unici ad emozionarsi sono questi cloni: Carey Mulligan piange divinamente e spesso, eppure non riesce a coinvolgere lo spettatore nel suo dramma. La sua travagliata storia con Tim, che viene annunciata con un’interminabile e superflua parte iniziale sull’infanzia e ostacolata da Ruth-Knitghtley, quando finalmente esplode ha a disposizione solo un paio di scene che deludono le aspettative dello spettatore a cui tanto era stato promesso fin dalle prime immagini.

Ma ciò che più infastidisce sono i dialoghi, del tutto didascalici e completamente inutili. Non ho letto il romanzo quindi non so a chi attribuire la colpa: al romanziere, allo sceneggiatore, all’adattatore italiano?

I colori e l’ambientazione sono azzeccati: ambientare quella storia di fantascienza in un tempo indefinito che sembra più vicino al passato che al futuro è un’idea vincente, ma ciò non basta a salvare un film senza alcun ritmo che lo fa apparire interminabile quando in realtà è brevissimo.

Per ultimo la fotografia: con una tale ambientazione e un regista del genere, i risultati potevano essere ben diversi. Le uniche inquadrature che vorrebbero essere poetiche (un uccellino su una teiera, una spiaggia al tramonto) risultano stucchevoli e pretestuose.

Dal visionario regista di videoclip inseriti nientemeno che nella collezione permanente del MOMA in quanto considerati autentici capolavori d’arte (Closer dei Nine Inch Nails e Bedtime Story di Madonna) era legittimo aspettarsi molto di più di una regia più che accademica. Anche se del resto già il primo film di Mark Romanek, One hour photo, si era rivelato molto meno interessante di quanto sembrasse.

Il punto di forza di Romanek sono infatti i video musicali: ne ha diretto alcuni molto interessanti per artisti importanti come Keith Richards, Mick Jagger, David Bowie, Lenny Kravitz, Rem, Beck, Johnny Cash e per ultimi i Coldplay. L’anno di svolta per lui fu il 1994, quando diresse Closer dei Nine Inch Nails, il cui contenuto però potrebbe impressionare qualcuno, e Bedtime Story di Madonna (a fianco), visionario e notturno, costato oltre 2 milioni di dollari e diventato il video più costoso di tutti i tempi. Ma per poco: infatti nel 1996 Romanek diresse il futuristico e spettacolare Scream di Michael e Janet Jackson, tutt’ora il più costoso in assoluto.

VOTO: 6-

3 commenti:

  1. a me è piaciuto. un film fatto di emozioni sottili, anche se il ritmo lento per coinvolgere richiede forse la giusta predisposizione

    quanto ai dialoghi non mi sono sembrati affatto male, sarà che l'ho visto in inglese. magari il doppiaggio ha rovinato tutto...

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  2. come Marco l'ho visto in inglese e l'ho trovato perfetto, poetico, delicato, mi ha fatto commuovere.

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  3. Anche a me è piaciuto molto. Il tema non è certo originale, ma fa riflettere e coinvolge lo spettatore. Non punta tanto sulla storia quanto sulle emozioni. Sulle NOSTRE emozioni: ci viene quasi spontaneo trepidare per i tre ragazzi, sperare che essi si ribellino al loro destino, avremmo voglia di urlare loro di fuggire via, verso un mondo migliore. Salvo poi scoprire che non possono farlo, perchè non conoscono altro destino salvo quello per cui sono stati creati. E questo senso di ineluttabilità rende il film triste e bellissimo.
    Almeno secondo me...

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